Cass. civ., sez. III, ordinanza 03/06/2022, n. 17985
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to la seguente Cron. 31- eg ORDINANZA Rep. sul ricorso 7646-2019 proposto da: Ud. 10/11/2022 SO.G.E.T. SPA (Società di gestione entrate e CC tributi), in persona dell'Amministratore Unico p.t., L D L, rappresentata e difesa dall'avvocato L C (pec:cecinato.luigi@oravta.legalmail.it);-ricorrente- contro ACQUEDOTTO PUGLIESE (AQP) SPA, in persona del suo Amministratore delegato e legale rappresentante p.t., N D S, rappresentato e difeso dall'avvocato G A, elettivamente domiciliato in ROMA presso lo Studio dell'Avvocato ULISSE COREA, via DI VILLA SACCHETTI, 9;q, ì - controricorrente - avverso la sentenza n. 1306/2018 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 24/07/2018;udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 10/11/2021 dal Consigliere Dott. M G;Rilevato che: L'Ente Acquedotto Pugliese, di seguito trasformato in AQP, assumendosi creditore di somme iscritte a ruolo, prima del febbraio 1999, per un valore complessivo di euro 53.181.678,00, indiceva una gara ad evidenza pubblica per la cessione pro soluto dei relativi crediti. So.G.E.T. veniva individuata quale soggetto aggiudicatario, avendo conseguito il miglior punteggio, con una offerta di euro 3.060.000,00 da corrispondere in 5 rate mensili. Seguiva la stipulazione del contratto di cessione, il quale, all'art 8, intitolato Dichiarazioni e garanzie, precisava, tra l'altro, che non esisteva alcun atto, fatto, evento e/o circostanza di alcun tipo, diversa dalla solvibilità dei debitori e da quelli espressamente riportati per iscritto nell'invito di gara e nella documentazione presentata in data rom e nel contratto di cessione, che potessero «in alcun modo condizionare, pregiudicare o comunque incidere negativamente sul diritto del cessionario ad esigere dai debitori il pagamento del credito». AQP, interpellato dalla cessionaria, la quale aveva riscontrato che molti dei crediti ceduti risultavano per varie cause estinti anteriormente alla stipulazione del contratto di cessione, dichiarava, a seguito di verifiche ulteriori, l'inesistenza di crediti verso l'utenza per complessivi euro 3.005.830,74. In considerazione di ciò, So.G.E.T. conveniva in giudizio AQP, chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 3.005.830,74, al fine di ripristinare l'equilibrio economico alterato dall'avvenuta cessione di crediti inesistenti inclusi nel contratto di cessione.AQP, costituitasi in giudizio, resisteva alla pretesa creditoria, assumendo che il contratto di cessione dei crediti prevedeva la rinuncia da parte del cessionario ad ogni garanzia e, in via gradata, contestando l'an debeatur, perché, essendo il prezzo pattuito per la cessione pari al 5,75% dell'importo dei crediti vantati da AQP, il petitum avrebbe dovuto essere ridotto in applicazione della medesima percentuale. Contestava di avere responsabilità per i crediti degli utenti di Foggia, di importo pari ad euro 1.438.428,68, in quanto essi erano stati ritenuti esistenti e quindi ceduti per un errore di comunicazione della società GEMA, dalla medesima riconosciuto. GEMA veniva, pertanto, chiamata in giudizio, da AQP, allo scopo di manlevarlo di quanto fosse stato condannato a pagare relativamente all'importo di euro 1.438.428,68. Costituitasi in giudizio, GEMA contestava la chiamata in garanzia, adducendo che, in data 19 dicembre 2017, era intervenuta una transazione, con cui erano state definite le posizioni di debito/credito con AQP, anche relativamente ai crediti ceduti alla So.G.E.T., e, in subordine, eccepiva l'infondatezza della domanda principale, con conseguente ricaduta sulla chiamata in garanzia, in ragione del fatto che con la So.G.E.T. era stata pattuita una cessione pro soluto di crediti in stock, per cui era stato espressamente previsto che una parte dei crediti ceduti potesse essere non più esistente, e chiedeva si tenesse comunque conto del fatto che le parti avevano escluso la garanzia ex art. 1266 cod.civ. In via ulteriormente subordinata, domandava, a sua volta, la riduzione del petitum in considerazione del valore percentuale dei crediti acquistati dalla So.G.E.T., da ridurre ulteriormente in ragione dell'ammontare degli interessi di mora medio tempore maturati. Il Tribunale di Bari, investito della controversia, con sentenza n. 2030/2013, rigettava la domanda attorea e compensava le spese di lite. La pronuncia veniva impugnata dalla So.G.E.T. dinanzi alla Corte d'Appello di Bari. AQP si costituiva e chiedeva il rigetto dell'appello. GEMA domandava l'interruzione del giudizio d'appello, attesa la dichiarazione di fallimento intervenuta nel precedente grado di giudizio.La Corte d'Appello, dopo aver disatteso, con ordinanza, l'istanza di interruzione del giudizio, stante che la domanda di garanzia nei confronti di GEMA non era stata reiterata in appello, rigettava, con la sentenza n. 1306/2018, l'impugnazione e condannava So.G.E.T. al pagamento delle spese di giudizio. So.G.E.T. ricorre per la cassazione della suddetta decisione, affidandosi a tre motivi. AQP resiste con controricorso. Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380 bis 1 cod.proc.civ. Il PM non ha depositato conclusioni scritte. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Considerato che:1.Con il primo motivo So.G.E.T. lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell'art. 1266, comma 1°, e dell'art. 1418, comma 2°, cod.civ. e dell'art. 1325 cod.civ. in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 3 cod.proc.civ. Premessa la incontestata inesistenza di molti crediti ceduti prima dell'atto di cessione - per avvenuto pagamento, per avvenuta transazione, per annullamento con sentenza passata in giudicato delle relative cartelle di pagamento, per annullamento delle cartelle intestate a diversi utenti della Provincia di Foggia - la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente applicato l'art. 1266 cod.civ., omettendo di considerare che la clausola di esclusione della garanzia ivi prevista non poteva prescindere dalla circostanza che il cedente fosse titolare di un titolo astrattamente idoneo a legittimare la pretesa creditoria, altrimenti il contratto risulterebbe nullo, per difetto dell'oggetto. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell'art. 1266, comma 1°, e dell'art. 1229 cod.civ., in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 5, cod.proc.civ.La Corte territoriale, secondo la prospettazione della ricorrente, non avrebbe considerato che, al momento della cessione, AQP non poteva non essere cosciente e consapevole che un parte considerevole dei crediti ceduti non era più esistente, perciò, vieppiù considerando che con l'art. 8 del contratto di cessione, intitolato Dichiarazioni e Garanzie, aveva garantito, tra l'altro, di non essere a conoscenza della ricorrenza di alcun fatto incidente sulle caratteristiche del credito ceduto, AQP avrebbe dovuto considerarsi responsabile di avere inserito, con dolo o quanto meno con colpa grave, una enorme quantità di crediti inesistenti tra quelli oggetto di cessione, carpendo la sua buona fede. Ad avviso della ricorrente, l'inserimento di una clausola di esclusione della garanzia operante anche per crediti della cui inesistenza il cedente abbia consapevolezza e coscienza legittimerebbe la perpetrazione di una truffa e, comunque, darebbe luogo alla violazione dell'art. 1229 cod.civ., secondo il quale è nullo qualsiasi patto volto ad escludere o limitare la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave. 3. Con il terzo motivo la ricorrente imputa alla sentenza impugnata di avere violato e falsamente applicato l'art. 1266 cod.civ., in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 5, cod.proc.civ. Oggetto di censura è la statuizione con cui la Corte territoriale ha rigettato l'eccezione di applicabilità della clausola di esclusione della garanzia, ritenendo che la mancata riscossione dei crediti non era dovuta al fatto proprio del creditore cedente, basandosi sulla circostanza che l'inesistenza dei crediti ceduti era stata determinata dall'annullamento delle cartelle esattoriali o da transazioni ovvero dall'annullamento di talune cartelle e dalla loro sostituzione a seguito della rateizzazione concessa dalla GEMA. Secondo la ricorrente, nel fatto proprio avrebbe dovuto essere ricompreso qualsiasi comportamento posto in essere dal cedente con coscienza e volontà lesivo e dannoso degli interessi del cessionario. 4. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente rimprovera alla sentenza gravata di aver violato e falsamente applicato il combinato disposto degli artt. 1266 e 1487, comma 2°, cod.civ., ex art. 360, comma 1°, n. 5, cod.proc.civ.La tesi della ricorrente è che la Corte d'Appello avrebbe dovuto interpretare globalmente la clausola di esclusione di responsabilità, cioè insieme con quella con cui AQP, pur avendo garantito l'esistenza dei crediti, si era cautelato, facendo presente che non poteva assicurare la disponibilità dei titoli esecutivi e degli atti interruttivi della prescrizione, né escludere che potesse essersi verificato qualche fatto, ignorato al momento della cessione, per cui il credito poteva risultare non più esistente. La sentenza impugnata avrebbe invece disatteso la richiesta di interpretazione sistematica, in considerazione del fatto che la volontà della cedente non poteva che essere quella di porre quale condizione per la stipulazione del contratto la rinuncia da parte del cessionario ad ogni garanzia, anche quella di esistenza dei crediti e che a fronte di tale rinuncia la So.G.E.T. aveva valutato vantaggioso il prezzo di euro 5,74% dell'importo dei crediti ceduti, perché particolarmente basso. La statuizione si porrebbe in contrasto con l'art. 1487, comma 2°, cod.civ. secondo cui è nullo il patto di esclusione della garanzia per la evizione derivante da fatto proprio. 5. In primo luogo, va rilevata l'erronea individuazione, in relazione al paradigma dell'art. 360 cod.proc.civ. dei vizi denunciati nei primi tre motivi, là dove si indica come parametro di riferimento l'art. 360, comma 1°, n. 5 cod.proc.civ., pur denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto sostanziale, come tale riconducibile al parametro dell'art. 360, comma 1°, n. 3 cod.proc.civ. Tuttavia, se è vero che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito, nondimeno, l'indicazione erronea del vizio di cui all'art. 360, comma 1°, n. 5, cod.proc.civ. non impedisce a questa Corte di avere contezza del contenuto dell'impugnazione e di qualificare correttamente le censure, sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dalla ricorrente (cfr. Cass, Sez. Un., 24/07/2013, n. 17931).
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