Cass. pen., sez. IV, sentenza 29/03/2023, n. 13083
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Testo completo
la seguente SENTENZA • sul ricorso proposto da: PAVLIN FUSHA nato il 07/09/1976 avverso l'ordinanza del 22/06/2021 della CORTE APPELLO di BARIudita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;lette le conclusioni del PG che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 22 giugno 2021 la Corte di appello di Bari ha respinto l'istanza proposta in data 7 ottobre 2014 dal difensore e procuratore speciale di P F volta ad ottenere la riparazione dell'ingiusta privazione della libertà personale sofferta dal 6 settembre 2011 al 10 maggio 2012. 2. La privazione della libertà personale cui l'istanza si riferisce ebbe inizio il 6 settembre 2011 quando P F fu tratto in arresto, nel territorio italiano, in esecuzione di un mandato di cattura emesso dalla Confederazione elvetica per l'esecuzione di una condanna definitiva alla pena di anni quattro di reclusione inflitta per violazione delle leggi federali in materia di stupefacenti, reati in materia di immigrazione, importazione di monete false ed altro. Il 7 settembre 2011, su richiesta del Ministro della Giustizia, la Corte di Appello di Bari dispose in via provvisoria la misura coercitiva della custodia in carcere ai sensi dell'art. 715 cod. proc. pen. Il 9 settembre si tenne l'udienza prevista dall'art. 717 cod. proc. pen. e, in quella sede, assistito da un difensore d'ufficio, F prestò il consenso all'estradizione. La Corte di appello dispose che fosse mantenLita la custodia in carcere ritenendo esistente un concreto pericolo di fuga. Il 20 ottobre 2011 il Ministro della Giustizia - preso atto della richiesta di estradizione presentata dal Governo della Confederazione Svizzera in data 7 ottobre 2011 e del consenso prestato dall'interessato - decretò l'estradizione «a condizione che il periodo di detenzione sofferto in Italia» fosse considerato «come detenzione già sofferta nello Stato richiedente». Il decreto di estradizione fu notificato all'interessato il 24 ottobre 2011. Il 27 ottobre 2011, ritenuta la persistenza delle esigenze cautelari anche alla luce dell'emissione del decreto di estradizione, la Corte di appello respinse un'istanza di revoca della misura cautelare avanzata da F. Analogo provvedimento fu adottato il 2 marzo 2012. In data 9 marzo 2012 la custodia in carcere fu sostituita con gli arresti domiciliari. Dall'ordinanza impugnata e dalla documentazione in atti risulta che F fu rimesso in libertà il 20 aprile 2012 (non il 10 maggio 2012 come indicato nell'istanza). La procedura di estradizione si chiuse il 20 settembre 2012: la Corte di appello di Bari deliberò «non luogo a provvedere» perché il 2 agosto 2012 il Ministro della Giustizia, preso atto che il Governo della Confederazione Svizzera aveva ritirato la domanda di estradizione, revocò il decreto di estradizione del 20 ottobre 2011. 3. Nel chiedere la riparazione per ingiusta detenzione l'odierno ricorrente ha sostenuto che sussisteva ab origine una causa ostativa all'estradizione perché la sentenza di condanna per la quale tale provvedimento era stato richiesto riguardava fatti commessi nel 1997, era divenuta esecutiva il 22 marzo 1999 e la richiesta di arresto era stata avanzata in epoca successiva al 10 giugno 1999, data in cui F si era sottratto all'esecuzione della condanna. La difesa sostiene che, essendo decorsi dieci anni dal momento in cui il condannato si era sottratto all'esecuzione della pena, la stessa doveva considerarsi estinta ai sensi dell'art. 172 cod. pen. sicché l'estradizione non avrebbe potuto essere concessa. Ai sensi dell'art. 10 della Convenzione europea di estradizione, infatti, la stessa «non può essere accordata quando, secondo la legislazione della Parte richiedente o della Parte richiesta, l'azione penale o la pena siano prescritte». Secondo la difesa, la privazione della libertà personale fu disposta e mantenuta fuori dei casi consentiti senza che l'estradando abbia dato causa o concorso a dar causa all'ingiusta detenzione, atteso che, ai sensi dell'art. 205 bis d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271, revocò il consenso all'estradizione e avanzò plurime istanze di revoca o sostituzione della misura. La Corte di appello di Bari ha ritenuto infondata la richiesta di riparazione sottolineando che la privazione della libertà personale era funzionale all'esecuzione del decreto di estradizione e, anche alla luce del consenso prestato dall'interessato, non v'era alcun elemento che potesse far ipotizzare che l'estradizione non sarebbe stata eseguita. Ha rilevato inoltre che, quando respinse le istanze di rimessione in libertà, la Corte di Appello «aveva cognizione del perdurante interesse dello Stato estero all'estradizione» e non poteva supporre che tale interesse sarebbe venuto meno (ciò che avvenne, peraltro, quando l'imputato era ormai libero). 4. Contro l'ordinanza della Corte di appello di Bari, il difensore di F, munito di procura speciale, ha proposto tempestivo ricorso ai sensi dell'art. 606, comma 1 lett. b) e comma 1 lett. e), cod. proc. pen. Con unico articolato motivo (che viene qui riportato nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173 comma 1 d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271) il difensore sostiene che, erroneamente, la Corte di appello ha ritenuto ostativo al riconoscimento del diritto all'indennizzo il consenso all'estradizione prestato all'udienza del 9 settembre 2011. Sostiene, infatti, che il consenso fu revocato ai sensi dell'art. 205 bis disp. att. cod. proc. pen. «con dichiarazione rilasciata al modello 13 (dell'istituto di detenzione)» (così testualmente pag. 2 della memoria integrativa datata 8 marzo 2023) e che la facoltà di revoca fu legittimamente esercitata in ragione del fatto che all'udienza del 9 settembre 2011, né F, né il suo difensore d'ufficio «avevano preso piena cognizione degli atti contenuti nella richiesta di estradizione» (pag. 5 del ricorso). Il difensore riferisce di aver inutilmente sostenuto la nullità dell'udienza del 9 settembre 2011 (che si tenne alla presenza del difensore d'ufficio anche se in data 8 settembre 2011 la moglie dell'arrestato aveva proceduto alla nomina di un difensore di fiducia). Sostiene di aver chiesto l'avvio del procedimento giurisdizionale ai sensi degli artt. 701 e ss. cod. proc. pen. e di aver chiesto alla Corte di pronunciarsi sulla revoca del consenso alla estradizione. In sintesi, la difesa sostiene che F non dette causa alla privazione della libertà personale perché, quando consentì all'estradizione, non era consapevole delle conseguenze di questa scelta;perché, nell'udienza in cui tale consenso fu prestato, non era assistito dal difensore di fiducia nominato dalla moglie ai sensi dell'art. 96, comma 3, cod. proc. pen. e perché tentò, inutilmente, di attivare la garanzia giurisdizionale.
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