Cass. pen., sez. III, sentenza 29/05/2023, n. 23299

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 29/05/2023, n. 23299
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23299
Data del deposito : 29 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da R F, nata a Castroreale il 01-03-1951, avverso la sentenza del 17-06-2022 della Corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere F Z;
lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. L O, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 giugno 2022, la Corte di appello di Messina confermava la sentenza del 23 giugno 2021, con la quale il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva condannato F R alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 4 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 10 ter del d. Igs. n. 74 del 2000, a lui contestato perché, quale legale rappresentante della società "Sicilservice CND s.r.l.", avente sede in Milazzo, non versava, entro il 27 dicembre 2016, termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale riguardante l'anno 2015, per un ammontare pari a euro 568.848;
in Barcellona Pozzo di Gotto in data 28 dicembre 2016. Con la medesima sentenza, veniva disposta la confisca della somma di euro 568.848, corrispondente al profitto del reato.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello peloritana, R, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi. Con il primo, la difesa deduce l'erronea applicazione dell'art. 45 cod. pen., non avendo la Corte di appello tenuto conto della comprovata e grave crisi di liquidità dell'impresa di R e della conseguente impossibilità per l'imputato di far fronte ai debiti erariali, avendo il ricorrente documentato che l'azienda da lui amministrata aveva subito, negli anni precedenti al 2015, rilevanti perdite su crediti che ne avevano minato la struttura finanziaria, a causa dei fallimenti di alcuni clienti, eventi questi ovviamente non riconducibili a R. Del resto, era stata fornita prova documentale in ordine alla sospensione dei fidi bancari e all'apposizione di ipoteche da parte del concessionario sui beni immobili aziendali, per cui l'imputato non avrebbe potuto fare ricorso all'indebitamento bancario o alla vendita dei beni immobili della società per corrispondere quanto dovuto all'Erario, mentre le istanze di rateizzazione, unitamente ai pagamenti, proverebbero la volontà dell'imputato di usare le liquidità a disposizione per ripianare i debiti fiscali per gli anni precedenti. Alla luce della riduzione del fatturato, dell'impossibilità di accedere al sistema bancario e dell'avvenuto pagamento delle rate relative alle annualità precedenti, alcuna ulteriore condotta era dunque esigibile da parte di R, tanto più ove si consideri che le perdite subite negli anni antecedenti al 2015, pari a oltre 700.000 euro, erano destinate a riverberarsi anche negli anni successivi. Con il secondo motivo, è stata eccepita l'erronea applicazione dell'art. 649 cod. proc. pen., rilevandosi che tale norma, alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 149 del 2022, deve essere interpretata nel senso che un soggetto non può essere sottoposto a un procedimento penale anche nel caso in cui abbia subito un procedimento sanzionatorio in via amministrativa.Nel caso di specie, la società amministrata dall'imputato ha subito già una sanzione amministrativa pari al 30% dell'imposta evasa, per cui ad essa non potrebbe essere aggiunta anche la sanzione penale per lo stesso fatto. Con il terzo motivo, è stata dedotta l'erronea applicazione dell'art. 12 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, secondo cui si può procedere alla confisca per equivalente solo ove non sia possibile la confisca diretta, il che presuppone che il giudice verifichi la sussistenza dei presupposti per procedere in questo senso. Tale valutazione sarebbe stata del tutto pretermessa dal Tribunale e la Corte di appello, nel tentativo di porre rimedio a tale lacuna motivazionale, ha indebitamente richiamato profili non decisivi, come la sussistenza di iscrizioni ipotecarie sugli immobili della società o l'assenza di poste attive patrimoniali, mentre l'imputato aveva comprovato la sussistenza di beni che avrebbero potuto essere certamente aggrediti comunque da un provvedimento ablatorio. Con il quarto motivo, infine, è nuovamente eccepita, stavolta in relazione agli art. 182 bis e 182 ter della legge fallimentare, l'erronea applicazione dell'art. 12 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, osservandosi che, se il provvedimento ablatorio venisse confermato, ci si troverebbe nell'assurda situazione per cui la società, che ha beneficiato del risparmio di imposta derivante dall'omesso versamento dell'iva sarebbe legittimata, in virtù della omologa da parte del Tribunale dell'accordo di ristrutturazione del debito con transazione fiscale (in forza del quale la società si è impegnata a corrispondere all'Erario una somma pari al 15% delle imposte dovute fino al 2 settembre 2021), a corrispondere solo una quota parte del debito, mentre il legale rappresentante sarebbe costretto a subire l'ablazione dei propri beni per un importo corrispondente all'intero ammontare del debito fiscale.
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