Cass. pen., sez. I, sentenza 12/04/2023, n. 15394

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 12/04/2023, n. 15394
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15394
Data del deposito : 12 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: F U nato a BARI il 15/12/1973 M MICHELE nato a BARI il 29/10/1974 avverso la sentenza del 22/11/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di BARIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FILIPPO CASA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A C, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori: avv. G C, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso;
l'avv. S G che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l'accoglimento;
l'avv. C F C che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. Alle ore 11:10 l'udienza viene sospesa per cambio di collegio. Alle ore 12:10 l'udienza riprende

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa in data 21 aprile 2020 in esito a rito abbreviato, il G.u.p. del Tribunale di Bari dichiarava U F e M M responsabili dei delitti di omicidio pluriaggravato in concorso, commesso in danno di D S (capo 1), detenzione e porto di armi aggravati in concorso (capo 2) e furto aggravato in concorso (anche con D M: capo 4);
dichiarava M M responsabile (anche) del delitto di rapina aggravata in concorso (capo 3) e, per l'effetto, riconosciute al F le attenuanti di cui all'art. 8 I. n. 203/91 e all'art. 625-bis cod. pen., unificati i reati dal vincolo della continuazione, previa riduzione per il rito, condannava il predetto imputato alla pena di sedici anni di reclusione e M M, previa riduzione per il rito, alla pena di trent'anni di reclusione.

2. La Corte di Assise di appello di Bari, con sentenza del 22 novembre 2021, in parziale riforma della decisione di primo grado, rideterminava la pena nei confronti di U F, ritenuta la già riconosciuta attenuante di cui all'art. 625-bis cod. pen. equivalente alle aggravanti contestate sub capo 4), in quindici anni di reclusione;
confermava nel resto la decisione impugnata.

3. L'uccisione di S, come ricostruita dalle conformi sentenze di merito, costituì il terminale di una premeditata e insistita attività delittuosa che gli appartenenti al clan mafioso barese MISCEO - TELEGRAFO avevano deciso di porre in essere, al fine di riaffermare il prestigio criminale della consorteria, colpendo un componente di un clan avverso, obiettivo raggiunto dopo l'organizzazione e la predisposizione dei mezzi per l'agguato e la costante attività di appostamento del gruppo di fuoco che, conclusivamente, era sfociata nell'attentato mortale portato a termine con l'uso delle armi descritte nelle imputazioni. Risulta, in particolare, che G M, il quale, in un primo momento, non assecondò la volontà del suo affiliato TELEGRAFO di uccidere S, cambiò idea solo dopo aver subito, da parte di costui, due aggressioni armate che apparivano, al pari di altri atteggiamenti di sfida e irriguardosi, come una vera e propria irrisione del suo potere e ruolo criminale all'interno del quartiere cittadino, San Paolo, che del gruppo era il territorio di riferimento. MISCEO diede quindi l'ordine di uccidere S, che non fu mai revocato e che, quindi, vincolò alla sua esecuzione gli affiliati. La serrata "caccia all'uomo", scatenata dal capo clan, trovò il suo epilogo poco prima delle ore 22 del 15 febbraio 2014, quando la vittima, mentre percorreva la via degli Abruzzi in Bari - San Paolo alla guida della propria autovettura Audi A6, fu ai:tinta da plurimi colpi di arma da fuoco, a seguito dei quali si verificò il decesso.Sul luogo vennero rinvenuti e sequestrati 19 bossoli calibro 7,62 x 39 mm appartenenti a proiettili esplosi da un'arma automatica, verosimilmente un kalashnikov AK 47, che, in esito agli accertamenti svolti dalla Polizia scientifica, risultarono provenire da una sola arma.

4. La prova di responsabilità degli imputati è stata fondata, nei due gradi di merito, essenzialmente sulle dichiarazioni rese dai due collaboratori di giustizia D M e U F, oltre che sugli accertamenti tecnici di natura balistica e medico-legali. F, che era il braccio destro di G M, ha ammesso di aver contribuito ad acquistare l'arma automatica utilizzata per l'omicidio, di aver rubato la Fiat Brava usata nell'occorso e, soprattutto, di aver fatto parte del gruppo di fuoco unitamente al coimputato M, a D M e ad E G, giudicati, questi ultimi due, separatamente e condannati con sentenze irrevocabili. Secondo il narrato di F, il commando, distribuito in due vetture, una Volkswagen "Polo", con a bordo, MICELLI e M, e una Fiat "Brava", con a bordo lui e il G, bloccò la strada all'auto del S: G, senza neppure scendere dall'auto, gli sparò a raffica con il fucile automatico, mentre M scese dalla "Polo" e tentò di sparare, ma l'arma si inceppò. F ha descritto il contributo concorsuale di MUZZ]: anche con riguardo alla fase preparatoria dell'omicidio, consistito nell'aver procurato la BMW oggetto della rapina di cui al capo 3), utilizzata in uno degli agguati precedenti perpetrati in danno del S, e la Fiat "Brava" usata nell'agguato fatale. Secondo i giudici di merito, la chiamata in correità di F, oltre ad essere credibile e attendibile intrinsecamente, era riscontrata dalle dichiarazioni di M, il quale, pur non avendo indicato il M tra gli esecutori materiali dell'omicidio, lo aveva accusato di aver partecipato alla rapina della BMW e di aver contribuito alla raccolta del denaro per l'acquisto del kalashnikov usato per l'omicidio.

5. Ha proposto ricorso per cassazione M M, per il tramite del proprio difensore di fiducia avv. Gugliemo STARACE, articolando i seguenti motivi.

5.1. Violazione degli artt. 36, comma 2, d.l. n. 23/2020 e 18 cod. proc. pen. con riferimento all'ordinanza del 21 aprile 2020, confermata in sede di appello, con la quale il giudice di primo grado aveva rigettato l'istanza di separazione formulata nell'interesse del ricorrente, osservando che gli artt. 83 d.l. n. 18/2020 e 36 d.l. 23/2020, nel prevedere, nonostante lo stato di emergenza conseguente alla pandemia, la necessaria trattazione dei procedimenti per i quali fosse applicabile l'art. 304 cod. proc. pen. e fosse prossima, entro sei mesi, la scadenza dei termini custodiali, non avevano fatto distinzione tra le posizioni di imputati liberi e detenuti. Tale ordinanza, ad avviso della difesa del M, doveva considerarsi illegittima, perché aveva interpretato le citate disposizioni in violazione degli artt. 3 e 32 Cost., non tutelando il diritto di uguaglianza tra imputati liberi da misura cautelare e imputati in analoga posizione processuale individuale, ma soggetti alla disuguaglianza a causa della posizione detentiva dei coimputati. Detto provvedimento violava anche il diritto alla salute tutelato per tutti i liberi cittadini sottoposti a processo penale. La Corte di merito aveva ribadito le argomentazioni del primo giudice, sottolineando che l'assenza dell'imputato doveva interpretarsi come "autonoma e legittima scelta";
dimenticava, tuttavia, che si era, all'epoca, in piena vigenza del c.d. "lockdown", ossia del divieto legislativo di uscire dalle proprie abitazioni fatta eccezione delle ipotesi normativamente previste. Tutte le altre argomentazioni (presunta inscindibilità delle posizioni, stato del procedimento, ruolo di udienza, differimento della trattazione che avrebbe comportato "un aggravio...del diritto alla salute", esigenza di bilanciamento tra diritto alla salute e altri diritti fondamentali e impossibilità di assimilare la condizione di M e MICELLI a quella di altri coimputati nei cui confronti la legislazione aveva contemplato il differimento della trattazione) non potevano che soccombere rispetto alla situazione di una persona, peraltro residente in un Comune diverso da Bari, cui era normativamente impedito di lasciare la propria abitazione e che era cosciente di avere un diritto, sancito da una norma di pari grado, al differimento dell'udienza in quanto riguardante due imputati processati a piede libero.

5.2. Illegittimità costituzionale dell'art. 36, comma 2, d.l. n. 23/2020 per violazione degli artt. 3 e 32 Cost. nella parte in cui non prevede un trattamento differenziato tra imputati processati singolarmente a piede liberó e imputati processati a piede libero unitamente ad imputati sottoposti a misura cautelare. L'eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata davanti ai giudici di merito, era stata soltanto sfiorata dalla impugnata sentenza, che, a pag. 9, l'aveva liquidata implicitamente trattando la questione processuale di cui al primo motivo mediante un vago riferimento all'art.32 Cost. (definito come diritto da "bilanciare" con "altri diritti fondamentali") e un apodittico riferimento all'art. 3 Cost., richiamato soltanto per definire impossibile "assimilare la condizione di M e MICELLI a quella di altri imputati liberi nei cui confronti la legislazione ha contemplato il differimento della trattazione, tenuto conto della presenza di coimputato detenuto con termini di custodia cautelare in scadenza". In realtà, tale interpretazione violava sia l'art. 3 Cost., in quanto rendeva diseguali posizioni personali assolutamente identiche (essere sottoposti a processo da persone libere), sia l'art. 32 Cost., in quanto non garantiva la tutela del diritto alla salute dell'imputato libero, costretto a recarsi al Palazzo di giustizia per partecipare alle udienze, e, conseguentemente, della salute pubblica. Insiste, quindi, il difensore nell'eccezione di incostituzionalità già proposta.

5.3. Mancanza assoluta della motivazione in relazione alle ragioni esposte nei motivi nuovi depositati, ai sensi dell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen., in data 10 settembre 2021, con i quali venivano segnalati punti decisivi in funzione della riforma della sentenza di primo grado.

5.4. Violazione di legge in relazione all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. nella valutazione dei riscontri esterni individualizzanti alle dichiarazioni rese dal coimputato U F. Nell'affermare che F e M avevano avviato la loro collaborazione in momenti diversi, per valorizzare l'indipendenza del loro narrato, la sentenza impugnata non aveva tenuto conto del fatto che F, proprio per aver iniziato la sua collaborazione due anni dopo le propalazioni rese da M, conosceva perfe1:tamente le dichiarazioni dell'altro. La Corte pugliese era incorsa nell'erronea applicazione dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. in quanto, dopo aver dato atto della divergenza delle dichiarazioni dei due collaboratori sull'elemento individualizzante della partecipazione di M all'esecuzione dell'omicidio del S (elemento introdotto ex novo da FSì0), aveva valorizzato, in termini di riscontro, quelle rese da M sul coinvolgimento del ricorrente nella fase preparatoria dell'omicidio, ben note all'altro collaborante che le aveva fatte proprie, trasferendo, così, in modo forzato, gli elementi di riscontro individualizzanti relativi alla fase preparatoria del delitto a quella esecutiva, della quale, tuttavia, aveva parlato esclusivamente F. Ulteriore errore nell'applicazione della richiamata disposizione processuale era costituito dall'affermazione conclusiva della Corte di merito secondo la quale le sentenze depositate dal Procuratore generale nel giudizio di appello avrebbero confermato il materiale probatorio, affermazione che, però, trascurava di considerare che in tali pronunce si dava credito alle dichiarazioni dei due collaboratori in quanto riferibili alle posizioni di altri imputati, e, quindi, insuscettibili di essere apprezzate sul piano della individualizzazione del riscontro nei confronti di M. Rileva, nel concludere sul punto, il difensore del ricorrente che mancava ogni riferimento in sentenza ad elementi comprovanti il coinvolgimento dell'imputato nell'attività di localizzazione della vittima descritta nel capo d'imputazione.
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