Cass. pen., sez. I, sentenza 27/04/2018, n. 18481
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ato la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da: 1) M L, nato il 30/01/1967;Avverso la sentenza emessa il 17/11/2016 dalla Corte di appello di Brescia;Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. A C;Sentite le conclusioni del Procuratore generale, in persona della dott.ssa M D N, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione;Sentito per il ricorrente l'avv. L F;RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della decisione impugnata, emessa dal Tribunale di Brescia 1'11/05/2016, ritenuto assorbito il reato di cui all'art. 697 cod. pen. nel reato di cui all'art. 695 cod. pen., rideterminava la pena irrogata a L M in 3 mesi di arresto e 400,00 euro di ammenda. 2. I fatti materiali in contestazione risultano incontroversi, riguardando la responsabilità del ricorrente, nella sua qualità di consigliere delegato e responsabile della gestione operativa della società Mega Italia Media s.r.1., per la detenzione e la messa in commercio tramite intemet di 72 confezioni di spray antiaggressione, contenente principio attivo di Oleorisin Capsicum, che presentava caratteristiche difformi da quelle prescritte dal D.M. 12 maggio 2011 n. 203. Tali difformità riguardavano sia la capienza delle bombolette sia la gittata della sostanza urticante contenuta. Sul piano sanzionatorio, il Giudice di appello bresciano rideterminava la pena irrogata a M dal Tribunale di Brescia - quantificata in 3 mesi di arresto e 550,00 euro di ammenda - nella diversa pena finale oggetto di vaglio. 3. Avverso la sentenza di appello L M, a mezzo dell'avv. L F, ricorreva per cassazione, deducendo cinque motivi di ricorso. Con il primo motivo si deduceva violazione di legge, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 695 cod. pen., indispensabile ai fini della formulazione del giudizio di responsabilità espresso nei confronti dell'imputato. Si deduceva, in proposito, che il giudizio di responsabilità formulato nei confronti di M non teneva conto della natura di illecito amministrativo della violazione contestata all'imputato. Ne conseguiva che la condanna del ricorrente era intervenuta in violazione dell'art. 1 del d.lgs. 1 dicembre 2009, n. 179 e dell'allegato E della legge 20 marzo 1865, n. 2248, per effetto della quale, in via subordinata al mancato accoglimento della doglianza principale, si proponeva incidente di costituzionalità, per violazione dell'art. 76 Cost. Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione, conseguenti all'erroneo inquadramento della vicenda criminosa contestata a M, censurato per la mancata applicazione al caso di specie dell'art. 2, comma 3, legge 18 aprile 1975, n. 110, così come riformulato dall'art.2, comma 1, lett. a), d.lgs. 29 settembre 2013, n. 121, dalla quale discendeva la depenalizzazione delle condotte ascritte all'imputato. Con il terzo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento agli artt. 695 e 704 cod. pen., conseguenti all'erroneo inquadramento della fattispecie contestata a M, censurata sotto il profilo dell'inoffensività della condotta illecita ascritta all'imputato. Con il quarto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento all'art. 49, comma secondo, cod. pen., conseguenti al fatto che la decisione in esame non teneva conto delle effettive potenzialità lesive delle bombolette spray in contestazione, che era stata affermata assertivamente dalla Corte territoriale bresciana, in assenza di specifici accertamenti tecnici. Con il quinto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione, conseguenti al fatto che la decisione in esame non teneva conto dell'assenza di consapevolezza dell'illiceità del comportamento di M, per il quale si invocava l'applicazione dell'art. 5 cod. pen., così come reinterpretato dalla sentenza della Corte costituzionale 24 marzo 1988, n. 368. Queste ragioni imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. In via preliminare, deve rilevarsi che la detenzione e la messa in commercio di bombolette spray antiaggressione, contenente oleorisin capsicum, secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, integra il reato di cui all'art. 695 cod. pen. Occorre, in proposito, richiamare la giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui la detenzione di bombolette spray urticante a base di oleoresin capsicum è riconducibile alla fattispecie di reato contestata a M, laddove tale strumento di autodifesa «non rispetti le caratteristiche stabilite dal decreto ministeriale 12 maggio 2011 n. 103» (Sez. 1, n. 57624 del 29/09/2017, Greco, Rv. 271901). Tale inquadramento discende dalla disciplina contenuta nel D.M. 12 maggio 2011, n. 203, con cui il Ministero dell'Interno individuava le condizioni in presenza delle quali uno strumento di difesa poteva presentare caratteristiche di offensività tali da costituire, come nel caso in esame, un pericolo per la pubblica incolumità. Appare, pertanto, condivisibile l'assunto posto a fondamento della decisione impugnata, secondo cui spetta al Ministero dell'Interno l'individuazione delle condizioni per ritenere uno strumento di autodifesa - non riconducibile né alle armi da guerra o tipo guerra né alle armi comuni da sparo - pericoloso per la pubblica incolumità (Sez. 1, n. 14807 del 07/01/2016, Delmastro, Rv. 267284;Sez. 1, n. 3116 del 24/10/2011, dep. 2012, Cantieri, Rv. 251825). Non sussistono, per altro verso, elementi normativi da cui desumere l'intervenuta depenalizzazione delle condotte contestate a M, con riferimento alla detenzione e alla messa in commercio di bombolette spray antiaggressione, ai sensi dell'art. 2, comma 3, della legge n. 110 del 1975. Deve, in proposito, rilevarsi che, sul punto, i precedenti giurisprudenziali citati concordano sulla natura penale della violazione allorquando non siano rispettate le condizioni indicate dal D.M. n. 103 del 2011. Né si ritiene possibile una lettura dell'art. 2, comma 3, della legge n. 110 del 1975 alternativa a quella recepita nella sentenza impugnata e orientata nella direzione invocata da M. Si consideri, al riguardo, che, secondo l'art. 2, comma 3, della legge n. 110 del 1975, non sono «armi gli strumenti ad aria compressa o gas compresso a canna liscia e a funzionamento non automatico, destinati al lancio di capsule sferiche marcatrici biodegradabili, prive di sostanze o preparati di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, che erogano una energia cinetica non superiore a 12,7 joule, purché di calibro non inferiore a 12,7 millimetri e non superiore a 17,27 millimetri [...]». In questa elencazione, all'evidenza, non sono comprese le bombolette spray antiaggressione di cui si controverte, con la conseguenza che, in assenza di differenti indicazioni normative, non è possibile ricondurre tali strumenti alla previsione dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 110 del 1975, invocata dalla difesa di M, che presuppone il "lancio di capsule sferiche marcatrici biodegradabili", non riscontrabile nel caso in esame, nel quale l'offensività non è collegata al lancio di capsule. Il D.M. 12 maggio 2011 citato, dunque, opera nel senso di individuare i criteri tecnici di ammissibilità degli oggetti richiamati dall'art. 2, comma 3, della legge n. 110 del 1975 citando una serie di requisiti tecnici. Queste considerazioni non consentono di ricondurre il comportamento criminoso di M all'illecito amministrativo invocato in sua difesa, dovendosi ribadire, in linea con quanto affermato da questa Corte, che, per le bombolette spray contenente oleorisin capsicum, l'entrata in vigore del D.M. n. 103 del 2011 ha comportato «l'enucleazione di tale sostanza come idonea, in linea di principio, a garantire l'autodifesa, però stabilendo in pari tempo le caratteristiche tecniche che debbono possedere i relativi contenitori finalizzati a nebulizzare il principio attivo naturale a base di detta sostanza per escludere ogni loro attitudine a recare offesa alla persona» (Sez. 1, n. 8624 del 20/09/2017, dep. 2018, Eldhib, non mass.).Né sul punto, il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale bresciana appare censurabile, com'evidente dal passaggio motivazionale esplicitato a pagina 8 della sentenza impugnata, in cui, conformemente alla giurisprudenza di legittimità che si è richiamata (Sez. 1, n. 14807 del 07/01/2016, Delmastro, cit.;Sez. 1, n. 3116 del 24/10/2011, dep. 2012, Cantieri, cit.), si osservava che «il regolamento adottato dal Ministero dell'Interno non fa altro che individuare, in maniera del tutto condivisibile e corretta, i parametri da osservare nella materia degli strumenti di autodifesa, evidenziando quali sono le caratteristiche che possono determinare un pericolo consistente alla persona [...]». Veniva, in questo modo, confutato, con argomenti ineccepibili, l'assunto difensivo secondo cui non è di competenza del Ministero dell'Interno stabilire quale normativa si debba applicare agli strumenti di autodifesa che non siano conformi al decreto ministeriale citato, potendo una tale disciplina essere stabilita solo dalla legge.
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