Cass. civ., sez. II, sentenza 09/05/2019, n. 12317

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 09/05/2019, n. 12317
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12317
Data del deposito : 9 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 9764/2014 R.G. proposto da DE G P, DE G A (n. il 21 marzo 1942), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall'avv. F C, con domicilio eletto in Roma, via di Villa Grazioli 15, presso lo studio dell'avv. B G;
-ricorrenti -

contro

DE G A (n. il 20 marzo 1952), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall'avv. F P G, con domicilio eletto in Roma, via Fulcieri Paulucci de' Calboli 60, presso lo studio dell'avv. C A;
-controricorrenti- D G F;
-intimato- avverso la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro n. 599 depositata il 6 maggio 2013. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 novembre 2018 dal Consigliere G T;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S D C che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'avv. R C, per delega, per i ricorrenti.

FATTI DI CAUSA

La Corte d'appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Castrovillari ha ordinato la divisione dei beni ereditari di D G P V, il quale era deceduto ab intestato il 9 agosto 1983, lasciando i figli nati dal primo patrimonio P e A D G, il coniuge G G e i figli nati dal matrimonio con questa F e A D G (n. il 1952). La causa era stata proposta dai figli nati dal primo matrimonio contro i coeredi e nel giudizio fu richiesto che i figli in secondo nozze conferissero in collazione dei terreni in Castrovillari loro donati dal de cuius con atto del 23 luglio 1990. I medesimi attori iniziavano poi un'altra causa al fine di ottenere l'accertamento che la vendita per notaio M del 23 settembre 1957, con la quale il de cuius aveva venduto a G G, all'epoca ancora nubile, altro appezzamento di terreno in Castrovillari, simulava una donazione soggetta a collazione. Gli attori sostenevano che l'obbligo di collazione di quanto simulatamente donato doveva essere esteso ai figli della Guaragna, ai quali la donataria aveva a sua volta donato il bene. La corte d'appello rilevava, quanto alla donazione fatta ai figli in seconde nozze, che essa era stata fatta con dispensa da collazione, per cui la liberalità non doveva costituire oggetto di conferimento. Quanto alla vendita intercorsa fra il de cuius e il futuro coniuge G G nel 1957, la corte rilevava che gli attori non avevano dedotto in giudizio la lesione della loro quota di legittima, né avevano proposto l'azione di riduzione. Conseguentemente essi non - 2 - potevano giovarsi delle agevolazioni probatorie concesse al legittimario, avendo agito come eredi del de cuius ai fini della ricostituzione dell'asse ereditario. La corte, quindi, concludeva che la divisione dovesse farsi solo sui beni relitti, costituiti da un terreno in Castrovillari e dalla la quota di 1/2 di un fabbricato in Francavilla Fontana, sui quali i legittimari dovevano comunque intendersi chiamati, in applicazione dell'art. 553 c.c., per quota non inferiore a quella di riserva determinata sulla base della riunione fittizia del relictum al donatum, costituito dalla donazione effettuata in vita dal de cuius in favore dei figli del secondo matrimonio con l'atto del 1990. Contro la sentenza P De Gaudio e A D G hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il ricorso è stato notificato a D G A e De Gaudio F anche in qualità di eredi della G G, nel frattempo deceduta. D G A ha resistito con controricorso, mentre De Gaudio F è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In considerazione della morte di G G, contumace nel giudizio d'appello, il ricorso è proposto

contro

De Gaudio F e D G A, parti costitute nel giudizio d'appello, sia nella loro qualità originaria, sia nella loro qualità di eredi della Guaragna. Il ricorrente ha quindi provveduto alla notifica del ricorso a D G A e De Gaudio F sia nel domicilio eletto per il giudizio d'appello, sia personalmente nella qualità di eredi della madre deceduta. La notificazione personale è stata fatta ai due eredi a mezzo del servizio postale, tuttavia è stato prodotto l'avviso di ricevimento della sola notificazione eseguita al controricorrente D G A e non - 3 - anche quella a De Gaudio F, rimasto intimato nel giudizio di cassazione. In relazione a tale carenza non occorre disporre la rinnovazione della notificazione, dovendo trovare applicazione il principio secondo cui «[...] qualora una medesima persona fisica cumuli in sé la qualità di parte in proprio e quale erede di altro soggetto, non è necessario provvedere all'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, quale erede, ove la stessa sia già costituita in proprio, ravvisandosi nella specie l'unicità della parte in senso sostanziale (Cass. n. 6844/2012;
conf. n. 13411/2008;
n. 1613/2003). Il principio, benché letteralmente riferito all'erede già costituito in proprio, è applicabile anche nel caso in esame. Si ribadisce che il ricorso, proposto

contro

De Gaudio F, nella duplice qualità, è stato a costui notificato presso il difensore nel domicilio eletto. Una ulteriore notificazione nella qualità di erede sarebbe superflua e contraria al principio di ragionevole durata del processo, in quanto riferita a un atto del quale il destinatario ha già avuto legale conoscenza (Cass. n. 1613/2003 cit.).

2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art.1417 c.c. Si sostiene che, ai fini della prova della simulazione degli atti compiuti dal de cuius, deve riconoscersi la veste di terzo anche all'erede legittimo che chieda, nei confronti del coerede, l'accertamento della simulazione al fine della collazione. Tale facoltà è stata ingiustamente negata dalla Corte d'appello, in base al rilievo che la qualità di terzo compete solo al coerede quando agisca quale legittimario ai fini del recupero o della reintegrazione della quota di riserva. Il secondo motivo, coordinato con il precedente, denuncia violazione degli art. 3 e 24 della Cost.

4 - Se fosse vero che l'erede che fa valere la simulazione al fine di ottenere la collazione della donazione dissimulata è soggetto ai limiti probatori imposti ai contraenti, il principio sarebbe irragionevole, non avendo l'erede alcuna possibilità di provare diversamente la simulazione orchestrata in suo danno.

3. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. La corte ha fatto applicazione di un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte. Agli effetti della prova della simulazione di atti posti in essere da de cuius, bisogna distinguere fra la situazione del legittimario che agisce a tutela della quota di riserva e quella del legittimario che propone una mera istanza di collazione. Nel primo caso il legittimario, anche se chiamato a una quota di eredità, ha la veste di terzo, purché, congiuntamente con la domanda di simulazione, proponga, nello stesso giudizio, un'azione diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell'asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso. Nel secondo caso il legittimario agisce come successore a titolo universale del de cuius per l'acquisizione al patrimonio ereditario del bene oggetto del contratto simulato: egli, pertanto, si trova nella medesima posizione giuridica del dante causa ed è quindi soggetto ai limiti imposti ai contraenti per la prova della simulazione (Cass. n. 7134;/2001;
n. 2093/2000;
nello stesso senso Cass. n. 7237/2017;
n. 3932/2016).

4. Mentre l'azione di riduzione riflette un'autonoma legittimazione del legittimario ad agire contro la volontà del defunto (e ciò appunto giustifica la qualità di terzo rispetto al negozio simulato posto in essere dal de cuius), la collazione trova il suo fondamento nella presunzione (conforme alla corrente valutazione sociale) che il de cuius, facendo in vita donazioni al coniuge e ai figli, abbia semplicemente voluto compiere delle attribuzioni patrimoniali gratuite in anticipo sulla futura successione (Cass. n. 989/1995). - 5 - In questo senso funzione della collazione è di conservare fra gli eredi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo ai coeredi, che siano il coniuge o il discendente, di conteggiare il valore della quota non solo sui beni relitti, ma anche sui beni donati a taluno di loro. Il criterio di ripartizione, tenuto dal testatore o stabilito dalla legge, è operante anche in sede di collazione (Cass. n. 21896/2004). La quota di riserva è riservata al legittimario da norme cogenti, mentre le norme sulla collazione sono derogabili: una diversa volontà del de cuius, manifestata attraverso un atto di dispensa formalmente valido (Cass. n. 1843/1961), trova unico limite nella intangibilità dei diritti dei legittimari (Cass. n. 836/1973). La dispensa dalla collazione sottrae il donatario del conferimento, ma non importa l'esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile (Cass. n. 74/1967). La dispensa da collazione non sottrae la donazione dalla riduzione se essa sia lesiva della legittima altrui (Cass. n. 13660/2017).

5. Si osserva che in quanto la collazione obbliga i coeredi accettanti a conferire nell'asse ereditario i beni ricevuti con atti di liberalità, essa può raggiungere il risultato di eliminare le eventuali lesioni di legittima realizzati attraverso tali atti, senza necessità del ricorso alla tutela apprestata dalla legge per la quota di legittima (Cass. n. 1521/1980). Tuttavia l'eventualità che la collazione, tramite il rientro del bene donato nella massa da dividere, possa sortire l'effetto di porre rimedio a una lesione di legittima non significa che la collazione debba essere intesa come strumento per reintegrare la legittima (Cass. n. 22097/2015). Senza che sia necessario indugiare sulle molteplici differenza fra collazione e azione di riduzione, agli effetti che qui rilevano è sufficiente considerare che non ogni donazione soggetta a collazione, in quanto fatta al coniuge e al discendente, è contemporaneamente soggetta a riduzione e viceversa. -6 Ex art. 559 c.c. le donazioni non si riducono proporzionalmente come le disposizioni testamentarie, ma «cominciando dall'ultima e risalendo via via alle anteriori» (art. 559 c.c.). Tale norma consente al legittimario di aggredire la donazione meno recente solo quando la riduzione della donazione più recente non sia stata sufficiente a reintegrare la quota di riserva (cfr. 22632/2009;
n. 3500/1975). Ma se tanto il legittimario quanto il donatario sono coeredi discendenti (o il coniuge) del defunto, il fatto che la donazione anteriore non superi la disponibile, non sottrae la liberalità dalla collazione. Infatti, per la collazione non esiste differenza tra disponibile e indisponibile e il riferimento che a tali concetti fa l'art. 737 c.c. non rende rilevante la distinzione ai fini della collazione, ma costituisce applicazione del principio stabilito dall'art. 556 c.c., giacché la dispensa da collazione non può mai risolversi in una lesione dell'altrui legittima: il che peraltro non significa che se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile, l'eccedenza è soggetta a collazione, ma piuttosto che il donatario è esposto, per l'eccedenza, all'azione di riduzione (Cass. n. 711/1966).
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