Cass. pen., sez. VI, sentenza 23/10/2020, n. 29551
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seguente SENTENZA sui ricorsi presentati da 1. T V G, nato a Cassino (FR) il 10/10/1951 2. T L, nato a Cassino (FR) il 17/02/1973 avverso il decreto del 10/10/2019 della Corte di appello di Roma;visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;udita la relazione svolta dal Consigliere E A;letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale G D L, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento sopra indicato la Corte di appello di Roma confermava il decreto dell'Il dicembre 2018 con il quale il Tribunale di Frosinone aveva rigettato la richiesta avanzata da V G T e da L T di revoca del decreto di confisca dei beni e delle quote societarie a loro appartenenti, disposta - con decisione irrevocabile - nell'ambito del procedimento di prevenzione svoltosi a carico dei due proposti. Rilevava la Corte di appello come le questioni che erano state poste a fondamento della richiesta di revoca non potessero essere considerare "nuove", in quanto già esaminate tanto nell'originario procedimento con cui era stata valutata la richiesta di applicazione della misura di prevenzione, quanto, e soprattutto, nel procedimento con cui era stata decisa una precedente analoga richiesta di revoca del decreto di confisca, definito con provvedimento anch'esso definitivo. 2. Avverso tale decreto ha presentato ricorso V G T, con due distinti atti sottoscritti rispettivamente il primo dall'avv. A C, il secondo dall'avv. C M, il quale - con più punti dal tenore in gran parte sovrapponibile - ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 1, lett. b) e 4, d.lgs. n. 159 del 2011, e il vizio di motivazione, per apparenza, per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto irrilevante la circostanza che V G T sia stato mandato assolto dal reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso in relazione a fatti che erano stati posti a base dell'originario decreto di confisca dei beni a lui appartenenti, continuando ad utilizzare le dichiarazioni confessorie del suo principale accusatore in quel processo, Salvatore Giuliano;nonché valorizzando le risultan di altre risalenti vicende giudiziarie di scarsa e generica valenza indiziaria ovvero (con riferimento alla contestata disponibilità di capi di abbigliamento con marchi contraffatti) riguardanti episodi cui il Terenzio era estraneo o conclusesi anch'esse con decisioni assolutorie: elementi, dunque, congetturali e oggettivamente inidonei a fondare un giudizio di attualità della pericolosità sociale. 2.1. Con memoria depositata il 21 settembre 2020 l'avv. Claudio D'Isa (nominato in sostituzione dell'avv. C M) ha formulato 'motivi aggiunti' nell'interesse di V G T: da un lato, richiamando il contenuto della sentenza assolutoria emessa nei riguardi del proprio assistito, da considerarsi prova nuova, sottovalutata dalla Corte di appello di Roma che, peraltro, ha fatto erroneamente riferimento alla disciplina dell'art. 4 del d.lgs. n. 159 del 2011, inapplicabile nel caso di specie nel quale la pericolosità del proposto è stata affermata sulla base della previgente disciplina in materia di misure di prevenzione (art. 4, comunque, irrilevante nella parte in cui è stata richiamata la lett. b) del comma 1, concernente ipotesi di pericolosità mai contestata al Terenzio;ed 'inefficace' nella parte in cui è stata richiamata la lett. c) del comma 1, perché relativa a disposizione dichiarata illegittima costituzionalmente dalla sentenza della Consulta n. 24 del 2019);da altro lato, evidenziando come proprio l'anzidetta sentenza della Corte costituzionale, contenente i criteri per una corretta applicazione dell'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., impone oggi di rivalutare la pericolosità sociale del Terenzio alla luce delle "indicazioni interpretative" prescritte dal Giudice delle leggi. 3. Avverso il medesimo decreto ha proposto ricorso anche L T, con atto sottoscritto dall'avv. P B, il quale, con cinque distinti punti, ha dedotto i motivi così sintetizzabili. 3.1. In via preliminare, sollevarsi questione di legittimità costituzionale degli artt. 7 legge n. 1423 del 1956, 28 e 117 d.lgs. n. 159 del 2011, per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost., nella parte in cui precludono al destinatario di una misura di prevenzione applicata ai sensi della legge n. 1423 del 1956 di chiedere la revoca del decreto ai sensi del suddetto art. 28, dunque di rivolgere la richiesta - al pari di quanto accade per la revisione delle sentenze irrevocabili ex art. 630 cod. proc. pen. - ad altra Corte di appello individuata ai sensi dell'art.11 cod. proc. pen. (giudice maggiormente imparziale) e non anche alla stessa Corte di appello che ha definito il procedimento;in via subordinata dichiararsi la nullità del provvedimento gravato in quanto adottato da giudice funzionalmente incompetente. 3.2. Rimettere alle Sezioni Unite della Corte di cassazione il ricorso per poter definire il contrasto giurisprudenziale in ordine alla possibilità di presentare la richiesta di revocazione della misura di prevenzione anche per vizio di motivazione oltre che per violazione di legge. 3.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 4 legge n. 1423 del 1956, e mancanza di motivazione, per avere la Corte di appello ingiustificatamente escluso l'esistenza di un contrasto tra il giudicato di merito e quello della prevenzione, benché la misura ablativa fosse stata adottata esclusivamente sulla base degli elementi di accusa, in specie delle dichiarazioni accusatorie rese dal sedicente collaboratore Salvatore Giuliano, valorizzati nel giudizio penale poi definito con l'assoluzione piena di L T. 3.4. Violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte territoriale erroneamente omesso di considerare gli effetti della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, posto che nel provvedimento applicativo della misura di prevenzione la pericolosità sociale del proposto era stata basata utilizzando come parametro normativo la disposizione che è stata dichiarata contraria ai parametri della Carta fondamentale. 3.5. Violazione di legge e mancanza di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso di rispondere alla specifica doglianza formulata con l'appello relativa alla circostanza che la misura di prevenzione fosse stata adottata in un procedimento nel quale era difettata una correlazione tra chiesto e deciso (requisito il cui rispetto è stato previsto, in materia, dalla Consulta con la già citata sentenza n. 24 del 2019), essendo stata formulata una richiesta ipotizzando una pericolosità qualificata del proposto ed essendo stata poi applicata la misura sulla base dell'accertata esistenza di una pericolosità generica.
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