Cass. pen., sez. I, sentenza 12/01/2023, n. 00805

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 12/01/2023, n. 00805
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 00805
Data del deposito : 12 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MALINCONICO MASSIMO nato a NAPOLI il 12/10/1983 avverso l'ordinanza del 11/05/2022 del TRIB. LIBERTA' di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere C R;
lette le conclusioni del PG, ASSUNTA COCOMELLO, che ha chiesto il rigetto del ricorso. Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza dell'il. maggio 2022 il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l'ordinanza cautelare di applicazione della custodia in carcere nei confronti di M M emessa dal g.i.p. del Tribunale di Napoli in relazione al reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. per la sua partecipazione quale associato al clan camorristico "Moccia".

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'indagato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi, di seguito esposti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, in quanto le condotte che gli vengono addebitate, ed in particolare l'aver incontrato diverse volte A M o altri esponenti del clan (un matrimonio, un pranzo di famiglia presso il ristorante Zi' Teresa per la Festa della Mamma), sono in realtà neutre in quanto conseguenza dei rapporti di parentela esistenti tra l'indagato ed i f M. Nel motivo si contestualizzano alcune condotte contestate al ricorrente nella ordinanza cautelare (il componimento dello scontro tra F D S e P C, lo scontro con A P) e se ne spiega l'origine meramente privata (amicizia con D S, relazione extraconiugale del P con la sorella del ricorrente) illogicamente non valorizzata dal Tribunale del riesame. Nel motivo si censura anche che l'ordinanza impugnata abbia valorizzato come indizio a carico anche la conversazione in cui A A riferisce a N Avverso che il ricorrente avrebbe dato 1.000 euro al genero di Francesco Favella dicendogli di tenerlo per quando il suocero uscirà dal carcere, affermando che su tale dazione non vi è alcun riscontro e che questo pagamento è molto improbabile sia avvenuto perché la persona indicata è stata appena condannata a 26 anni di reclusione. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in punto di mancata riqualificazione del fatto in quello dell'art. 418 cod. pen., in quanto al più l'assistenza sarebbe avvenuta in favore di singoli associati, ma non del clan nel suo complesso.

3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, dr.ssa Assunta Cocomello, ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il primo motivo, dedicato alla contestazione della ordinanza impugnata sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza, è infondato. Nella ordinanza impugnata i gravi indizi di colpevolezza della partecipazione di M al clan Moccia sono stati ricavati da dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e videoriprese avvenute presso il distributore di benzina del ricorrente. La ordinanza del riesame attribuisce rilievo, ad esempio, alle dichiarazioni del collaboratore Domenico Esposito, che riferisce che M prima di gestire la pompa di benzina aveva una attività di distribuzione di caffè ed imponeva l'acquisto del caffè ai bar della zona, un comportamento che in modo non illogico è stato considerato co-elemento di valutazione dell'appartenenza ad una associazione mafiosa, in quanto solo l'appartenente ad un clan che controlla il territorio può permettersi di imporre una prestazione di questo tipo alle attività commerciali stanziate sul territorio di appartenenza. La ordinanza del riesame attribuisce rilievo anche alle dichiarazioni del collaboratore A I, che riferisce che M ordinò di non commettere condotte estorsive alla pompa di benzina di S C, fatto che in modo non illogico il Tribunale del riesame ha ritenuto essere indice di partecipazione al clan Moccia, perché solo un esponente del clan poteva permettersi di ingerire in questo modo in una attività criminale. La ordinanza del riesame attribuisce rilievo anche alle dichiarazioni del collaboratore M P, che riferisce che presso il bar annesso al distributore di benzina di M il clan Moccia teneva le sue riunioni, circostanza che il Tribunale del riesame ha ritenuto confermata dai servizi di osservazione e controllo, svolti anche con l'ausilio delle telecamere di sicurezza, e che il ricorso aggredisce in modo non incisivo quando afferma che la stazione di servizio è molto frequentata e che il gestore non poteva impedire che le persone si incontrassero presso il bar del distributore. Né il ricorso riesce ad aggredire efficacemente l'ordinanza del riesame quando contesta l'origine privata dell'intervento di M nello scontro Chirico/D S, perché non è illogica la motivazione del Tribunale che soltanto un sodale del clan possa essere coinvolto nell'opera di componimento degli interessi di due imprenditori vicini al clan. Allo stesso modo non è illogico che il Tribunale del riesame abbia valorizzato come ulteriore indizio di appartenenza all'associazione criminale la vicenda P. In ricorso si sostiene la natura meramente privata di questa vicenda, nata da una relazione extraconiugale che P coltivava con la sorella di M, ma la natura privata dello scontro con P non è travisata dal Tribunale del riesame che ne dà atto senza omissioni, ritenendo, però, che ciò che è rilevante non è l'origine dello scontro, ma che P si rivolga ad A M per risolvere la questione con M. Si tratta di argomento non illogico, ed anzi molto acuto, perché ci si rivolge al capoclan per risolvere un contrasto con un associato al clan;
non si spiegherebbe, d'altronde, in altro modo a che titolo, se non a quello di capo del clan, Moccia potesse imporre a M la cessazione di un comportamento che riguardava, in definitiva, un rapporto tra fratello e sorella. Non è errato processualmente che il Tribunale del riesame abbia usato nel proprio apparato argomentativo anche la circostanza che M abbia pagato il genero di un associato al clan Moccia finito in carcere, atteso che tale circostanza risulta da una intercettazione, non da dichiarazioni di collaboratori, e, quindi, a differenza di quanto si sostiene in ricorso, non è soggetta all'obbligo di riscontri ex art. 192, comma 3, cod. proc. pen., mentre a poco rileva che la condanna a pena detentiva sia molto lontana dall'essere espiata, perché l'accordo sulla necessità di conservare la somma per il detenuto può essere anche letta come una indicazione della causale della dazione (per il suocero, non per il genero), che lascia libero poi il primo di disporne in favore delle esigenze più immediate dei familiari in libertà. Peraltro, la circostanza della dazione è anche verosimile perché da altre intercettazioni emerge che questa persona si era rivolta ai Moccia perché aveva pressante bisogno di denaro. In definitiva, in una situazione in cui negli atti a disposizione del Tribunale del riesame è provato che M abbia messo a disposizione degli affiliati i locali del distributore, abbia partecipato alle decisioni, abbia portato ai sodali notizie o messaggi provenienti, o autorizzati, dai Moccia, abbia dato sostègno materiale agli affiliati o ai loro parenti, del tutto coerente è la conclusione della ordinanza impugnata che ritiene a carico del ricorrente l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza della partecipazione all'associazione, conclusione che il ricorso non riesce ad aggredire efficacemente.
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