Cass. pen., sez. III, sentenza 02/02/2022, n. 03716

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 02/02/2022, n. 03716
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 03716
Data del deposito : 2 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto dal Fallimento Media Coop. Società cooperativa a r.l. in persona del curatore C S, avverso l'ordinanza del 06-07-2021 del Tribunale della libertà di Napoli;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi trattati ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. n. 137 del 2020 a seguito si richiesta di discussione orale;
udita la relazione del Consigliere V D N;
Udita la requisitoria del Procuratore Generale, V M, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata;
Udite le conclusioni dell'avv. L B che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. C S, nella qualità di curatrice del Fallimento Media Coop. Società cooperativa a r.I., ricorre per la cassazione dell'ordinanza del 6 luglio 2021 con la quale il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro adottato in data 30 aprile 2021 dal Gip presso il Tribunale di Napoli e disposto per reati tributari.

2. Il ricorso è affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge in relazione alle norme che regolano la competenza per territorio (art. 8 cod. proc. pen. e art. 18 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74). Premette che, in sede di istanza di riesame, la difesa aveva preliminarmente eccepito l'incompetenza territoriale del Giudice per le Indagini Preliminari presso il tribunale di Napoli, in favore del Autorità Giudiziaria di Trani. Nell'ordinanza del GIP, quanto al reato provvisoriamente contestato (art. 10- quater d.lgs. n. 74 del 2000) era stato infatti preliminarmente riconosciuto che, trattandosi di reato che si perfeziona attraverso la presentazione del modello F24, con il quale viene effettuata l'indebita compensazione, competente per territorio sarebbe il luogo ove tale attività viene svolta. Il primo giudice avrebbe tuttavia ritenuto che, non essendo stato possibile statuire con certezza il luogo da cui è avvenuto l'invio dei modelli F24, la competenza andasse determinata in relazione al luogo di accertamento del reato. Obietta, invece, il ricorrente che, nel capo n. 78 delle provvisorie imputazioni, è stato espressamente identificato in Savino Selvarolo colui che, in qualità di consulente fiscale e intermediario abilitato ai servizi telematici "Entrate!" dell'Agenzia delle Entrate, aveva inviato telematicamente i modelli F24 che consentivano di beneficiare di indebite compensazioni. Nella stessa ordinanza veniva segnalato quale luogo dell'attività professionale del Savino il suo studio in Andria (BAT), dovendosi pertanto in tale studio professionale individuare il luogo dove sono stati presentati i modelli F24, tramite invio telematico. Il Tribunale del riesame, senza affrontare il tema devoluto, avrebbe genericamente dichiarato di condividere le argomentazioni del GIP ed ha evocato un precedente di legittimità che, letto nella sua interezza, confermerebbe, ad avviso delil ricorrente, quanto sostenuto dalla difesa, con la conseguenza che, nel caso in questione, essendo individuabile con certezza il luogo di presentazione dei modelli F24, e quindi di consumazione del reato, la competenza territoriale, in ossequio alla corretta applicazione degli artt. 8 cod. proc. pen. e 18 d.lgs. n. 74 del 2000, deve radicarsi in capo all'Autorità Giudiziari di Trani.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge (artt.321 cod. proc. pen. e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000), in relazione alla possibilità di operare il sequestro preventivo, ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen., di beni rientranti nella massa fallimentare. Osserva il ricorrente come la più recente giurisprudenza di legittimità sia orientata nel senso che, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, il sequestro preventivo dei beni della società finalizzato alla confisca diretta del profitto non può più essere eseguito, mentre può essere eseguito solo quello finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell'indagato, tant'è che la peculiare natura dell'attivo fallimentare, derivante da tale spossessamento, sarebbe di ostacolo all'applicabilità del d.lgs. n. 74 del 2000 art. 12-bis che individua, quale limite all'operatività della confisca, l'appartenenza dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Ricorda come lo stesso principio fosse già stato incidentalmente affrontato e confermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 45946 del 2019 nell'ambito della quale si dava per acquisita l'esclusione della possibilità di eseguire il sequestro su beni appartenenti alla massa fallimentare, e quindi in una situazione cronologica di posteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento, in quanto sui beni che si trovano in questa condizione si è ormai costituito un potere di fatto della curatela. Il Tribunale del Riesame di Napoli, invece, ha ritenuto di aderire a un diverso criterio ermeneutico, attinente tuttavia ad una fattispecie differente riguardante l'istituto del concordato preventivo (quindi a uno strumento di risoluzione della crisi di impresa volto proprio ad evitare il fallimento) e alla utilizzazione dì un bene oggettivamente e intrinsecamente pericoloso (che sembra richiamare il comma 1, e non il comma 2, dell'art. 321 cod. proc. pen.). Ciò posto, deduce il ricorrente che anche l'orientamento patrocinato dal Collegio cautelare esclude dalla sottoposizione al sequestro e/o a confisca i beni che debbono essere restituiti al danneggiato e quelli sui quali il terzo abbia acquisito diritti in buona fede. Il Tribunale del riesame, pur prendendo atto di tale principio, ha ritenuto però che i soggetti insinuati al passivo non possano essere considerati terzi acquirenti in buona fede, ma senza spiegarne il motivo, nonostante la difesa avesse prodotto documentazione dalla quale risultava pacificamente come vi fossero numerosi crediti maturati da lavoratori subordinati che certamente rientravano tra i soggetti terzi estranei ai reati avendo acquisito diritti di credito, da lavoro subordinato, in perfetta buona fede e in epoca antecedente al sequestro penale.Il quale, pertanto, non doveva essere eseguito, violando la par condicio creditorum e ponendosi in aperto contrasto con la finalità evidentemente sanzionatoria, richiamata dalla stessa ordinanza impugnata, perseguita dalla confisca prevista in tema di reati tributari, quale strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato, con la conseguenza che proprio l'evidente finalità sanzionatoria, come si desume dal testo del provvedimento impugnato, sottrarrebbe al Fallimento i beni frutto di attività recuperatorie (e quindi di attività lecite), poste in essere dal curatore al fine di garantire soggetti terzi che avevano maturato crediti legittimi e di buona fede, risultando, peraltro, sostanzialmente privi di interesse, allo stato, i riferimenti al futuro Codice della crisi di impresa (d.lgs. 12/01/2019, n. 14), posto che lo stesso non è, in parte qua, entrato in vigore e non può certo essere utilizzato come parametro di riferimento sul quale fondare la decisione. In ogni caso, il ricorrente insta, ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen., affinché il ricorso sia rimesso alle Sezioni Unite sul presupposto dell'esistenza di un evidente contrasto giurisprudenziale sul tema relativo alla possibilità, a fronte del fallimento di una società, di sequestrare, ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen., i beni rientranti nella massa fallimentare.

3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto dell'eccezione di incompetenza per territorio e, comunque, per l'annullamento senza rinvio dell'impugnata ordinanza sul rilievo che, pur in presenza di un diverso indirizzo, si sarebbe recentemente consolidato l'orientamento giurisprudenziale di legittimità inforza del quale, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 12 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000, non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento. Del resto, è stato osservato, il vincolo apposto sui beni del fallito a seguito della apertura della procedura concorsuale, oltre a "spossessare" la società fallita dai beni che costituiscono la garanzia patrimoniale del ceto creditorio, conferisce al curatore, che insieme al Tribunale e al giudice delegato ne è l'organo, il potere di gestione di tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento e garantire la par condicio dei creditori, i quali, in virtù dell'ammissione al passivo, sono portatori di diritti alla conservazione dell'attivo, nella prospettiva della migliore soddisfazione dei loro crediti, che trovano così riconoscimento e tutela, pur convivendo fino alla vendita fallimentare con quelli di proprietà del fallito e con il vincolo concorsuale, con la conseguenza che - siccome il sequestro preventivo in via diretta nei confronti del Consorzio Progresso Logistico a r.l. venne disposto in data 30 aprile 2021) allorquando quest'ultima era già stata dichiarata fallita in data 01 agosto 2019 - i beni della stessa erano ormai passati nella disponibilità della curatela, diventando insuscettibili di ablazione, e dunque anche di sequestro ad essa finalizzato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.

2. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza. A tal proposito, è sufficiente considerare come il reato tributario (art. 10- quater d.lgs. n. 74 del 2000) sia connesso (ex art. 12, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.) al reato associativo (art. 416 cod. pen.), che è stato provvisoriamente contestato alla stessa stregua del reato tributario, tra gli altri, a Luigi Di Fenza e a Michele Sorbo, in concorso tra loro, in quanto ritenuti anche organizzatori e promotori del sodalizio criminoso, a nulla rilevando che, nel caso in esame, si discuta del sequestro preventivo disposto nei confronti della società fallita, perché, al fine di stabilire nelle procedure incidentali de libertate la competenza del giudice cui è attribuita la cognizione della regiudicanda cautelare, occorre avere riguardo ai rapporti giuridici che si instaurano in relazione al procedimento principale. Ne deriva che, indipendentemente dal criterio del luogo di accertamento del reato tributario, pure seguito dal Collegio cautelare, il reato associativo, in quanto più grave, commesso in Pozzuoli, determina, in ragione della connessione tra i reati, la competenza dell'autorità giudiziaria napoletana anche con riferimento al reato tributario. Nel consegue che, in tema di reati tributari o' di concorso tra questi ultimi e i reati comuni, la competenza per territorio determinata dalla connessione appartiene al giudice del luogo dove è stato commesso il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice del luogo dove è stato commesso il primo reato, dovendo trovare, in tal caso, applicazione i criteri previsti dall'art. 16 cod. proc. pen. in quanto quelli di cui all'art. 18 D.Lgs. n. 74 del 2000 sono applicabili solo quando è contestato un "singolo reato tributario" (v. Sez. 3, n. 37858 del 04/06/2014, P, Rv. 260115 - 01). A questi principi si è pure ispirato, nella sostanza, il Collegio cautelare, condividendo l'impostazione fatta propria dal GIP, con la ulteriore conseguenza che, rispetto a tale ratio decidendi, il ricorrente non ha preso specifica posizione, come avrebbe dovuto, incorrendo pertanto nel vizio di aspecificità, che pure affligge il motivo di ricorso.
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