Cass. civ., sez. V trib., sentenza 24/12/2020, n. 29506
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In tema di trattamento fiscale del patto di famiglia, alla liquidazione operata dal beneficiario del trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie in favore del legittimario non assegnatario, ai sensi dell'art. 768-quater c.c., è applicabile l'art. 58, comma 1, d.lgs. n. 346 del 1990, intendendosi tale liquidazione, ai soli fini impositivi, donazione del disponente in favore del legittimario non assegnatario, con conseguente attribuzione dell'aliquota e della franchigia previste con riferimento al corrispondente rapporto di parentela o di coniugio.
Il patto di famiglia è assoggettato all'imposta sulle donazioni, sia per quanto concerne il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie, operato dall'imprenditore in favore del discendente beneficiario, sia relativamente alla liquidazione della somma corrispondente alla quota di riserva, calcolata sul valore dei beni trasferiti, effettuata dal beneficiario in favore dei legittimari non assegnatari. Il pagamento dell'imposta va però escluso qualora ricorra l'esenzione prevista dall'art. 3, comma 4-ter, d.lgs. n. 346 del 1990, che si applica solo alle ipotesi di trasferimento d'azienda e delle partecipazioni societarie in favore del discendente beneficiario che si impegni a proseguire l'esercizio dell'attività d'impresa o a detenere il controllo societario per un periodo non inferiore a cinque anni, giammai, quindi, alle liquidazioni operate dal discendente in favore di altri legittimari, sia perché trattasi di previsione di stretta interpretazione, sia in considerazione della "ratio" normativa, volta a favorire la prosecuzione dell'azienda da parte dei discendenti.
Il patto di famiglia è assoggettato all'imposta sulle successioni e donazioni sia per quanto riguarda l'attribuzione effettuate dal disponente a favore del legittimario assegnatario (avente a oggetto un'azienda o una quota di partecipazione al capitale di una società) sia per quella effettuata da quest'ultimo a favore dei propri fratelli o sorelle (i legittimari non assegnatari) a "compensazione" dell'attribuzione dell'azienda o della quota di partecipazione posta in essere dal disponente a vantaggio del legittimario assegnatario.
Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.
Sul provvedimento
Testo completo
Con sentenza n. 1113/2015, depositata il 22/10/2015, e la CTR dell'Abruzzo ha accolto l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate contro la decisione di primo grado, che, su ricorso dei contribuenti, aveva annullato l'avviso di liquidazione n. xxxxxxxxx, relativo ad un patto di famiglia, con il quale S.A. (disponente) aveva trasferito al figlio P. (beneficiario o assegnatario) la partecipazione di controllo della società di diritto rumeno "Sd." e quest'ultimo aveva liquidato alla sorella M. (legittimaria non assegnataria) la somma di euro 1.054.000,00.
In sede di registrazione era stata autoliquidata e versata l'imposta nella misura di euro 336,00. L'Agenzia aveva invece emesso avviso di rettifica e liquidazione per il pagamento della somma di euro 56.904,00 (euro 57.240,00, dedotto l'importo già versato), in relazione al pagamento della somma di denaro effettuato da S. P. in favore di S. M., applicando a tale pagamento l'aliquota (6%) prevista per le donazioni tra fratello e sorella (con la franchigia di euro 100.000).
La CTR, come sopra anticipato, ha rigettato l'originario ricorso dei contribuenti, affermando che, nei patti di famiglia, le somme che il beneficiario deve corrispondere ai coeredi legittimari costituiscono donazioni indirette del disponente, escludendo anche l'impossibilità di estendere l'esenzione prevista dall'art. 3, comma 4 ter, d.lgs. n. 346 del 1990, trattandosi di norma di stretta interpretazione.
Avverso la sentenza della CTR i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, formulando tre motivi di impugnazione.
L'Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell'art. 112 c.p.c., per essere la CTR incorsa nel vizio di ultrapetizione, avendo mutato le circostanze di fatto alla base dell'avviso di liquidazione, nella parte in cui ha introdotto la considerazione sulla donazione indiretta in riferimento al pagamento effettuato dal beneficiario delle disposizioni contenute nel patto di famiglia.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3, comma 4 ter, d.lgs. n. 346 del 1990, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per avere la CTR ricondotto la liquidazione ai legatario non assegnatario a una liberalità indiretta, senza considerare la causa unitaria del patto o comunque il collegamento funzionale tra le attribuzioni ivi effettuate, che impongono un unico trattamento fiscale o, almeno, l'esclusione della qualificazione in termini di donazione della menzionata liquidazione, costituendo l'adempimento di un obbligo previsto dalla legge.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 4 ter, d.lgs. n. 346 del 1990, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per avere la CTR ricondotto le attribuzioni effettuate nel patto di famiglia alla disciplina dell'imposta sulle donazioni, applicando alla liquidazione del legittimario non assegnatario l'aliquota relativa al rapporto di parentela tra quest'ultimo e il beneficiario, senza considerare la causa unitaria del patto o comunque il collegamento funzionale tra le attribuzioni ivi effettuate, che impongono un unico trattamento fiscale, estraneo a quello previsto per le liberalità, o, almeno, l'esclusione della qualificazione in termini di donazione della menzionata liquidazione, costituendo adempimento di un obbligo previsto dalla legge.
2. Il primo motivo è infondato.
Com'è noto, nel processo tributario vige il principio secondo cui le ragioni poste a base dell'atto impositivo segnano i confini del giudizio. Il carattere impugnatorio del contezioso comporta, infatti, che l'Amministrazione non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle fatte valere con l'atto impugnato. Tuttavia, tale principio non esclude che il giudice possa qualificare autonomamente la fattispecie, a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa (così Cass. Sez. 5, n. 7393 del 11/05/2012).
Anche nel contenzioso tributario, come accade ordinariamente nel processo civile, l'applicazione del principio iura novit curia fa salva la possibilità - anzi, la doverosità - per il giudice di dare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti, ed anche all'azione esercitata, ricercando, a tal fine, le norme giuridiche applicabili alla vicenda descritta in giudizio e ponendo a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto eventualmente diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, con il solo limite dell'immutazione della fattispecie (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 11629 del 11/05/2017).
Secondo i ricorrenti, nel presente giudizio, la CTR avrebbe statuito considerando elementi di fatto non dedotti dalle parti.
Tuttavia, come sopra anticipato, la CTR ha deciso la vertenza, condividendo la tesi sostenuta dall'Agenzia delle entrate, secondo la quale, nei patti di famiglia, le somme che il beneficiario deve corrispondere ai coeredi legittimari costituiscono donazioni indirette del disponente (p. 6 della sentenza impugnata).
È, pertanto, evidente che nessun nuovo elemento di fatto è stato introdotto dal giudice del gravame, il quale si è limitato a fornire una qualificazione giuridica della fattispecie (indipendentemente dalla condivisibilità o meno della stessa), guardando l'operazione anche dal punto di vista del disponente (donazione indiretta), oltre che da quello dell'assegnatario (donazione modale).
Nessuna violazione dell'art. 112 c.p.c. è pertanto ravvisabile.
3. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati.congiuntamente, tenuto conto della stretta connessione tra loro esistente, risultando entrambi fondati, sia pure nei limiti che vengono di seguito evidenziati.
Come sopra evidenziato, nel formulare le censure in esame, hanno evidenziato i caratteri ritenuti essenziali del patto di famiglia, affermando la unitarietà della causa di tale contratto tipico o comunque la stretta connessione funzionale esistente tra il trasferimento dell'azienda o della partecipazione sociale e la liquidazione operata in favore dei legittimari non beneficiari del trasferimento, sostenendo, come conseguenza di tale premessa, l'applicazione della stessa disciplina fiscale ad entrambe le applicazioni, compresa l'esenzione prevista dall'art. 3, comma 4 ter, d.lgs. n. 346 del 1990, o comunque l'esclusione dell'applicazione dell'imposta sulle dorlazioni alla liquidazione operata a favore dei legittinnari non assegnatari.
Ritiene questo Collegio che, sebbene l'innpostazione dei ricorrenti sia condivisibile nella parte in cui suggerisce la lettura unitaria dell'intera operazione negoziale, tuttavia, non siano del tutto corrette le conseguenze prospettate soprattutto dal punto di vista fiscale.
Si premette, in generale, che il trattamento fiscale di atti, fatti o situazioni è necessariamente connesso alla loro qualificazione giuridica, nella quale si esprime la trama degli interessi e dei valori sociali in gioco, anche se poi la disciplina dell'an e del quantum del tributo applicabile è conformata da principi ispiratori propri del diritto tributario.
Prima di tutto occorre pertanto esaminare il patto di famiglia, come negozio tipico, per poi individuare la disciplina fiscale ad esso applicabile.
4. L'esigenza di una legge volta a favorire il passaggio generazionale delle imprese di famiglia è stata per molto tempo fortemente avvertita in ambito nazionale e sovranazionale.
Già dal 1994, l'Unione europea aveva invitato l'Italia ed anche quei Paesi (quali Francia, Belgio, Portogallo, Spagna e Lussemburgo) in cui ancora vige il divieto dei patti successori ad intervenire, per abrogare o almeno ridurre l'ambito di operatività di tale divieto, nell'ottica di una tutela del patrimonio aziendale nel passaggio generazionale della gestione dell'impresa.
Nella Raccomandazione della Commissione CE del 7 dicembre 1994 (94/1069/CE) sulla successione delle piccole e medie imprese, si è constatato che, ogni anno, diverse migliaia di imprese sono obbligate a cessare la loro attività a causa di difficoltà insormontabili, inerenti alla successione dell'imprenditore, con rrpercussioni negative sul tessuto economico imprenditoriale, nonché sui creditori e sui lavoratori che in tali aziende trovano impiego. È stato anche evidenziato che la connessa perdita di posti di lavoro e di benessere economico è particolarmente deplorevole, perché non è dovuta alle forze di mercato ma ad un'insufficiente pianificazione della successione ed all'inadeguatezza della legislazione di alcuni Stati membri, soprattutto in materia di diritto societario, successorio e fiscale.
La Commissione ha, pertanto, ritenuto necessaria l'adozione di una serie di interventi volti a sensibilizzare, informare e formare gli imprenditori, affinché preparino efficacemente la loro successione fintanto che sono ancora in vita, al fine di aumentare le probabilità di riuscita della successione stessa, ed ha evidenziato l'esigenza di modificare le leggi degli Stati membri, al fine di rendere più razionali ed efficienti le norme successorie, che regolano il trasferimento delle imprese di piccole e medie dimensioni alla morte dell'imprenditore.
All'art. 1 della menzionata Raccomandazione, vengono sriteticamente individuati gli obiettivi che essa si propone. È, infatti, stabilito, che «Gli Stati membri sono invitati ad adottare le misure necessarie per facilitare la successione nelle piccole e medie imprese al fine di assicurare la sopravvivenza delle imprese ed il mantenimento dei posti di lavoro. In particolare, essi sono invitati ad adottare le misure più adeguate, a completamento del quadro giuridico, fiscale e amministrativo, af fine di: - sensibilizzare l'imprenditore ai problemi della successione e indurlo a preparare tale operazione finché è ancora in vita;
- creare un contesto finanziario favorevole al buon