Cass. civ., sez. III, sentenza 28/11/2003, n. 18241

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La norma contenuta nell'art. 274 bis, terzo comma, cod. proc. civ. ,in base alla quale in caso di connessione tra cause attribuite al collegio e cause attribuite al giudice unico, quest'ultimo è tenuto a pronunciarne la riunione e a rimettere le cause riunite al collegio per la decisione si applica solo ai giudizi introdotti dopo il 30 aprile 1995; ne consegue che, se sussistono due giudizi connessi (di opposizione all'esecuzione) uno solo dei quali sia stato introdotto dopo il 30 aprile 1995, la riunione dei procedimenti costituisce non un obbligo ma una facoltà del giudice di merito, dal cui mancato esercizio non consegue alcuna nullità.

In materia di procedimento civile, i rapporti tra giudice istruttore in funzione di giudice unico e collegio attengono alla distribuzione di funzioni all'interno del medesimo ufficio giudiziario, e non pongono pertanto una questione di competenza, ne' l'eventuale diversità del rito processuale applicabile ai due procedimenti (l'uno da trattare secondo il rito vigente prima del 30.4.1995, e l'altro assoggettato al nuovo rito) può rendere ipotizzabile un caso di litispendenza, mancando la condizione essenziale della pendenza della lite davanti a giudici diversi.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 28/11/2003, n. 18241
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18241
Data del deposito : 28 novembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S F - Presidente -
Dott. DI N L F - Consigliere -
Dott. T F - rel. Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. P G B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LEASING FINANZIARIA IMMOBILIARE SPA IN LIQ, in persona della liquidatrice M D C, domiciliata in ROMA presso LA CORTE DI CASSAZIONE, difesa dall'avvocato L S con studio in 84122

SALERNO CORSO GARIBALDI

195, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
M F, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DI PORTA PINCIANA

41, presso lo studio dell'avvocato F I, difeso dall'avvocato P O, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sent. n. 27/00 della Corte d'Appello di SALERNO, emessa il 25 novembre 1999 e depositata il 18 gennaio 2000 (R.G. 438/98);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza, del 18 settembre 2003 dal Consigliere Dott. F T;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C D che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con scrittura privata autenticata in data 30 giugno 1989 la società Leasing Finanziaria Immobiliare spa concedeva in mutuo la somma complessiva di L. 121.000.000 a Fiore M, residente negli Stati Uniti d'America e rappresentato in Italia dal procuratore generale Elio M, il quale, dichiarando di agire in base alla procura generale conferitagli in data 21 ottobre 1985, rilasciava alla società mutuante, per la restituzione del capitale e degli interessi, cambiali garantite da ipoteca iscritta su beni immobili di proprietà dello stesso rappresentato per il complessivo importo di L. 210.000.000.
Assumendo che il mutuatario non aveva assolto le obbligazioni cambiarie, la società Leasing Finanziaria Immobiliare spa dava inizio all'espropriazione forzata degli immobili ipotecati. Con ricorso del 30 aprile 1992 al giudice dell'esecuzione presso il tribunale di Salerno il debitore esecutato Fiore M, per il tramite del procuratore speciale Silvano M, proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c., secondo comma, deducendo la sua estraneità al contratto di mutuo in quanto il procuratore stipulante per suo conto aveva ecceduto i limiti del potere di rappresentanza. Altra opposizione alla medesima esecuzione era proposta cori ricorso depositato il 23 settembre 1995 dall'esecutato, per il tramite sempre di Silvano M nominato, intanto, suo procuratore generale in Italia.
Il tribunale di Salerno, rigettata l'istanza di riunione dei giudizi per connessione ex art. 274-bis c.p.c., terzo comma, decideva le due opposizioni con le distinte sentenze n. 2301 del 1997 e n. 1523 del 1998, con le quali, in accoglimento della tesi dell'opponente, dichiarava la nullità del contratto di mutuo e condannava la società creditrice procedente alle spese.
Avverso entrambe le sentenze proponeva appello la società Leasing Finanziaria Immobiliare spa.
Sulle impugnazioni riunite decideva in simultaneo processo la Corte d'appello di Salerno con sentenza pubblicata il 18 gennaio 2000, la quale rigettava gli appelli e condannava l'appellante alle spese del grado.
Ai fini che ancora interessano, i giudici d'appello consideravano che l'eccezione di prescrizione dell'azione di annullamento del contratto di mutuo (proponibile, nella specie, anche nella fase del secondo grado del giudizio relativamente al procedimento in corso introdotto prima del 30 aprile 1995, retto dalle norme del previgente rito processuale) correttamente in primo grado era stata rigettata nella considerazione che l'azione medesima era stata avanzata tempestivamente nel rispetto del termine quinquennale, decorrente dalla stipulazione del contratto di mutuo.
Aggiungevano che l'eccezione di analogo contenuto, la quale, rispetto al giudizio introdotto successivamente al 30 aprile 1995, non era stata proposta in primo grado data la contumacia della società, era preclusa in appello ai sensi dell'"ius superveniens" di cui al nuovo testo dell'art. 345 c.p.c., secondo comma. Rilevavano che nella decisione adottata dal tribunale non era ravvisabile il vizio di ultrapetizione e che non vi era stata in primo grado "mutatio libelli" da parte dell'opponente, il quale, nel primo dei due giudizi innanzi al tribunale, a sostegno della domanda aveva prospettato quale causa di invalidità del contratto di mutuo proprio l'ipotesi del conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato, costituente una forma specifica di abuso di rappresentanza.
Ritenevano che dagli atti di causa si desumeva, oltre che la conoscenza da parte della società del suddetto conflitto di interessi, addirittura la partecipazione della società Leasing Immobiliare Finanziaria spa al conflitto stesso, attuata mediante accordo fraudolento con il rappresentante in danno del rappresentato. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società Leasing Immobiliare Finanziaria spa in liquidazione, la quale affida l'impugnazione a due mezzi di doglianza.
Resiste con controricorso Fiore M.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di impugnazione - deducendo vizi della sentenza di secondo grado sia "in iudicando" che "in procedendo" - la società ricorrente lamenta, in particolare, quanto segue:
a) il giudice di merito, che pure aveva ritenuto ritualmente proposta l'eccezione di prescrizione dell'azione di annullamento, non avrebbe potuto dichiararne l'infondatezza nella considerazione che l'azione medesima risultava esperita già con l'atto introduttivo del primo giudizio d'opposizione, giacché in detto procedimento l'opponente aveva soltanto dedotto la carenza di potere rappresentativo e non l'eccesso di procura;

b) sussisterebbe, inoltre, il vizio di ultrapetizione, in quanto, nelle conclusioni precisate una prima volta nel primo giudizio, l'opponente non aveva richiesto l'annullamento del contratto, che aveva costituito, invece, l'oggetto delle diverse conclusioni successivamente formulate dopo che la causa era stata rimessa sul ruolo, quando non sarebbe stato possibile mutarne il precedente contenuto, stante anche l'espressa dichiarazione di essa società di non accettare il contraddittorio sulla domanda nuova;

c) rispetto alla dedotta ipotesi di rappresentanza senza potere, il giudice del merito avrebbe dovuto qualificare l'ipotesi di abuso di rappresentanza come integrante una distinta "causa petendi", comportante la mutatio piuttosto che l'"emendatio libelli";

d) il giudice di merito aveva tralasciato di valutare perché mai l'opponente con il secondo suo ricorso avrebbe dovuto richiedere l'annullamento del contratto per conflitto d'interessi con il rappresentante se già detta domanda era ricompressa nell'atto introduttivo della precedente sua opposizione all'esecuzione;

e) da parte del medesimo giudice del merito vi sarebbe stato travisamento del fatto circa l'accordo fraudolento in danno del rappresentato tra essa società ed il rappresentante, poiché dalla semplice lettura della procura generale non poteva emergere neppure alcuna riconoscibilità del conflitto d'interessi. La censura non può essere accolta per nessuna delle ragioni esposte. Quanto al profilo di doglianza di cui "sub" a), premesso che rientra nei compiti del giudice del merito individuare il contenuto della domanda al fine di stabilirne la relativa "causa petendi" in rapporto ai fatti dedotti a fondamento dell'azione, osserva questa Corte che non è censurabile in questa sede la valutazione del giudice d'appello, secondo cui le conclusioni formulate in primo grado dal M nel procedimento relativo alla prima opposizione erano del tutto coerenti con i fatti dedotti in ricorso, che indicavano nel conflitto d'interessi tra rappresentante e rappresentato il vizio del contratto di mutuo.
La valutazione innanzi compiuta è sorretta da motivazione logica e congrua, rispetto alla quale il rilievo di cui "sub" d) costituisce censura inammissibile, diretta com'è ad ottenere in questa sede un diverso apprezzamento del materiale probatorio.
Ne deriva, ritenuta non censurabile l'individuata deduzione, nel primo ricorso in opposizione, della "causa petendi" del conflitto d'interesse secondo l'ipotesi ex art. 1394 c.c., che resta escluso anche il lamentato vizio di ultrapetizione per "mutatio libelli", secondo rilievo di cui "sub" b) e c) e che è corretta anche la decisione di infondatezza dell'eccezione di prescrizione dell'azione di annullamento relativamente al primo giudizio di opposizione, introdotto nel rispetto del termine quinquennale dalla conclusione del contratto di mutuo, dovendosi altresì condividere la rilevata inammissibilità della stessa eccezione con riferimento al secondo giudizio di opposizione, avendo esattamente la Corte territoriale precisato che l'eccezione, non sollevata ritualmente in primo grado, era preclusa in appello per il divieto di cui al secondo comma dell'art. 345 cod. proc. civ. nella nuova formulazione della norma,
applicabile ai giudizi introdotti dopo il 30 aprile 1995. Quanto, poi, al rilievo di cui "sub" e), la censura è inammissibile, oltre che per la sua genericità (la ricorrente rimanda soltanto alla semplice lettura del documento, senza riportarne il contenuto e senza indicare le ragioni che indurrebbero ad una sua diversa interpretazione), per il fatto che anche l'esegesi di atti unilaterali, cui pure si applicano le norme dell'ermeneutica contrattuale, costituisce indagine di competenza del giudice di merito, la cui valutazione è sottratta al sindacato di legittimità quando, come nella specie, è sorretta da adeguata motivazione. Con il secondo mezzo di doglianza la società ricorrente denuncia l'omessa pronuncia del giudice d'appello sulle dedotte nullità, che sarebbero intervenute nel giudizio di primo grado in riferimento:
1) alla violazione della norma dell'art. 274-bis, terzo comma, cod. proc. civ., per non aver il tribunale disposto la riunione dei due
giudizi di opposizione, che avrebbe evitato la decisione delle due cause con rito diverso e da parte di organi diversi;

2) al mancato accoglimento dell'eccezione di litispendenza ex art. 39 c.p.c.;

3) alla illegittimità dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione in data 3 maggio 1996, che confermava la sospensione dell'esecuzione e revocava il precedente provvedimento impositivo della cauzione;

4) alla nullità dell'ordinanza emessa in data 30 settembre 1996, con la quale il tribunale rimetteva la causa al giudice istruttore per consentire di regolarizzare la posizione processuale della Fin Casa srl, intervenuta volontariamente in giudizio.
Assume che le dedotte nullità avrebbero determinato quella di tutti gli atti successivi conseguenti e, perciò, anche della sentenza. La censura è infondata in relazione a tutti i profili nei quali essa si svolge.
Circa la dedotta violazione della norma di cui all'art. 274-bis, terzo comma, cod. proc. civ. nella considerazione che la mancata
riunione, in primo grado, dei due giudizi di opposizione aveva consentito la decisione delle due cause con rito diverso da parte di organi diversi, osserva questa Corte che la norma in questione non era riferibile ai giudizi introdotti prima del 30 aprile 1995, per cui, non dovendosene fare applicazione per il primo giudizio d'opposizione, la riunione dei procedimenti costituiva, nella specie, facoltà discrezionale del giudice di merito, il cui mancato esercizio non poteva comportare la nullità che la ricorrente società lamenta.
Neppure ha pregio la dedotta violazione della norma di cui all'art. 39 cod. proc. civ. per non avere il giudice del merito accolto
l'eccezione di litispendenza.
Presupposto essenziale della litispendenza, ex art. 39, primo comma, cod. proc. civ., è la pendenza di cause identiche presso giudici
diversi, sicché, qualora le diverse cause siano attualmente in corso innanzi allo stesso giudice (ovvero davanti a giudici appartenenti allo stesso ufficio giudiziario), non può farsi luogo a dichiarazione di litispendenza, dovendosi eventualmente provvedere alla riunione, ai sensi dell'art. 274 c.p.c. Nel caso in questione, secondo quanto questo giudice di legittimità ha già affermato in fattispecie analoga (Cass., n. 9598/2000;
Cass., n. 10236/2002), le due opposizioni erano pendenti innanzi al medesimo tribunale e rientravano nella competenza per valore e per materia del medesimo ufficio giudiziario, nell'ambito del quale il rapporto tra giudice monocratico e giudice collegiale deve essere considerato, ai fini che interessa, in modo univoco, siccome riferito a due articolazioni interne dell'unico ufficio giudiziario "tribunale" e quale aspetto attinente alla costituzione del giudice. Nè l'eventuale diversità del rito processuale applicabile ai due procedimenti (l'uno da trattare secondo le regole vigenti prima del 30 aprile 1995 e l'altro assoggettato, invece, al cd. nuovo rito) può autorizzare la ipotizzabilità di un caso di litispendenza, poiché, ove anche da tale situazione debba derivare la riunione delle due cause, comunque essa non realizza anche la condizione essenziale della pendenza della stessa lite avanti a giudici diversi. Sono, infine, inammissibili sia la censura di omessa motivazione del giudice d'appello in ordine alla dedotta illegittimità dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione in data 3 maggio 1996, che confermava la sospensione dell'esecuzione e revocava la misura cautelare della cauzione;
sia la censura in ordine alla nullità dell'ordinanza che rimetteva la causa al giudice istruttore per la regolarizzazione della posizione del terzo intervenuto volontariamente nel giudizio.
In particolare:
a) l'ordinanza di conferma della sospensione dell'esecuzione non costituiva oggetto d'esame nel giudizio in corso, ma della sua validità si sarebbe potuto discutere in diverso giudizio, se essa fosse stata impugnata con il rimedio specifico dell'opposizione di forma ex art. 617 c.p.c.;

b) alla declaratoria di nullità di provvedimento concernente la posizione del terzo intervenuto, nei cui confronti l'attore ha rinunciato all'azione, la società ricorrente non ha alcun attuale interesse.
Il ricorso, pertanto, è rigettato e la società soccombente è condannata a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate come da dispositivo.

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