Cass. civ., SS.UU., sentenza 11/01/2005, n. 308

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Massime1

È manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 42, secondo comma, lett. a), R.D.L. n. 1758 del 1933, sollevata in relazione all'art. 3, Cost., nella parte in cui stabilisce che l'interdizione temporanea dai pubblici uffici comporta, di diritto, la cancellazione dall'Albo degli avvocati, in quanto il provvedimento del Consiglio dell'ordine che la dispone non ha natura disciplinare, ma costituisce effetto della sanzione accessoria applicata nel caso di condanna per determinati reati, che incide sullo 'status' del condannato, determinandone l'inidoneità a ricoprire pubblici uffici, privandolo di uno dei requisiti necessari per l'iscrizione al succitato albo, sicchè non è richiamabile, in riferimento a questo provvedimento, il principio di proporzionalità che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 40 e n. 158 del 1990; n. 16 del 1991), rende costituzionalmente illegittime le norme che prevedono l'automatismo della destituzione, in conseguenza di una condanna penale ed in mancanza di una valutazione della condotta nel corso del procedimento disciplinare.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 11/01/2005, n. 308
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 308
Data del deposito : 11 gennaio 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente aggiunto -
Dott. I G - Presidente di sezione -
Dott. D V - Presidente di sezione -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. D N L F - Consigliere -
Dott. C M - Consigliere -
Dott. F G - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M L, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. B. DE

ROSSI

37, presso lo studio dell'avvocato G V, rappresentato e difeso dagli avvocati G F, DOMINIONI ORESTE, giusta delega in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MILANO, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;



- intimati -


avverso la decisione n. 103/03 del Consiglio nazionale forense, depositata il 23/04/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 25/11/04 dal Consigliere Dott. G F;

udito l'Avvocato F G;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA

Vincenzo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'avv. Luciano M, con sentenza del 15 dicembre 1999, divenuta definitiva a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per Cassazione, è stato condannato dalla Corte di Appello di Milano alla pena complessiva di anni tre di reclusione, con interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, per fatti di corruzione intervenuti fino all'anno 1993.
Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, con deliberazione del 17 aprile 2003, ha disposto la cancellazione dall'Albo dell'avv. Luciano M ai sensi dell'art. 42, comma secondo, lett. a) della legge professionale avendo ritenuto operativa in quel momento la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici. Successivamente, con deliberazione del 24 aprile 2003, lo stesso Consiglio ha irrogato all'avv. M la sanzione disciplinare della cancellazione dall'Albo professionale.
Il Consiglio Nazionale Forense, con decisione depositata il 23 aprile 2004, in parziale accoglimento del ricorso dell'avv. M, ha dichiarato prescritta l'azione disciplinare esercitata con l'emanazione del secondo provvedimento di cancellazione, mentre ha confermato la prima delibera relativa alla cancellazione disposta il 17 aprile 2003 sul presupposto che, essendo operante in quel momento la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, mancava una delle condizioni essenziali per il mantenimento dell'iscrizione nell'Albo professionale. Il Consiglio Nazionale ha evidenziato l'irrilevanza della questione di legittimità costituzionale dedotta in relazione all'automatismo della pronuncia amministrativa rispetto alla sanzione penale, dal momento che la cancellazione doveva essere disposta necessariamente per la carenza dei requisiti essenziali per il mantenimento dell'iscrizione, ed ha aggiunto che l'avv. M avrebbe potuto chiedere o alla scadenza della sanzione accessoria (12 dicembre 2004) o prima, ove se ne fossero verificate le condizioni, l'iscrizione ex novo nell'Albo professionale.
L'avv. M ha proposto ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Milano non ha svolto attività difensive in questa sede. Il ricorrente ha presentato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto "violazione di legge in riferimento alla ritenuta irrilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata, in relazione all'art. 23 della l. n. 87/1953, agli artt. 37 e 42, comma 2, lett. a) della l. n. 36/1934 e
all'art. 3 Costituzione". Ha evidenziato come una pronuncia di incostituzionalità avrebbe eliminato ex tunc la sanzione, per cui la questione di costituzionalità aveva nella specie una efficacia strumentale per la decisione della causa nella quale si discuteva dell'applicazione automatica di sanzioni, sostanzialmente svincolata dalla valutazione di proporzionalità che va comunque effettuata in relazione ad ogni singola fattispecie. Sul punto ha richiamato le sentenze nn. 40/1990, 158/1990, e 16/1991 con le quali la Corte Costituzionale ha sostenuto il principio della proporzionalità delle sanzioni e l'illegittimità di norme che prevedono automatismi nell'applicazione di sanzioni disciplinari.
Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto "violazione di legge in relazione al mancato annullamento della decisione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano e alla mancata sospensione del procedimento davanti il Consiglio Nazionale Forense per mancanza delle condizioni di applicazione dell'art. 42 della l. n. 36/1934" in quanto alla sanzione accessoria era applicabile l'indulto di cui al D.P.R. n. 394/1990. Ha evidenziato a questo proposito che la Cassazione, con sentenza n. 1032/2004 del 24.2.2004, ha annullato senza rinvio l'ordinanza emessa il 14.5.2003 dalla Corte di Appello di Milano (che aveva ritenuto non condonabili le sanzioni accessorie ratione temporis), ed ha dichiarato condonate per intero le pene accessorie temporanee inflitte dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza del 15 12.1999. Su questa base ha sostenuto che non sussiste in radice il presupposto per la sanzione della cancellazione.
Con la memoria il ricorrente ha insistito sulla natura dichiarativa della sentenza con la quale la Cassazione ha applicato l'indulto alle sanzioni accessorie e sugli effetti che di conseguenza si sarebbero prodotti ex tunc, ed ha aggiunto che se questa impostazione non dovesse essere condivisa resterebbe integra la questione di legittimità costituzionale prospettata con il primo motivo. Ritiene la Corte che il ricorso non è fondato e deve quindi essere rigettato. È necessario premettere che:
a) il provvedimento di indulto invocato dal ricorrente è previsto dal D.P.R. 22 12.1990 n. 394. Anche questa normativa, come tutte le normative che concedono l'amnistia o l'indulto, prevede all'articolo 5 il termine entro il quale i reati devono essere stati commessi. Tale termine è quello del giorno 24 ottobre 1989;

b) i fatti di corruzione per i quali è intervenuta sentenza di condanna definitiva resa dalla Corte di Appello di Milano il 15.12.1999 risultano commessi fino all'anno 1993;

c) la Corte di Appello di Milano in questa sentenza non ha applicato quell'indulto, la cui normativa (del 1990) era da diversi anni esistente al momento della emanazione della condanna (1999);

d) la stessa Corte di Appello non ha applicato l'indulto, relativamente alle sanzioni accessorie, neanche in sede di esecuzione allorché ha emesso l'ordinanza del 14.5.2003 ed ha ritenuto di doverlo escludere ratione temporis;

e) sicuramente, nel momento in cui il Consiglio dell'Ordine di Milano ha disposto la cancellazione del ricorrente dall'Albo degli Avvocati (17.4.2003), e nel momento in cui il Consiglio Nazionale Forense ha emesso la sua decisione (18.12.2003), c'era la necessità di attuare un giudicato che non aveva applicato quell'indulto pur esistente da anni;

f) con sentenza resa in Camera di consiglio il 24.2.2004 la Cassazione penale ha ritenuto di non condividere la tesi espressa dalla Corte di Appello di Milano in sede di esecuzione, ha annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata, ed ha dichiarato "condonate per intero le pene accessorie temporanee inflitte a M Luciano con sentenza in data 15.12.1999 dalla Corte d'appello di Milano". C'è da rilevare che, anche se il provvedimento con il quale viene applicato l'indulto ha natura dichiarativa, gli effetti della sentenza definitiva si sono prodotti legittimamente fino a che non è stato adottato il provvedimento che costituisce un fatto nuovo che ha modificato la situazione giuridica precedente, creata dal giudicato che non aveva applicato quell'indulto pur esistente al momento in cui la pronunzia è stata emessa.
L'indulto, come l'amnistia, può essere applicato prima della condanna, oppure dopo che si è formato un giudicato (allorché il provvedimento non esisteva al momento della condanna). In questo secondo caso gli effetti sono ovviamente limitati poiché può accadere che la pena sia stata già eseguita in tutto o in parte, con la conseguenza che l'esecuzione già avvenuta non potrà essere posta nel nulla, ma potrà solo cessare se è ancora in corso. L'articolo 672, quarto comma, c.p.p., prevede che l'amnistia e l'indulto devono
essere applicati, qualora il condannato ne faccia richiesta, "anche se è terminata l'esecuzione della pena". Questa norma lascia intendere chiaramente che il provvedimento del giudice in questo caso potrà produrre effetti favorevoli per il futuro ma non certamente per il passato, allorché la pena è stata già legittimamente eseguita.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense qui impugnata ha fatto riferimento ad un eventuale fatto nuovo, anteriore alla scadenza della pena accessoria, ed ha correttamente previsto che in una tale evenienza il M avrebbe potuto richiedere l'iscrizione nell'albo ex novo, facendo in questo modo sostanzialmente salvi gli effetti del giudicato prodottisi legittimamente. Questa decisione è conforme ai principi sopra esposti e non merita, quindi, alcuna censura. Nè può ritenersi fondata la questione di illegittimità costituzionale proposta dal ricorrente poiché, come è stato rilevato dal Consiglio Nazionale Forense, la cancellazione dall'Albo disposta dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Milano non ha natura di provvedimento disciplinare, per la cui emanazione si potrebbe porre in astratto il problema della proporzionalità, ma costituisce semplicemente un effetto della sanzione accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici inflitta a chi riporta un determinato tipo di condanna penale L'interdizione incide sullo status del condannato e comporta che lo stesso non è idoneo a ricoprire pubblici uffici. Si tratta di prendere atto che quel soggetto, così come è destinatario di una sanzione principale, con la sanzione accessoria viene privato della idoneità a svolgere pubblici uffici, e cioè di una condizione prevista come necessaria per l'iscrizione in un Albo professionale. Egli, fino a che opera la sanzione accessoria, non può chiedere di essere iscritto, e non può pretendere di restare iscritto in un Albo per il quale la legge richiede alcune condizioni. Nulla va disposto per le spese poiché il Consiglio dell'Ordine non ha svolto attività difensive in questa sede.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi