Cass. pen., sez. I, sentenza 21/09/2022, n. 34911

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 21/09/2022, n. 34911
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 34911
Data del deposito : 21 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: RAPUSHI ASTRIT nato il 26/05/1978 avverso l'ordinanza del 15/10/2021 della CORTE ASSISE di ROMAudita la relazione svolta dal Consigliere P T;
lette le conclusioni del P.G,„ dott. L C, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATI-0 1. Con ordinanza del 15 ottobre 2021, la Corte di Assise di Roma, in funzione di giudice dell'esecuzione, rigettava l'opposizione proposta nell'interesse di R A, alias R B, alias C A, avverso il provvedimento emesso dalla medesima Corte in data 29.4.2021, con il quale era stata respinta la richiesta formulata nell'interesse del predetto condannato di declaratoria di estinzione della pena di cui alla sentenza della Corte di Assise di Roma del 7 giugno 2000, per decorso del tempo.

2. La Corte di Assise di Roma ha, innanzitutto, ricostruito la vicenda al suo vaglio nei termini che seguono. R A fu condannato dalla Corte di Assise di Roma il 7.6.2000, con sentenza divenuta irrevocabile il 14.1.2002, alla pena di anni diciotto di reclusione e C.

1.000.000 di multa per i delitti di omicidio e rapina aggravata;
emesso ordine di esecuzione il 26.1.2002, il condannato non venne rintracciato;
il 3.12.2010 fu emesso nuovo ordine di esecuzione e il 21.12.2010 la Corte di Assise di Roma applicò in favore del R l'indulto nella misura di anni tre di reclusione ed C. 516,00 di multa;
quindi, il 30.11.2015 fu emesso dalla Procura della Repubblica di Roma mandato di arresto europeo per l'espiazione della pena residua di anni quindici di reclusione e con successiva nota del 19.4.2016 il Ministero della Giustizia - Dipartimento degli Affari di Giustizia - Direzione Generale della Giustizia Penale invitò la divisione Si.RE.Ne a inserire i relativi dati nel sistema di informazione Schengen e, nel contempo, dispose che la direzione INTERPOL diffondesse le ricerche finalizzate all'arresto ex art. 720 cod. proc. pen. nei Paesi che non utilizzavano il suddetto sistema;
il 12.7.2016 il condannato venne rintracciato in Albania e posto in stato di arresto provvisorio a fini estradizionali;
il relativo arresto, convalidato dal Tribunale di Argirocastro il 13.7.2016, fu confermato dalla Corte di appello di Argirocastro il 29.7.2016;
di seguito, il Ministero dell'Interno Italiano richiese alle competenti autorità albanesi la trasmissione per via diplomatica della domanda di estradizione e in data 10.8.2016 il Ministero della Giustizia Italiano - Direzione Generale della Giustizia Penale Ufficio

II

Cooperazione Internazionale chiese al Ministero della Giustizia della Repubblica di Albania di attivare la procedura prevista dall'Accordo Aggiuntivo firmato a Roma il 24.3.2002 e, in particolare, dall'art. 2 par. 2 del medesimo accordo, e di trattenere il prevenuto per l'esecuzione della condanna;
1'11.8.2016 il Ministero italiano comunicò alla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Roma di avere inoltrato la suddetta richiesta al Ministero della Giustizia della Repubblica Albanese;
di seguito, in Albania si instaurò un procedimento giudiziario per il riconoscimento della sentenza di condanna della Corte di Assise di Roma del 7.6.2000, che si concluse con la pronuncia del Tribunale di Saranda del 24.1.2017, divenuta esecutiva in data 6.2.2017, che, pur riconoscendo la sentenza italiana, con ( determinazione della pena complessiva da espiare nella misura di anni quindici di reclusione, dichiarò l'estinzione della medesima pena in virtù del disposto dell'art. 68 lett. b) del codice penale albanese, per intervenuta prescrizione;
sulla base di detta decisione il prevenuto venne rimesso in libertà e il 25.8.2020 fu tratto in arresto in Grecia, nell'isola di Salonicco, in relazione al medesimo titolo di condanna, in virtù del già citato mandato di arresto europeo;
consegnato il 3.2.2021 alle autorità italiane, il R venne arrestato in attuazione dell'ordine di esecuzione del 29.7.2016 e ristretto nel carcere di Carinola.

3. Ciò posto, la Corte di Assise di Roma ha ritenuto non applicabili al caso di specie le disposizioni della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 e non accoglibili le prospettazioni della difesa del condannato, osservando che: - sotto un profilo processuale, la procedura per il trasferimento in Albania dell'esecuzione della pena inflitta al prevenuto era inficiata dalla mancata preventiva deliberazione favorevole da parte della Corte di appello di Roma;
- sotto un profilo sostanziale, la concreta eseguibilità della condanna rappresentava il presupposto indefettibile, essendo evidente che, in presenza di una condanna non eseguibile nel paese di cittadinanza del condannato, nessun senso avrebbe l'attivazione della procedura convenzionale, finalizzata al trasferimento del condannato nella prospettiva di eseguire la pena nel suo contesto di origine ai fini di un più agevole reinserimento sociale.

4. Avverso detta ordinanza, il difensore di fiducia del condannato, avvocato G E, ha proposto ricorso per cassazione formulando due motivi di impugnazione.

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto, "violazione degli artt. 111, 117 Cost., 177, 178, 183, 696, 742 e 746 cod. proc. pen., 8, 9, 10, 11 e 12 legge n. 334 del 1988 (ratifica ed esecuzione della Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983), art. 6 della Convenzione Europea per i Diritti Dell'Uomo;
violazione del principio dell'obbligo di interpretazione conforme e del primato del diritto internazionale pattizio su quello interno in relazione alla Convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento delle persone condannate e delle successive modificazioni e integrazioni, nonché dell'art. 26 della Convenzione sul Diritto dei Trattati, Vienna 23 maggio 1969, ratificata in Italia con la legge 12 febbraio 1974, n. 112;
violazione del divieto del bis in idem esecutivo;
mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato;
art. 606, lett. a), b), c) ed e) cod. proc. pen.".Secondo la difesa, la ritenuta inapplicabilità della Convenzione di Strasburgo sarebbe in contrasto con tutti i provvedimenti emessi dalle Autorità italiane (Ministero della Giustizia - Dipartimento per gli affari di Giustizia - Direzione generale per gli affari internazionali e la cooperazione giudiziaria;
Ufficio esecuzione della Procura della Repubblica di Roma) nei quali si fa espresso riferimento alla Convezione di Strasburgo e all'Accordo aggiuntivo alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, firmato a Roma il 23 aprile 2002;
sarebbe, altresì, in contrasto con il principio generale pacta sunt servanda;
in caso di mancato rispetto della procedura di deliberazione favorevole da parte della Corte di appello, non sarebbe prevista alcuna nullità o altra categoria invalidante;
inoltre, la scelta di ritenere inapplicabili le disposizioni della Convenzione di Strasburgo non riuscirebbe a spiegare come si siano prodotti, nel caso di specie, degli effetti materiali e giuridici (sono stati emessi atti e provvedimenti;
vi è stato un controllo giurisdizionale assicurato nello Stato di esecuzione;
il condannato ha subito una reale detenzione per circa sette mesi nello Stato di esecuzione). Sempre secondo la difesa, la decisione impugnata sarebbe stata adottata in violazione della giurisdizione penale, atteso che, attraverso un'interpretazione invalidante si renderebbero improduttivi di effetti giuridici tutti gli atti del procedimento di esecuzione in Albania;
la declaratoria di estinzione della pena effettuata dall'Autorità Giudiziaria Albanese non sarebbe stata deducibile a monte della richiesta avanzata dall'Italia all'Albania perché sarebbe stato il risultato di una verifica giurisdizionale presso le Autorità Albanesi;
la motivazione in punto di concreta eseguibilità della pena e di buona fede nell'interpretazione sarebbe stata comprensibile e lineare qualora spesa dalla Corte di appello in sede di delibazione ex art. 5 della legge n. 257 del 1989 o ex art. 743 cod. proc. pen., ma perderebbe di logicità e coerenza sistematica in riferimento al caso concreto nel quale l'esecuzione all'estero era iniziata e si era già conclusa;
una volta ritenuta la procedura per il trasferimento in Albania dell'esecuzione della condanna inficiata dalla mancata preventiva deliberazione favorevole da parte della Corte di appello di Roma, il Giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto rilevare anche la illegittimità del titolo di condanna e la sua non esecutività in conseguenza delle nullità assolute e insanabili per violazione dell'art. 178 lett. c) cod. proc. pen. sotto il profilo dell'intervento, assistenza e rappresentanza del ricorrente.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi