Cass. pen., sez. I, sentenza 11/05/2023, n. 20152
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: R G nato a ROMA il 02/11/1953 avverso la sentenza del 05/10/2021 della CORTE APPELLO di ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere D C;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore L B, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, e quelle del ricorrente, il quale ha, invece, insistito per il suo accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 ottobre 2021 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma di quella emessa 11 marzo 2013 nei confronti di G R, ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di molestia o disturbo alle persone per essersi lo stesso estinto per intervenuta prescrizione e confermato le statuizioni civili.
2. G R, già dipendente dell'Agenzia delle Entrate, è stato tratto a giudizio per essersi reso protagonista, tra il 2007 ed il 22 aprile 2009, di una prolungata azione di disturbo in pregiudizio di R D M, al tempo suo superiore gerarchico — il quale, alcuni anni prima, aveva disposto il trasferimento di R a cagione di talune sue anomalie comportamentali — concretatasi in intromissioni via via più pressanti nella vita privata della persona offesa e dei suoi familiari (moglie e figlio) e, specificamente, in reiterati pedinamenti, telefonate di impronta minatoria, molestie al citofono, più o meno velate minacce, condotte che, con il passare del tempo, hanno indotto nei destinatari una crescente sensazione di disagio, fastidio e timore, tale da integrare, stando all'impostazione accusatoria, concordemente recepita dai giudici di merito, gli elementi costitutivi della contravvenzione sanzionata dall'art. 660 cod. pen.. La Corte di appello, nel prendere atto della sopravvenuta prescrizione del reato, ha ritenuto, occupandosi delle questioni derivanti dall'esercizio dell'azione civile da parte delle persone offese, che le condotte poste in essere dall'imputato — adeguatamente comprovate dalle prove assunte e, in particolare, dalle dichiarazioni delle vittime e da quelle di testimoni sicuramente disinteressati e, quindi, altamente credibili, quali Giovanni Simiotti e Claudio Pangia — abbiano senz'altro generato, in capo alle parti civili, un danno risarcibile.
3. G R propone, con l'assistenza degli avv.ti Pietro Ferri e Roberto Bilotta, ricorso per cassazione affidato a tre motivi, seguito da un ulteriore atto, contenente, tra l'altro, l'articolazione di un motivo nuovo. Con il primo motivo, lamenta che i giudici di merito abbiano accolto la domanda risarcitoria che, tuttavia, le parti civili avevano articolato con esclusivo riferimento alla condotta di atti persecutori, peraltro riferita ad un diverso lasso temporale, per la quale egli è stato assolto, già in primo grado, per insussistenza dell'addebito.Rileva, comunque, che in dibattimento non è stata in alcun modo acquisita la prova del danno asseritamente patito da Di Marco e dai suoi congiunti, che, a ben vedere, costituirebbe la conseguenza di espressioni e comportamenti privi di portata offensiva e, in ultima analisi, neutri. Con il secondo motivo, si duole che la vicenda di interesse processuale sia stata ricostruita in esito ad una fallace esegesi del compendio
udita la relazione svolta dal Consigliere D C;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore L B, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, e quelle del ricorrente, il quale ha, invece, insistito per il suo accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 ottobre 2021 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma di quella emessa 11 marzo 2013 nei confronti di G R, ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di molestia o disturbo alle persone per essersi lo stesso estinto per intervenuta prescrizione e confermato le statuizioni civili.
2. G R, già dipendente dell'Agenzia delle Entrate, è stato tratto a giudizio per essersi reso protagonista, tra il 2007 ed il 22 aprile 2009, di una prolungata azione di disturbo in pregiudizio di R D M, al tempo suo superiore gerarchico — il quale, alcuni anni prima, aveva disposto il trasferimento di R a cagione di talune sue anomalie comportamentali — concretatasi in intromissioni via via più pressanti nella vita privata della persona offesa e dei suoi familiari (moglie e figlio) e, specificamente, in reiterati pedinamenti, telefonate di impronta minatoria, molestie al citofono, più o meno velate minacce, condotte che, con il passare del tempo, hanno indotto nei destinatari una crescente sensazione di disagio, fastidio e timore, tale da integrare, stando all'impostazione accusatoria, concordemente recepita dai giudici di merito, gli elementi costitutivi della contravvenzione sanzionata dall'art. 660 cod. pen.. La Corte di appello, nel prendere atto della sopravvenuta prescrizione del reato, ha ritenuto, occupandosi delle questioni derivanti dall'esercizio dell'azione civile da parte delle persone offese, che le condotte poste in essere dall'imputato — adeguatamente comprovate dalle prove assunte e, in particolare, dalle dichiarazioni delle vittime e da quelle di testimoni sicuramente disinteressati e, quindi, altamente credibili, quali Giovanni Simiotti e Claudio Pangia — abbiano senz'altro generato, in capo alle parti civili, un danno risarcibile.
3. G R propone, con l'assistenza degli avv.ti Pietro Ferri e Roberto Bilotta, ricorso per cassazione affidato a tre motivi, seguito da un ulteriore atto, contenente, tra l'altro, l'articolazione di un motivo nuovo. Con il primo motivo, lamenta che i giudici di merito abbiano accolto la domanda risarcitoria che, tuttavia, le parti civili avevano articolato con esclusivo riferimento alla condotta di atti persecutori, peraltro riferita ad un diverso lasso temporale, per la quale egli è stato assolto, già in primo grado, per insussistenza dell'addebito.Rileva, comunque, che in dibattimento non è stata in alcun modo acquisita la prova del danno asseritamente patito da Di Marco e dai suoi congiunti, che, a ben vedere, costituirebbe la conseguenza di espressioni e comportamenti privi di portata offensiva e, in ultima analisi, neutri. Con il secondo motivo, si duole che la vicenda di interesse processuale sia stata ricostruita in esito ad una fallace esegesi del compendio
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