Cass. civ., sez. II, sentenza 09/03/2012, n. 3787

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Massime3

In tema di rappresentanza, possono essere invocati i principi dell'apparenza del diritto e dell'affidamento incolpevole allorché non solo vi sia la buona fede del terzo che ha stipulato con il falso rappresentante, ma anche un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente.

Il contratto stipulato dal rappresentante, in forza di procura a vendere che sia stata annullata per incapacità d'intendere e di volere del rappresentato, ai sensi dell'art. 428, primo comma, cod. civ., deve ritenersi concluso da rappresentante senza potere, rimanendo estraneo alla disposizione di cui all'art. 1389 cod. civ., la quale disciplina la diversa ipotesi del contratto stipulato dal rappresentante in forza di procura validamente conferitagli dal rappresentato.

L'atto pubblico fa fede fino a querela di falso soltanto relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese ed agli altri fatti dal medesimo compiuti, non estendendosi tale efficacia probatoria anche ai giudizi valutativi eventualmente espressi, tra i quali va compreso quello relativo al possesso, da parte di uno dei contraenti, della capacità di intendere e di volere. Ne consegue che l'autenticazione, da parte del notaio, della firma apposta in calce ad un atto di delega non costituisce prova legale della validità del consenso manifestato dal sottoscrittore.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 09/03/2012, n. 3787
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 3787
Data del deposito : 9 marzo 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M E - Presidente -
Dott. M L - rel. Consigliere -
Dott. B B - Consigliere -
Dott. B M - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 23163-2007 proposto da:
MONTAPERTO SALVATORE MNTSVT39B05B520I, LIPANI MARCO LPNMRC37C23B602G, DI NARO MARGHERITA DNRMGH48C70B602J, CIPOLLINA LUIGI CPLLGU45B15B602P, CIPOLLINA SALVATORE CPLSVT35S26B602D, DI CARO ANTONIA DCRNTN53T43B602P, GAMBINO CALOGERA GMBCGR43E53B602L, MANTIONE CONCETTA
MNTCCT48L62B602C, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell'avvocato G V, rappresentati e difesi dall'avvocato L G V;

- ricorrenti -

contro
VALENZA ANNA MARIA, COMUNE DI CANICATTÌ in persona del Sindaco pro tempore, V LGIA, VALENZA ENRICO, V AREA;

- intimati -

avverso la sentenza n. 194/2007 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 22/02/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2012 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 18/20-5-1988 Valenza Luigia, nella qualità di tutore provvisorio della madre interdicenda I M, assumeva che quest'ultima, mentre versava già in Stato di incapacità di intendere e di volere in quanto affetta da sindrome arteriosclerotica cerebrale, aveva donato al figlio V E un fondo rustico sito in Canicattì, contrada Petrillo, ed aveva rilasciato al medesimo una procura a vendere tutti i propri beni. Aggiungeva che il detto V E aveva effettivamente venduto, in data 8-5-1987, sia il fondo ricevuto in donazione sia i terreni contigui rimasti in proprietà della madre. Tanto premesso, l'attrice conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Agrigento V E e gli acquirenti dei terreni L M, C S, G C, C L, D C A, C S e M C, chiedendo che venissero dichiarati nulli o annullati ex artt. 428 e 775 c.c. tutti gli atti sopra indicati, con conseguente condanna dei convenuti alla restituzione dei beni ed al risarcimento dei danni. Nel costituirsi, V E contestava la dedotta incapacità d'intendere e di volere della madre, assumendo che la stessa era stata visitata e riconosciuta sana di mente appena pochi mesi prima della donazione, e rilevando che la predetta aveva anche percepito il prezzo della vendita.
Si costituivano anche gli altri convenuti, deducendo di avere acquistato i beni a titolo oneroso in buona fede e contestando, in ogni caso, lo stato d'incapacità di intendere e di volere della I.
Successivamente, con separati atti di citazione, Valenza Luigia, premesso che nonostante la trascrizione della prima citazione, effettuata il 10-6-1988, gli acquirenti già convenuti avevano proceduto a vendere a terzi i beni in questione, conveniva in giudizio gli stessi convenuti e i successivi acquirenti, chiedendo che venissero dichiarati nulli e improduttivi di effetti i vari atti di vendita.
La stessa attrice, inoltre, evocava in giudizio i medesimi L M, C S, G C, C L, D C A, C S e M C, nonché il Comune di Canicattì, per far dichiarare la nullità degli atti con i quali erano stati costituiti alcuni vincoli in favore di tale Ente su alcune particelle del fondo nel frattempo frazionato. A seguito della riunione di tutte le cause e dell'integrazione del contraddicono nei confronti degli altri eredi (V E, V A M e V A) di I M, nel frattempo deceduta, il Tribunale di Agrigento, con sentenza del 20-4- 2004, ritenuta raggiunta la prova della incapacità di intendere e di volere della I solo in relazione alla procura a vendere rilasciata al figlio V E il 30-3-1987 e non anche in relazione alla donazione del 19-6-1985, annullava detta procura e il conseguente atto pubblico di compravendita dell'8-5-1987 tra V E e L M, C S, G C, C L, D C A, C S e M C;
dichiarava, inoltre, l'inefficacia dei successivi atti di compravendita e di apposizione di vincoli in favore del Comune di Canicattì, posti in essere dagli acquirenti;

condannava i convenuti alla restituzione dei beni immobili e al risarcimento dei danni;
rigettava le ulteriori domande proposte dall'attrice e le domande riconvenzionali dei convenuti. Avverso la predetta decisione proponevano appello L M, C S, G C, C L, D C A, C S, M C, D N M, in proprio e quale erede di P I, e M S.
Con sentenza depositata il 22-2-2007 la Corte di Appello di Palermo rigettava il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza ricorrono L M, C S, G C, C L, D C A, M C, in proprio e quale erede di C S, M S e D N M, in proprio e quale erede di P I, sulla base di sei motivi.
Gli intimati non si sono costituiti.
I ricorrenti hanno depositato istanza di persistenza dell'interesse alla trattazione, ai sensi della L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 26. MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2719 c.c., nonché l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Deducono che i giudici di merito hanno retrodatato al dicembre 1986 lo stato di demenza senile e, quindi, di incapacità di intendere e di volere di I M, esclusivamente sulla base della fotocopia di una ipotetica lettera del 13-12-1986 della Direzione della Casa di Riposo, riferente uno stato di "confusione mentale" della predetta e la convinzione della stessa che "i figli la vogliono derubare e/o avvelenare". Sostengono che tale fotocopia è stata espressamente disconosciuta nella sua conformità all'originale sia all'udienza successiva alla sua produzione che nell'atto di appello;
e che, pertanto, di essa non poteva farsi uso, non avendo parte avversa prodotto l'originale ne' dimostrato in altro modo ì fatti asseriti nella fotocopia disconosciuta. Evidenziano che la non conformità della detta fotocopia all'originale è comprovata dalla lettera del gennaio 1987 dell'avv. Vincenzo Valenza, nella quale, con riferimento alla segnalazione ricevuta dalla Casa di Riposo riguardo alle condizioni della I, non si parlava affatto ne' dello stato confusionale in cui versava la donna, ne' dei timori della stessa nei confronti dei figli. Rilevano che ì a Corte di Appello ha ritenuto infondato l'operato disconoscimento perché riferito ai "requisiti di autenticità", senza considerare che il rilievo di non autenticità equivaleva al rilievo di non conformità della copia all'originale. Aggiungono che nel terzo motivo di gravame è stato specificato chiaramente il significato da attribuire all'operato disconoscimento, e che il disconoscimento di conformità all'originale di copie di scritture non provenienti dalla parte può essere effettuato per la prima volta anche in appello.
Il motivo

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi