Cass. civ., SS.UU., sentenza 27/07/2007, n. 16626

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Massime4

Nel sistema normativo antecedente alla nuova disciplina individuata dal d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, l'azione disciplinare contro i magistrati era esercitata con la richiesta del P.G. presso la Corte di cassazione al Cons. Sup. Magistratura di istruzione formale ovvero con la comunicazione dello stesso P.G. al Cons. Sup. Magistratura che egli procedeva con istruzione sommaria, con la conseguenza che la pregressa attività ispettiva ministeriale, di natura amministrativa e non giurisdizionale, si poneva al di fuori del procedimento disciplinare vero e proprio, alla quale non poteva considerarsi, del resto, unicamente preordinata. (Nella specie, le Sezioni unite, rigettando il relativo motivo del magistrato ricorrente, hanno ritenuto che con l'impugnata sentenza disciplinare fosse stata correttamente qualificata la relazione dell'ispettore come una mera notizia, sulla base della quale il P.G. aveva deciso di dar corso all'azione disciplinare nelle forme dell'istruttoria sommaria, traendone la conclusione che le eventuali violazioni di legge intervenute nel corso dell'inchiesta ispettiva non avrebbero potuto riflettersi sulla validità del decreto di citazione a giudizio e del conseguente processo disciplinare).

In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati (nella specie ricadente sotto il vigore della normativa antecedente alla nuova disciplina di cui al d.lgs. n. 109 del 2006), è da considerarsi validamente formato e non affetto da indeterminatezza - anche in virtù del rispetto del principio generale di conservazione degli atti, quando siano idonei a produrre gli effetti tipici ad essi ricollegabili - il capo di incolpazione che contenga la contestazione di uno o più comportamenti disciplinarmente rilevanti, ancorché impropriamente formulati a mò di esempio, risultando tale modalità comunque idonea a garantire la corretta instaurazione del contraddittorio e l'esercizio del diritto di difesa dello stesso incolpato, con riferimento agli addebiti specificamente individuati, restando poi naturalmente affidato al giudice del merito disciplinare stabilire se quei fatti, nella loro individuale e puntuale materialità, siano o meno sufficienti ad integrare l'illecito disciplinare. All'esito del compimento di questo accertamento e della valutazione dei singoli episodi contestati il giudice disciplinare può, ovviamente, pervenire a pronunciare condanna per una parte sola dei fatti imputati che siano rimasti riscontrati, senza potersi ritenere che tale giudizio configuri un inammissibile mutamento dell'incolpazione.

Ai fini della configurabilità dell'illecito disciplinare non è sufficiente il compimento, da parte del magistrato, di atti scorretti o contrari alla legge, essendo altresì necessario che tali atti siano idonei ad incidere negativamente sulla fiducia e sulla considerazione di cui deve godere il magistrato, ovvero a compromettere il prestigio dell'ordine giudiziario; in altri termini, la rilevanza disciplinare dei comportamenti ascritti al magistrato incolpato risiede essenzialmente nel discredito che quelle condotte, anche all'infuori di ogni illecita preordinazione, sono idonee a gettare sull'esercizio dell'attività giudiziaria e che il magistrato è comunque tenuto ad evitare. Il relativo accertamento delle suddette condizioni compete alla Sezione disciplinare del Cons. Sup. Magistratura ed è incensurabile in sede di legittimità se la relativa decisione risulti sorretta da adeguata e logica motivazione. (Nella specie, le Sezioni unite hanno rigettato il ricorso proposto dal magistrato fallimentare sanzionato con l'ammonimento, rilevando la correttezza e l'adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata in relazione ai plurimi addebiti disciplinari ascritti all'incolpato, consistiti nell'indebita pressione esercitata su un curatore con successiva proposta della sua revoca a fini ritorsivi, nell'aver colpevolmente ignorato una serie di segnalazioni di altro curatore relativi al compimento di atti, da parte di una cooperativa poi dichiarata fallita, intesi a sottrarre, nell'imminenza del fallimento, il proprio patrimonio alla soddisfazione dei creditori, e, infine, nell'aver contribuito, con la sua condotta, all'emanazione di un provvedimento collegiale di rigetto dell'istanza di riapertura del fallimento di una società sul presupposto, dimostratosi falso, dell'inesistenza di attivo).

Ai fini della sussistenza della responsabilità disciplinare a carico di magistrato che sia riferibile ad addebiti riconducibili alla sua attività provvedimentale non si valuta la correttezza in sé di un determinato provvedimento che sia stato redatto dallo stesso incolpato, bensì la condotta del magistrato medesimo, cioè il suo impegno intellettuale e morale congiuntamente alla sua dedizione alla sua funzione, che deve essere sempre esercitata rispettando i doveri d'ufficio. L'insindacabilità in ambito disciplinare dei provvedimenti giurisdizionali e delle interpretazioni adottate esclude, infatti, che la loro inesattezza tecnico-giuridica possa di per sé sola configurare l'illecito disciplinare del magistrato, ma non quando essa sia conseguenza di scarso impegno e ponderazione o di approssimazione e limitata diligenza, ovvero sia indice di un comportamento del tutto arbitrario, e rischi perciò di compromettere il prestigio dell'ordine giudiziario. Per stabilire allora se ricorra o meno la responsabilità disciplinare è necessario accertare se il provvedimento costituisca un sintomo di negligenza o di inammissibile imperizia del giudice, come tale suscettibile di quella negativa incidenza sull'indicato prestigio dell'ordine giudiziario. (Nella specie, le Sezioni unite, alla stregua del principio enunciato, hanno confermato l'impugnata sentenza disciplinare con la quale, in relazione alla reiezione di un provvedimento di riapertura di un fallimento, era stata ravvisata la responsabilità disciplinare del magistrato fallimentare incolpato, che aveva contribuito in modo determinante alla conseguente deliberazione collegiale, non già nel fatto che con detto provvedimento si fosse potuto eventualmente violare l'art. 121 legge fall., bensì nell'inescusabile negligenza che in esso si era manifestata, perché fondato su presupposti inesistenti, adottandosi in proposito una motivazione solo apparente e basata su un macroscopico travisamento dei fatti).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 27/07/2007, n. 16626
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16626
Data del deposito : 27 luglio 2007
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente -
Dott. CORONA Rafaele - Presidente -
Dott. SENESE Salvatore - Presidente -
Dott. VITRONE Ugo - Consigliere -
Dott. DURANTE Bruno - Consigliere -
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere -
Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -
Dott. TIRELLI Francesco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NO, elettivamente domiciliato in LOCALITA1,
presso lo studio dell'avvocato NOME2, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME3, NOME2, giusta
delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro
RICORSO NON NOTIFICATO AD ALCUNO;

avverso la sentenza n. 93/06 del Consiglio superiore magistratura di Roma, depositata il 31/07/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/07 dal Consigliere Dott. Renato RORDORF;

uditi gli avvocati NOME3, NOME2;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, all'esito di un'inchiesta disposta dal Ministro della Giustizia sulla sezione del Tribunale di LOCALITA2 addetta alla trattazione delle procedure concorsuali, formulò molteplici addebiti di carattere disciplinare nei confronti dr. NO, nonché di altri Giudici in
servizio presso quella sezione.
Dopo un complesso iter procedurale la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con sentenza il cui dispositivo fu letto all'udienza del 23 maggio 2006 e la cui motivazione fu depositata il 31 luglio 2006, avendo ritenuto in tutto o in parte sussistenti solo tre dei vari addebiti esposti nel capo d'incolpazione, comminò al dr. NO la sanzione
dell'ammonimento.
Il Giudice disciplinare preliminarmente disattese l'eccezione di genericità dei capi d'incolpazione formulata dalla difesa, la quale aveva obiettato che molte delle accuse rivolte al magistrato si sostanziavano in comportamenti indicati a mero titolo esemplificativo. Questa circostanza, a parere del giudicante, non escludeva però che i fatti specificamente esemplificati fossero stati idoneamente contestati, pur non potendosi tener conto di fatti diversi da quelli.
Fu anche rigettata un'eccezione di nullità dell'intero procedimento per inosservanza, da parte degli ispettori ministeriali, delle garanzie difensive previste dalla L. 12 agosto 1962, n. 1311, art.12, in quanto - osservò il Giudice disciplinare - l'anzidetta
attività ispettiva non si inserisce nel corpo del procedimento giurisdizionale, costituendo essa solo la notizia criminis da cui, nel caso in esame, era scaturita l'iniziativa del Procuratore generale;
e nel corso di detto procedimento le garanzie della difesa erano state pienamente rispettate.
Quanto al merito, la Sezione disciplinare, mentre per un verso reputò indimostrate - per ragioni che ormai in questa sede più non interessano - molte delle accuse rivolte nella relazione ispettiva al dr. NO, per altro verso, sulla base della documentazione raccolta e delle deposizioni acquisite, ritenne fosse stata raggiunta la prova di illeciti disciplinari relativi a tre procedure concorsuali nelle quali l'incolpato aveva avuto veste di Giudice delegato o di relatore.
In particolare, con riferimento al fallimento della società NOME4 s.p.a., il Giudice disciplinare
considerò dimostrato che il dr. NO aveva esercitato indebite pressioni sul curatore per indurlo a chiedere la nomina di un coadiutore, di gradimento di esso Giudice delegato, e che aveva poi manifestato un anomalo interesse per lo svolgimento della procedura, sollecitando il curatore (in seguito peraltro revocato dal tribunale su proposta del medesimo Giudice delegato) a cedere a prezzo incongruo, a persona facente capo al socio egemone della società fallita, una rilevante partecipazione societaria di cui la fallita stessa era titolare.
Con riferimento al fallimento della cooperativa NOME5, la responsabilità disciplinare del dr. NO fu affermata per avere egli sistematicamente e colposamente ignorato le segnalazioni e le richieste del curatore di altro fallimento, creditore della NOME5, dirette a far accertare ed a contrastare una serie di gravi fatti gestionali, verificatisi prima e dopo l'apertura della procedura concorsuale, in conseguenza dei quali il curatore del fallimento della NOME5, era stato poi sottoposto a procedimento penale ed a custodia cautelare.
Infine, il giudice disciplinare considerò fondato anche l'addebito mosso al dr. NO perché, quale relatore ed estensore del provvedimento collegiale con cui il tribunale aveva rigettato un'istanza di riapertura del fallimento della NOME6 s.r.l., aveva travisato i fatti e motivato il provvedimento con ricorso a mere formule di stile, ignorando la documentazione prodotta dal richiedente, dalla quale inconfutabilmente risultava l'esistenza di un attivo di conto corrente bancario, intestato alla società, che avrebbe potuto esser recuperato con estrema facilità a beneficio dei creditori.
Sulla scorta di tali elementi, e tenuto altresì conto sia della trasandatezza dimostrata dall'incolpato nella conduzione delle procedure di minore importanza, della sua propensione ad impartire indicazioni perentorie anziché ricercare il dialogo con i collaboratori di giustizia, del suo scarso interesse alla trasparenza, della sua tendenza ad affiancare curatori non graditi con coadiutori di sua personale fiducia, ma d'altro canto anche della sua laboriosità e del difficile contesto in cui era stato chiamato ad operare, la Sezione disciplinare stimò giusto irrogare al dr. NO la sanzione dell'ammonimento.
Il dr. NO ha ora proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza prospettando sei motivi di doglianza, illustrati poi anche con una memoria.
Non ha svolto difese l'amministrazione intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Per migliore chiarezza espositiva conviene trattare separatamente, anzitutto, i primi tre motivi del ricorso, che sono volti a denunciare vizi del procedimento, ed in seguito i restanti tre, che attengono invece al contenuto della pronuncia disciplinare impugnata. Profili di doglianza ulteriori e diversi, adombrati nella memoria depositata dal ricorrente a norma dell'art. 378 c.p.c., non possono viceversa esser presi assolutamente in considerazione. Detta memoria è infatti destinata soltanto ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con il ricorso o con il controricorso, allo scopo di confutare le tesi avversarie. Non può essere invece adoperata per integrare o ampliare il contenuto delle originarie argomentazioni, se queste non siano state adeguatamente già prospettate e sviluppate con l'atto introduttivo, giacché altrimenti si violerebbe il diritto difensivo della controparte di avvalersi di un congruo termine per esercitare la propria facoltà di replica.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta che il Giudice disciplinare, pur avendo espressamente riconosciuto le gravi anomalie verificatesi nel corso dell'inchiesta ministeriale che ha dato la stura al procedimento disciplinare, e pur avendo rimproverato al Procuratore generale che ha intrapreso l'azione di non aver esercitato un'adeguata funzione di filtro rispetto alle caotiche acquisizioni dell'ispettore, non ne abbia tratto le necessarie conseguenze, erroneamente attribuendo alla relazione ispettiva la funzione di mera notizia criminis anziché di atto del procedimento. Invece, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuto tener conto della palese violazione, nel caso di specie, di quanto dispone la L. 12 agosto 1962, n. 1311, art. 12, - a tenore del quale l'ispettore
ministeriale cui sia demandata un'inchiesta è obbligato a chiedere informazioni al capo dell'ufficio ed al magistrato inquisito - e, dovendosi equiparare siffatta attività d'inchiesta all'istruttoria sommaria prevista dal codice di procedura penale del 1930 (applicabile al procedimento disciplinare in esame), si sarebbe dovuto dichiarare la nullità del decreto di citazione a giudizio, ai sensi dell'art. 411 di detto codice, e ci si sarebbe dovuti astenere comunque dall'utilizzare nel procedimento la relazione ispettiva ed i suoi esiti.

1.2. Anche il secondo motivo di ricorso è inteso a denunciare la nullità del decreto di citazione a giudizio, questa volta con riferimento alla previsione dell'art. 412 c.p.p., del 1930: per l'assoluta genericità dei capi d'incolpazione, aventi ad oggetto condotte asseritamente sistematiche, ma in realtà indistinte, con l'indicazione di sporadici episodi a titolo soltanto esemplificativo.

1.3. A quanto appena osservato si ricollega anche la censura rivolta all'impugnata sentenza nel terzo motivo di ricorso, ove si lamenta che gli episodi menzionati nei capi d'incolpazione siano stati estrapolati e valutati come fatti di per sè soli rilevanti ai fini disciplinari, con conseguente snaturamento della contestazione, che riguardava invece una condotta diversa, connotata dalla sistematicità e dalla reiterazione dei comportamenti.

2. Nessuno dei tre riferiti motivi di ricorso appare fondato.

2.1. In ordine al primo di essi, va subito osservato come non sia condivisibile l'equiparazione operata dal ricorrente tra l'attività dell'ispettore ministeriale e l'istruttoria sommaria prevista dal codice di procedura penale del 1930. L'istruttoria sommaria, nel procedimento disciplinare che si svolgeva sotto il vigore della normativa anteriore al recente D.Lgs. n. 109 del 2006, certo esisteva, ma era quella svolta dal Procuratore generale (in alternativa alla richiesta di istruzione formale rivolta dal medesimo Procuratore generale al Consiglio Superiore della Magistratura), onde queste sezioni unite hanno affermato che l'azione disciplinare contro i magistrati è appunto esercitata con la richiesta del Procuratore generale presso la Corte di cassazione al Consiglio superiore della Magistratura di istruzione formale, ovvero con la comunicazione

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