Cass. civ., sez. II, sentenza 25/09/2018, n. 22616
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la seguente SENTENZA sul ricorso 6464-2013 proposto da: DEL NERO ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA R. GRAZIOLI LANTE 9, presso lo studio dell'avvocato P C P, che lo rappresenta e difende;- ricorrente- contro PETRACCI ALESSANDRO, BIANCHI AGNESE, PETRACCI ANDREA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VINCENZOBRUNACCI, 19, presso lo studio dell'avvocato F T, rappresentati e difesi dall'avvocato M P;COMUNE RONCIGLIONE in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUNIO BAZZONI 1, presso lo studio dell'avvocato F A, che lo rappresenta e difende;SOCIETA' COOPERATIVA AGRICOLA CONSUMO LIBERI CONTADINI A RESPONSABILITA' LIMITATA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VINCENZO BRUNACCI, 19, presso lo studio dell'avvocato F T, rappresentato e difeso dall'avvocato M P;- controricorrenti - nonchè contro REGIONE LAZIO, PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA CORTE D'APPELLO ROMA, PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA CORTE CASSAZIONE;- intimati - avverso la sentenza n. 38/2012 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 05/12/2012;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2018 dal Consigliere Dott. A C;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. L CO che ha concluso per il rigetto del 10 motivo, accoglimento del 2° motivo, assorbiti i restanti;udito l'Avvocato PUCCI Pietro Carlo, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento delle difese l'accoglimento delle conclusioni depositate in atti;uditi gli Avvocati PUCCI P.Carlo e Claudia POLACCHI con delega orale difensori dei resistenti che hanno chiesto il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA Con ricorso depositato il 16.1.2007 il sig. A D N adiva il commissario per la liquidazione degli usi civici per il Lazio, Umbria e Toscana chiedendo di accertare l'appartenenza al demanio collettivo della popolazione di Ronciglione del comprensorio fondiario esteso 37.67.57 ettari, censito in catasto al foglio 11, p.11e 8 e 10, e al foglio 12, p.11a 8, e denominato "Il Barco". L'accertamento della medesima natura veniva richiesto altresì con riguardo al fondo, esteso 1.31.60 ettari e censito in catasto al foglio 11, part. 164, ricompreso nel predetto appezzamento. Pertanto l'attore chiedeva dichiararsi la nullità dell'atto di compravendita concluso in data 15.7.1997 tra il Comune di Ronciglione e la "Società cooperativa agricola di consumo liberi contadini a r.l.", avente ad oggetto il fondo principale, nonché il successivo atto di compravendita del 28.6.2006, stipulato tra la predetta Cooperativa ed i signori Andrea P, Agnese B ed Alessandro P, avente ad oggetto la porzione estesa 1.31.60 ettari. Costituitesi tutte le parti convenute ed espletata c.t.u., il Commissario, con sentenza del 9.9.2008, in accoglimento della domanda principale, accertava e dichiarava l'appartenenza al Demanio collettivo del terreno esteso 1.31.60 ettari, censito al Catasto del Comune di Ronciglione al foglio 11, p.11a 164, e, per l'effetto, dichiarava nullo l'atto di disposizione del Comune di Ronciglione, nella parte in cui aveva ad oggetto tale appezzamento, nonché il successivo atto di compravendita tra la cooperativa acquirente e i sigg. P e B. A fondamento di tale decisione venivano poste le conclusioni del c.t.u., circa la sussistenza sul comprensorio per cui è causa di diritti d'uso civico in favore della popolazione di Ronciglione, mai divenuti oggetto di provvedimenti di liquidazione e protrattisi sicuramente dal 1893 al 1967. La corte d'appello di Roma, sezione usi civici, investita dai reclami proposti avverso tale decisione sia dalla cooperativa sia dai suoi aventi causa, sigg. B e P, accolto l'impugnazione, ritenendo che la concessione di diritti di pascolo e di legnatico in favore della popolazione di Ronciglione, contenuta nell'atto del 1760 con cui la Camera Apostolica aveva concesso il 6464/13 fondo in enfiteusi al Comune di Ronciglione, non costituisse riconoscimento di usi civici preesistenti, ma unicamente la disciplina convenzionale dei diritti dell'enfiteuta. Pertanto, secondo la corte capitolina, quando il Comune ne divenne pieno proprietario nel 1858, tale bene entrò a far parte del patrimonio disponibile e non del demanio comunale, con la conseguenza che legittima doveva ritenersi la compravendita stipulata con la cooperativa nel 1997 e quella da quest'ultima stipulata in favore dei signori P e B. Per la cassazione di tale decisione il signor A D N ha proposto ricorso, sulla scorta di sedici motivi, notificandolo ai signori Andrea P, Alessandro P e Agnese B, alla Società cooperativa agricola di consumo "Liberi Contadini" a r.l., al Comune di Ronciglione, alla Regione Lazio al Procuratore Generale presso la corte di appello di Roma ed al Procuratore Generale presso questa Corte. Hanno depositato controricorso i signori Andrea P, Alessandro P e Agnese B, la Società cooperativa di consumo "Liberi Contadini" ed il Comune di Ronciglione, mentre gli altri intimati non hanno spiegato attività difensiva in questa sede. La causa è stata chiamata all'udienza del 7 marzo 2018 - per la quale depositavano memoria ex art. 378 c.p.c. il ricorrente e il controricorrente Comune di Ronciglione e nella quale il Procuratore Generale concludeva come in epigrafe - e all'esito veniva decisa in camera di consiglio. RAGIONI DELLA DECISIONE Col primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 32, commi 1 e 3, della legge n. 1766 del 1927, in relazione all'art. 360, comma 1, c.p.c. La corte distrettuale avrebbe errato nel rigettare l'eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata dall'odierno ricorrente in relazione alla suddetta norma, la quale prevede l'appellabilità delle sole sentenze commissariali definitive;al riguardo si argomenta che la sentenza commissariale del 9.9.2008 aveva ad oggetto solo una porzione del maggior fondo per cui è causa, cosicché la stessa non avrebbe esaurito l'oggetto del 6464/13 giudizio e, conseguentemente, non sarebbe stata autonomamente impugnabile. Col secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., nonché dell'art. 75, comma 2, del R.D. 332 del 1928, con conseguente nullità della sentenza e del giudizio, per avere la corte omesso di rilevare la mancata nomina, in primo grado, della speciale rappresentanza prevista dal suddetto articolo per il caso in cui - come nel presente giudizio - il comune non riconosca la natura demaniale dei fondi e, pertanto, insorga conflitto di interessi tra l'ente pubblico e i comunisti. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del principio della imprescrittibilità ed indisponibilità degli usi civici e del principio ubi feuda ibi demania, nonché degli artt. 1 e 9 della legge n. 1766 del 1927 e degli artt.115 e 116 c.p.c. Secondo il ricorrente la corte d'appello avrebbe disatteso la consolidata giurisprudenza sui feudi farnesiani del ducato di Castro e Ronciglione, costituito da P P I con la bolla Celestis Altitudinis Potentiae del 1537, poi tornato alla Camera Apostolica nel 1649. Il pacifico carattere feudale di questi territori doveva condurre al riconoscimento della sussistenza di usi civici in tutti i paesi del Ducato, per il principio che postula la sussistenza di diritti di uso civico in tutti i territori concessi in feudo, ove corrisponda una preesistente popolazione, in ragione delle funzionalità di tali diritti alle insopprimibili esigenze di vita della popolazione locale, nonché a quelle di cura del fondo. Né, argomenta il ricorrente, sussisterebbe incompatibilità tra la sussistenza di usi civici e la concessione del fondo in affitto o enfiteusi. Col quarto motivo il ricorrente denuncia nuovamente, sotto altro angolo visuale, la violazione del principio di imprescrittibilità ed indisponibilità degli usi civici e del principio ubi feuda ibi demania, nonché degli artt. 1 e 4 della legge n. 1766 del 1927 e degli artt. 115 e 116 c.p.c. Secondo il ricorrente, anche ove non si riconoscesse la natura di demanio feudale al comprensorio denominato "Il Barco", la sentenza rimarrebbe viziata a causa della violazione delle norme in materia di sui civici, poiché tali usi furono regolarmente denunciati, in data 28.3.1928, dal Commissario Prefettizio per Ronciglione.Col quinto motivo il ricorrente torna ancora a denunciare la violazione del principio di imprescrittibilità ed indisponibilità degli usi civici e del principio ubi feuda ibi demania, nonché degli artt. 1 e 9 della legge n. 1766 del 1927, in relazione all'art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., assumendo che la corte romana avrebbe errato nel trarre argomenti circa l'inesistenza dei pretesi diritti di uso civico dalla non menzione di tali diritti nei vari atti dispositivi aventi ad oggetto i fondi in questione. Il ricorrente argomenta che, trattandosi di situazioni soggettive imprescrittibili ed indisponibili, le stesse non costituirebbero pesi, bensì diritti naturali di jus singulare che garantiscono alla popolazione di trarre dalla propria terra i beni necessari alla sopravvivenza. Col sesto motivo il ricorrente censura la violazione degli artt. 1 e 25 della legge n. 1766 del 1927, nonché dell'art. 1 della legge n. 397 del 1894, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. La corte avrebbe errato nell'escludere la natura di demanio collettivo anche in relazione all'assegnazione che ebbe ad oggetto tali terre, operata dal Comune nel 1921 in favore dell'Università Agraria di Ronciglione, costituita nel 1908 in applicazione della legge n. 397 del 1894 (ordinamento dei domini collettivi nelle provincie dell'ex Stato Pontificio) e soppressa con R.D. n. 1472/1922. Tali università, argomenta il ricorrente, erano enti di natura associativa per la gestione comune di fondi agricoli, dotati di personalità giuridica, con la conseguenza che, quand'anche tali terre non avessero avuto natura di demanio pubblico, tale natura sarebbe discesa dall'atto di assegnazione all'università agraria e non sarebbe potuta venire meno in seguito all'estinzione dell'ente e al riacquisto in capo al comune senza un'apposita procedura di sdemanializzazione. Col settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1 e 11 della legge n. 1766 del 1927, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. La corte di appello avrebbe errato nel ritenere che non vi potesse essere costituzione di demanio di uso civico ove tale situazione di demanialità non sussistesse ab antiquo o ab immemorabile, avendo trascurato il principio secondo cui terreni privati gravati da uso civico, ove acquistati da enti pubblici anche a titolo particolare, divengono parte del demanio civico.Con l'ottavo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1 e 11 della legge n. 1766 del 1927, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c assumendo che, alla stregua di tali norme, tutti i beni comunali, posseduti ed utilizzati in qualsiasi tempo dalle popolazioni, sarebbero soggetti alle disposizioni della legge del 1927, col conseguente vincolo di indisponibilità. Col nono motivo il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4 e 11 della legge n. 1766 del 1927, in relazione all'art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., nella parte in cui la corte avrebbe escluso che i diritti di uso civico potessero avere fondamento contrattuale. Col decimo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1 e 29 della legge n., 1766 del 1927, nonché del principio ubi feuda ibi demania, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.;nel motivo si deduce che la corte territoriale avrebbe errato nel procedere all'accertamento della qualitas soli prescindendo da qualsiasi indagine sul carattere feudale dei territori che, ove sussistente, come nel caso di specie, rende irrilevante qualsiasi omissione, o previsione contrastante, all'interno degli atti di disposizione dei beni gravati. Con l'undicesimo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 1 della legge n, 1766 del 1927 e del combinato disposto tra gli artt., 42, comma 2, della stessa legge, dall'art. 2 della legge n. 5489 del 1888 e dall'art. 2 del R.D. n. 510 del 1891. La corte territoriale avrebbe errato nel ritenere incompatibile con la natura di diritti di uso civico la previsione di poteri analoghi di fonte contrattuale, (l'affitto o enfiteusi perpetua del 1760). Col dodicesimo motivo il ricorrente censura la violazione degli artt. 1 e 4, comma 4, della legge n. 1766 del 1927 e del combinato disposto degli artt., 42, comma 2, della stessa legge, 1 e 2 della legge n. 5489 del 1888 e 1 e 2 del R.D. n. 510 del 1891, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. La corte capitolina avrebbe omesso di considerare il "diritto di fida", esplicitamente menzionato nella concessione enfiteutica del 1760, disciplinato all'art. 4, comma 4, della legge 1766/1927 e, prima, annoverato dal RDL 751/1924 tra gli usi civici dominicali, già suscettibile di liquidazione ai sensi della legge n. 5489 del 1888 e del RD n. 510 del 1891.6464/13 Col tredicesimo motivo il ricorrente censura la violazione degli artt. 1, 29 e 42, comma 2, della legge n. 1766 del 1927, nonché dell'art. 18 del RD n. 510 del 1891, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Il ricorrente sostiene che, se anche ai diritti in questione dovesse riconoscersi natura privatistica, essi sarebbero ancora sussistenti, perché mai rinunciati, e, pertanto, soggetti a liquidazione, nella misura in cui consentono un godimento promiscuo delle terre. Col quattordicesimo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1 e 11 della legge n. 1766 del 1927 e dell'art. 832 c.c., nonché la falsa applicazione degli artt. 1571 e ss. e 1615 e ss. c.c. e la violazione dei principi inerenti l'istituto della locazione perpetua, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Secondo il ricorrente la corte avrebbe errato nel ricondurre le concessioni di diritti e facoltà nascenti dal contratto a mere obbligazioni, escludendone la natura di usi civici, e necessariamente operando una qualificazione in termini di locazione del negozio del 1760 che non tiene conto del peculiare carattere della perpetuità. Col quindicesimo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. e 2909 c.c., nonché la violazione dell'art. 32, comma 1, della legge n. 1766 del 1927, in cui la corte capitolina sarebbe incorsa omettendo di pronunciarsi sul motivo di appello con cui le controparti avevano censurato la sentenza del Commissario nella parte in cui dichiarava inopponibile ai cittadini di Ronciglione la sentenza del tribunale di Viterbo n. 550/2003. Col sedicesimo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., lamentando arbitrarietà ed illogicità insanabili della relativa motivazione. In relazione agli esposti motivi di ricorso il Collegio osserva quanto segue. Il primo motivo va giudicato infondato, avendo le Sezioni Unite di questa Corte già affermato che, in tema di usi civici, devono considerarsi definitive, e quindi suscettibili di reclamo alla corte d'appello, ai sensi dell'art. 32, terzo comma, della legge 16 giugno 1927, n. 1766, le decisioni che, ancorché non esauriscano l'intero giudizio, risolvano questioni concernenti l'esistenza, la natura o l'estensione dei diritti di uso civico (
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