Cass. civ., SS.UU., sentenza 19/02/2004, n. 3331

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Massime1

In tema di cittadinanza, gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 87 del 1975 - con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, terzo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella parte in cui prevedeva che la cittadina italiana perdesse, indipendentemente dalla sua volontà, la cittadinanza italiana per il solo fatto di essersi sposata con uno straniero la cui cittadinanza le si comunicasse in virtù del matrimonio - non retroagiscono oltre la data del primo gennaio 1948, in tal senso dovendosi normalmente intendere il limite temporale di efficacia delle pronunce di incostituzionalità di leggi anteriori alla Costituzione, sicché, ove un tale matrimonio sia stato contratto dalla donna cittadina italiana prima di tale data, è destinato a rimanere fermo l'effetto, fino ad allora legittimamente prodottosi, estintivo (dello stato di cittadinanza), essendo questo frutto di una vicenda ormai esaurita, salva per la donna la possibilità - concessa dall'art. 219, primo comma, della legge di riforma del diritto di famiglia 19 maggio 1975, n. 151 - di riacquistare la cittadinanza perduta mediante un'apposita dichiarazione, avente in tal caso effetti costitutivi, resa all'autorità competente. Ne consegue che, in mancanza della dichiarazione di cui al citato art. 219, primo comma, non può essere considerato cittadino italiano "iure sanguinis" (a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 30 del 1983, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma - art. 1, primo comma, numero 1, della citata legge n. 555 del 1912 - che poneva la regola dello "ius sanguinis a patre") il figlio (nato nella specie dopo il primo gennaio 1948) di donna la quale, a seguito di matrimonio con uno straniero contratto prima dell'entrata in vigore della Costituzione, abbia perduto, sotto la previgente disciplina (poi dichiarata incostituzionale), l'originario "status" di cittadina italiana e acquisito quella del marito.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 19/02/2004, n. 3331
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 3331
Data del deposito : 19 febbraio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DELLI PRISCOLI Mario - Primo Presidente f.f. -
Dott. GENGHINI Massimo - Presidente di sezione -
Dott. PAPA Enrico - Consigliere -
Dott. MENSITIERI Alfredo - Consigliere -
Dott. LUPO Ernesto - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giandonato - Consigliere -
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Consigliere -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - rel. Consigliere -
Dott. GRAZIADEI Giulio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
EL SI, EL IZ, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELL'ACQUA TRAVERSA 195, presso lo studio dell'avvocato ENRICO DAPEI, che li rappresenta e difende, giusta procura speciale, in atti;

- ricorrenti -

contro
MINISTERO DELL'INTERNO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

- intimati -

avverso la sentenza n. 1511/01 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 27/04/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/12/03 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI;

udito l'Avvocato Enrico DAPEI;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per l'accoglimento del ricorso con pronuncia nel merito ex art. 384 c.p.c.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 4 dicembre 1998 MO VI, nato ad [...] il [...], ed AK VI, nato ad [...] il [...], convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero dell'Interno, chiedendo che si dichiarasse che la loro madre LE EL LY SS, cittadina italiana alla nascita - la quale a seguito di matrimonio con un cittadino turco contratto il 15 gennaio 1947 aveva acquistato, secondo l'art. 10 comma 3 della legge 13 giugno 1912 n. 555 all'epoca vigente, la cittadinanza turca
perdendo quella italiana - aveva in realtà conservato la cittadinanza italiana, in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1975, dichiarativa dell'incostituzionalità della norma suindicata, e che pertanto essi attori erano cittadini italiani dalla nascita, per effetto della ulteriore sentenza n. 30 del 1983 della stessa Corte Costituzionale, che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.

1. comma 1, n. 1, della legge citata, nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina.
Nella contumacia dell'Amministrazione convenuta il Tribunale, con sentenza del 19 novembre 1999 - 15 febbraio 2000, rigettava la domanda, osservando che l'efficacia delle sentenze della Corte Costituzionale in ordine alle leggi emanate prima dell'entrata in vigore della Costituzione non retroagisce oltre il 1 gennaio 1948 e che pertanto la SS aveva legittimamente perso la cittadinanza con il matrimonio nell'anno 1947 senza più riacquistarla. L'impugnazione proposta da MO ed AK VI era rigettata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza del 4-27 aprile 2001. In detta pronuncia la Corte territoriale richiamava la sentenza n. 12061 del 1998 di queste sezioni unite che, pronunciando in analoga fattispecie, aveva definito diritto vivente il principio che l'efficacia retroattiva delle sentenze di incostituzionalità sin dal momento dell'entrata in vigore delle relative norme trova piena applicazione solo con riferimento alle norme incostituzionali ab initio, mentre ove la collisione delle norme stesse con i parametri costituzionali si sia verificata successivamente alla loro entrata in vigore il termine di decorrenza degli effetti di dette sentenze coincide con il momento in cui il vizio di incostituzionalità si è concretizzato, ossia, con riferimento alle leggi anteriori alla Costituzione, con la data del 1 gennaio 1948.
In adesione a tale principio la Corte di merito riteneva che la SS avesse perso la cittadinanza italiana con il matrimonio senza più riacquistarla, non risultando che avesse presentato la dichiarazione prevista dall'art. 219 della legge di riforma del diritto di famiglia, e che pertanto i figli non avessero mai assunto, ne' potessero assumere la cittadinanza richiesta.
Avverso tale sentenza MO ed AK VI hanno proposto ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo. L'Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.
Assegnato il ricorso alla prima sezione di questa Corte, con ordinanza del 1 aprile 2003 il Collegio, rilevato che il ricorso stesso prospettava una questione di massima di particolare importanza, disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente perché valutasse l'opportunità della assegnazione alle sezioni unite.
Il ricorso era quindi assegnato a queste sezioni unite ai sensi dell'art. 374 c.p.c.. La difesa dei ricorrenti ha infine depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, insufficienza, omissione e contraddittorietà di motivazione, i ricorrenti, richiamando gli orientamenti espressi nelle pronunce n. 6297 e 10086 del 1996 e n. 15062 del 2000 di questa Corte, censurano la sentenza impugnata per aver negato applicazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1983, stante la natura imprescrittibile dello status civitatis. Deducono altresì l'irrilevanza, ai fini della conservazione dello stato di cittadina italiana della propria madre, dell'omessa dichiarazione di cui all'art. 219 della legge n. 151 del 1975, spiegando detta norma effetti soltanto sul piano
amministrativo, ai fini del concreto esercizio dei diritti connessi allo stato di cittadino.
La questione di massima di particolare importanza che il ricorso solleva attiene alla titolarità della cittadinanza del soggetto nato da cittadina italiana che abbia perso la cittadinanza a seguito di matrimonio contratto con uno straniero anteriormente all'entrata in vigore della Costituzione, per acquisire quella del marito, avendo riguardo alla sentenza n. 87 del 1975 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità, per contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost., dell'art. 10 comma 3 della legge 13 giugno 1912 n. 555, nella
parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza italiana a seguito di matrimonio con cittadino straniero indipendentemente dalla volontà della donna, sempre che il marito possedesse una cittadinanza che per effetto del matrimonio si comunicasse alla moglie, ed alla successiva sentenza n. 30 del 1983, dichiarativa dell'illegittimità, per contrasto con i medesimi parametri costituzionali, dell'art. 1, comma 1 n. 1 della stessa legge, nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre cittadina.
Più specificamente, la questione sulla quale queste sezioni unite sono chiamate a pronunciare attiene alla possibilità di considerare cittadino italiano iure sanguinis, ai sensi dell'art. 1;
comma 1 n. 1 della legge n. 555 del 1912, nel testo risultante dalla richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1983, il soggetto figlio di madre italiana che anteriormente alla sua nascita abbia perso la cittadinanza per matrimonio contratto prima della entrata in vigore della Costituzione, in forza della norma successivamente dichiarata illegittima, e pertanto postula - fondandosi il reclamo da parte degli attori dello status di cittadini italiani sul presupposto di essere figli di cittadina italiana al momento della loro nascita - l'accertamento dello status civitatis della madre a tale data, in relazione alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 87 del 1975. Tale fattispecie non trova esplicita disciplina nella legislazione intervenuta successivamente alle richiamate sentenze di incostituzionalità, atteso che la legge di riforma del diritto di famiglia, ispirata al principio fondamentale di parità tra i coniugi, si è limitata ad introdurre all'art. 143 ter c.c. la nuova norma (poi abrogata dall'art. 26 della legge 5 febbraio 1992 n. 91) per cui la perdita della cittadinanza da parte della donna che acquisti una cittadinanza straniera per effetto di matrimonio o di mutamento della cittadinanza da parte del marito è condizionata alla sua espressa rinunzia, ed a disporre all'art. 219 comma 1 che la donna che per effetto di matrimonio con lo straniero o di mutamento di cittadinanza da parte del marito ha perduto la cittadinanza italiana prima dell'entrata in vigore della stessa legge la riacquista con dichiarazione resa all'autorità competente a norma dell'art. 36 disp. att. c.c. (tale disposizione, impropriamente definita transitoria, non contenendo alcun termine per la presentazione della prevista dichiarazione, è stata espressamente mantenuta in vigore dall'art. 17 comma 2 della legge 5 febbraio 1992 n. 91). La successiva legge 21 aprile 1983 n. 123 ha segnato un ulteriore passo in attuazione dei principi costituzionali della parità tra i sessi e tra i coniugi, anche in relazione alla trasmissione della cittadinanza, in particolare prevedendo all'art. 5 (comma 1, in evidente adesione alla pronuncia n. 30 del 1983 del giudice delle leggi, appena intervenuta, che è cittadino italiano il figlio minorenne, anche adottivo, di padre cittadino o di madre cittadina, ma ha appunto limitato tale riconoscimento ai figli minori e con decorrenza dalla sua entrata in vigore, ponendo altresì al comma 2 un obbligo di opzione (poi soppresso dall'art. 26 della legge n. 91 del 1992) per i soggetti titolari di doppia

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