Cass. civ., SS.UU., sentenza 18/03/1999, n. 146

CASS
Sentenza
18 marzo 1999
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CASS
Sentenza
18 marzo 1999

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L'avvocato comunitario che intende svolgere la sua attività professionale in Italia (o anche in Italia) ha attualmente la possibilità o di chiedere al Consiglio dell'Ordine l'iscrizione nel registro di cui all'art. 12 legge n. 31/1982, attuativa della direttiva CEE n. 77/249, per lo svolgimento dei servizi (e in tal caso gli sarà possibile svolgere in Italia attività forense in forma temporanea o occasionale senza carattere di continuità e perciò con divieto di stabilirvi la sede principale o secondaria del proprio studio), oppure di richiedere l'iscrizione all'Albo, ai sensi della legge n. 115/1992, attuativa della direttiva CEE n. 48/1988, previo il riconoscimento del proprio titolo di studio da parte del Ministero di Grazia e Giustizia e il superamento di una prova attitudinale dinanzi al Consiglio Nazionale Forense (e in tal caso gli sarà consentito l'esercizio stabile della professione forense in Italia); ne consegue che chi abbia ottenuto l'iscrizione al registro di cui alla legge n. 31/1982 per la prestazione dei servizi, e tuttavia avvia svolto in Italia in modo non occasionale ma stabile e continuativo la professione forense presso un proprio domicilio professionale, può essere ritenuto disciplinarmente responsabile dal Consiglio dell'Ordine, a nulla rilevando, ai fini della soggezione a sanzione disciplinare, la non iscrizione dell'avvocato all'albo, posto che, per l'art. 11 legge n. 31/1982 citata, i cittadini comunitari iscritti al registro ex art. 12 legge cit. sono pur sempre soggetti, per ogni violazione della suddetta legge relativa alla libera circolazione dei servizi, al potere disciplinare del Consiglio dell'Ordine competente per territorio.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 18/03/1999, n. 146
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 146
Data del deposito : 18 marzo 1999
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Francesco FAVARA - Primo Presidente F.F. -
Dott. Antonio SENSALE - Presidente di Sezione -
Dott. Francesco AMIRANTE - Presidente di Sezione -
Dott. Giovanni OLLA - Consigliere -
Dott. Antonio VELLA - Consigliere -
Dott. Erminio RAVAGNANI - Consigliere -
Dott. Giovanni PAOLINI - Consigliere -
Dott. Roberto PREDEN - Consigliere -
Dott. Ettore GIANNANTONIO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
AR HA, elettivamente domiciliato in VIA COSSERIA 5, presso lo studio degli avvocati ENRICO ROMANELLI, GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che lo rappresentano e difendono unitamente all'avvocato MASSIMO BURGHIGNOLI, giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI E PROCURATORI DI MILANO;

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE;

- intimati -

avverso la decisione n. 44/97 del Consiglio nazionale forense di ROMA, depositata il 12/05/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/98 dal Consigliere Dott. Ettore GIANNANTONIO;

udito l'Avvocato Massimo BURGHIGNOLI per il ricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Paolo DETTORI che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decisione in data 30 novembre 1992 il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e Procuratori di Milano infliggeva al legale di cittadinanza tedesca, Rechtsanwalt RE GE, iscritto nel registro di cui all'art. 12 della legge n. 31 del 1982 relativa alla "Libera prestazione di servizi da parte degli avvocati cittadini degli Stati membri della Comunità Europea", la sanzione della sospensione per sei mesi dall'esercizio dell'attività professionale. Il Consiglio riteneva che il dott. GE fosse venuto meno agli obblighi posti dalla legge n. 31 del 1982 in quanto non si era limitato a prestare in Italia servizi legati in modo saltuario e occasionale, ma aveva svolto attività professionale in forma stabile, istituendo un proprio studio, usando il titolo italiano di avvocato e non quello tedesco di Rechtsanwalt e comparendo in giudizio da solo, senza avvalersi dell'assistenza di un collega italiano.
Avverso la decisione il GE proponeva ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense. Chiedeva, in via principale, che fosse disapplicata la norma di cui all'art. 2 della legge n. 31 del 1982 nella parte in cui inibisce a un avvocato comunitario l'apertura in Italia di uno studio legale;
in subordine, chiedeva che fosse adita la Corte di Giustizia Cee, in forza dell'art. 177 del Trattato, perché risolvesse la seguente questione pregiudiziale: "se l'art. 52 del Trattato possa legittimare gli stati membri a vietare all'avvocato di altro stato membro l'apertura di una sede principale o secondaria, nel periodo in cui le norme nazionali non abbiano ancora attuato le direttive sul riconoscimento reciproco dei diplomi e sulla integrazione delle conoscenze professionali attraverso la prova attitudinale".
Il Consiglio Nazionale Forense, in accoglimento della richiesta del ricorrente e in applicazione dell'art. 177 del Trattato di Roma, chiedeva alla Corte di Giustizia del Lussemburgo una decisione su una duplice questione pregiudiziale e cioè: a) sul fatto se l'art. 2 della legge n. 31 del 9 febbraio 1982, secondo cui non e 'consentito
"stabilire nel territorio della Repubblica uno studio, ne' una sede principale o secondaria", sia compatibile con la Direttiva Cee 22 marzo 1977 nella quale non vi è cenno del fatto che la facoltà di aprire uno studio potrebbe essere interpretata come sintomo dell'intendimento del professionista di esercitare attività in forma non temporanea, ne' occasionale, bensì con carattere di continuità;

b) sui criteri da seguire per valutare il carattere di temporaneità, in relazione alla costanza e alla ripetitività delle prestazioni da parte dell'avvocato che operi nel regime di cui alla menzionata direttiva 22 marzo 1977.
Con sentenza in data 30 novembre 1995 la Corte di Giustizia affermava:
1) il carattere temporaneo della prestazione di servizi, previsto dall'art. 60, terzo comma,-del Trattato CE, si deve valutare tenendo conto della durata, della frequenza, della periodicità e della continuità della prestazione stessa.
2) Il prestatore di servizi, ai sensi del Trattato, può dotarsi, nello Stato membro ospitante, dell'infrastruttura necessaria per il compimento della sua prestazione.
3) Un cittadino di uno Stato membro che, in maniera stabile e continua, esercita un'attività professionale in un altro Stato membra in cui, da un domicilio professionale, offre i propri servizi, tra l'altro, ai cittadini di questo Stato, è soggetto alle disposizioni del capo relativo al diritto di stabilimento e non a quelle del capo relativo ai servizi.
4) La possibilità, per un cittadino di uno Stato membro, di esercitare il diritto di stabilimento, e le condizioni dell'esercizio di questo diritto devono essere valutate in funzione delle attività che egli intende esercitare nel territorio dello Stato membro ospitante.
5) Allorché l'accesso a un'attività specifica non è sottoposto ad alcuna disciplina nello Stato membro ospitante, il cittadino di qualsiasi altro Stato membro ha il diritto di stabilirsi nel territorio del primo Stato e di esercitarvi tale attività. Diversamente, allorché l'accesso a un'attività specifica, o il suo esercizio, è subordinato, nello Stato membro ospitante, a determinate condizioni, il cittadino di un altro Stato membro che intenda esercitare tale attività deve, di regola, soddisfarle. 6) I provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperiosi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.
7) Gli Stati membri hanno l'obbligo di tenere conto dell'equivalenza dei diplomi e, se del caso, procedere ad un raffronto tra le cognizioni e le qualifiche richieste dalle proprie norme nazionali e quelle dell'interessato".
Acquisita la sentenza della Corte, il Consiglio Nazionale Forense, in data 12 maggio 1996, emetteva una decisione con la quale confermava la decisione del Consiglio dell'Ordine per quanto riguardava la responsabilità disciplinare del dott. GE per avere violato le disposizioni della legge sulla libera prestazione dei servizi;
riformava, invece, parzialmente la decisione del Consiglio dell'Ordine per quanto riguardava la misura della sanzione, riducendo la sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da sei a due mesi.
In particolare il Consiglio ha ritenuto che la Corte di Giustizia abbia nella sua decisione fissato chiaramente la distinzione tra l'avvocato prestatore di servizi e l'avvocato stabilito in uno Stato diverso da quello di provenienza, indicando nel domicilio professionale, ossia nello studio organizzato e costantemente funzionante, anche in assenza del titolare, il centro nell'ambito del quale l'avvocato opera in regime di stabilimento;
che è pacifico che il GE ha prestato ai propri clienti continuativa assistenza giudiziale, senza il concerto con un collega iscritto agli albi locali e per di più facendo uso del titolo di avvocato, mentre avrebbe dovuto valersi esclusivamente di quello di Rechtsanwalt;
che inoltre ha costituito una organizzazione permanente, funzionale all'esercizio continuativo della professione di avvocato, comportandosi di fatto come avvocato stabilito, in aperto contrasto con le norme che disciplinano la possibilità di effettivo e regolare stabilimento;
che pertanto la responsabilità del GE era indubbia;
che tuttavia la sanzione inflittagli doveva essere considerata eccessiva in considerazione della obiettiva difficoltà della dizione dell'art. 2 della legge 9 febbraio 1982 n. 31 secondo il quale all'avvocato straniero si fa divieto di

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