Cass. pen., sez. I, sentenza 01/03/2023, n. 08759
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: RE EN nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 03/12/2021 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carmine Russo;
Udito il PG, dr.ssa Franca Zacco, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo di ricorso, l'assorbimento degli altri relativi alla contestazione di cui all'art. 416-bis cod. pen., ed il rigetto di quelli residui. Udito il difensore della parte civile Antonio De SI, avv. Giacomo Saccomano, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o infondato il ricorso. Udito il difensore della parte civile Regione Calabria, avv. Michele Rausei, che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata. Uditi i difensori dell'imputato, avv. Francesco Albanese e Pasquale Loiacono, che hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23 settembre 2020 il Tribunale di Reggio Calabria, in rito abbreviato, ha condannato EN EA alla pena di 23 anni di reclusione di reclusione - in essa compresa la pena di anni 15 di reclusione inflitta con la sentenza irrevocabile del Tribunale di Palmi 4 marzo 2015, per il reato dell'art. 416-bis cod. pen. posto in continuazione con i reati oggetto di giudizio - per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso (art. 416-bis cod. pen.), commesso in Rizziconi e zone limitrofe dal 10 gennaio 2010 ed ancora permanente, ed estorsione continuata aggravata dal metodo mafioso (artt. 629 cod. pen e 416- bis.1 cod. pen.), commesso in Rizziconi dal 29 gennaio 1999 all'il giugno 2014. Con sentenza del 3 dicembre 2021 la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la data di commissione del reato associativo, individuando la data di inizio nel 27 settembre 2012, e rideterminato la pena finale in 22 anni ed 8 mesi di reclusione, e confermato per il resto la sentenza di primo grado. In particolare, il giudizio di merito ha avuto ad oggetto la perdurante operatività dell'associazione di tipo 'ndranghetistico nota come cosca EA, la cui esistenza era stata giudiziariamente riconosciuta da pregresse sentenze definitive. Si tratta di un gruppo a prevalente base familiare, sviluppatosi intorno alla figura di EA OR e dei figli PP e EN, che ha conseguito un penetrante controllo nel territorio di riferimento (il comune di Rizziconi e le zone limitrofe del versante tirrenico della provincia di Reggio Calabria) grazie alla forza di intimidazione, esercitata sia per condizionare le attività pubbliche, specie quelle gestite dal Comune, sia per garantire agli associati con ruoli verticistici lunghi periodi di latitanza. In essa il ruolo dell'attuale imputato, EA EN, figlio di OR, già attinto da precedente condanna definitiva per altro segmento temporale del medesimo reato, è stato individuato soprattutto in relazione al contributo dato alla latitanza del fratello PP ed al concorso nella vicenda di estorsione in danno dell'imprenditore De SI, oggetto anche di autonomo capo di imputazione.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, con riferimento alla condanna per il reato dell'art. 416-bis cod. pen., in relazione all'improcedibilità dell'azione penale ed alla preclusione de ne bis in idem, in quanto l'imputato era già stato giudicato e condannato per l'appartenenza alla medesima cosca nel processo che aveva portato alla sentenza irrevocabile del Tribunale di Palmi 4 marzo 2015 (e che in ricorso viene denominato "Toro"). In quel procedimento la contestazione associativa era in origine di tipo aperto, poi successivamente modificata dal pubblico ministero in udienza il 27 settembre 2012 con retrodatazione della data di fine al 31 dicembre 1999, talchè sarebbe preclusa una nuova contestazione per comportamenti commessi fino alla data della sentenza di primo grado, che è il 4 marzo 2015. La Corte d'appello aveva accolto parzialmente l'eccezione, ma solo nel senso di non ammettere la retrodatazione e di giudicare soltanto i fatti commessi a decorrere dal 27 settembre 2012. Peraltro, ai fini della identità del fatto in un reato permanente, non basta una diversa data di commissione ma occorre o che il soggetto sia passato ad altra cosca o che vi sia stata comunque la successione tra organismi criminali diversi. Occorre, inoltre, chiedersi se il solo frammento di condotta giudicato in questo procedimento sia sufficiente ad integrare il reato di associazione a delinquere. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, con riferimento alla condanna per il reato dell'art. 416-bis cod. pen., in relazione alla mancanza di elementi costitutivi del reato, in quanto le prove sono state desunte da dichiarazioni dei collaboratori, dal contributo alla latitanza del fratello PP, dalla estorsione in danno di De SI, ma nella sentenza vi è un errore di attribuzione di un fatto commesso in realtà da un omonimo EN EA che non è il ricorrente, nell'attribuzione congetturale al ricorrente di conversazioni intercettate in cui si parla di una persona di nome LU che non si capisce perché sia stata individuata nel ricorrente, nonché una contraddizione nell'aver ritenuto il ruolo di gestore della latitanza del fratello ma nell'aver anche scritto che durante quel periodo la condotta dell'imputato è stata oltremodo riservata, nonché la mancata valutazione della totale assenza dell'imputato in un momento di fibrillazione della latitanza del fratello, ovvero in occasione di un blitz fallito delle forze di polizia del 15 dicembre 2014. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, con riferimento alla condanna per il reato dell'art. 416-bis cod. pen., in relazione alla mancata riqualificazione del contributo alla latitanza del fratello come mero fatto di favoreggiamento, peraltro scriminato ex art. 384 cod. pen., essendosi concretizzato soltanto nel fargli avere un generatore di corrente ed una pen drive. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, con riferimento alla condanna per il reato di estorsione, in quanto gli elementi di prova sarebbero stati tratti esclusivamente dalla condanna passata in giudicato nei confronti di padre e fratello senza valutare specificamente la condotta dell'imputato ed in quanto non è provato che l'imputato, quando si recava presso la ditta De SI a prelevare pezzi di ricambio, non pagasse nè che fosse consapevole che alla base degli eventuali mancati pagamenti vi fosse un rapporto estorsivo, in quanto la prova è stata desunta solo dall'esser figlio di suo padre con una sorta di responsabilità di posizione, l'imputato non era d'altronde presente all'incontro tra il padre e De SI a partire dal quale il rapporto commerciale si trasformò in rapporto estorsivo, non si comprende inoltre perché i dipendenti che pure si recavano a prelevare pezzi di ricambio non siano stati imputati. Con il quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, con riferimento alla condanna per l'aggravante dell'art. 416-bis.1 cod. pen., contestata in relazione alla estorsione, in quanto la stessa è stata ricavata dalla sentenza passata in giudicato nei confronti di padre e fratello, ma occorreva valutare se la condotta dell'imputato abbia mai presentato i caratteri della coartazione psicologica. Con il sesto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, con riferimento agli aumenti per continuazione, in quanto manca motivazione del quantum degli aumenti, motivazione particolarmente necessaria atteso che l'aumento per il reato dell'art. 416-bis avrebbe dovuto tener conto che la frazione di condotta contestata in questo giudizio era assai limitata nel tempo e quello per l'estorsione che i prelievi di merce attribuiti all'imputato sono solo 33, con periodi anche di sette anni in cui lo stesso non si mai recato a prelevare la stessa. Con atto di motivi nuovi, depositati il 8 ottobre 2022, deduce, con riferimento al primo motivo dedicato all'improcedibilità dell'azione penale ed alla preclusione de ne bis in idem, che con sentenza n. 36330 del 2022 questa Corte di Cassazione ha deciso questione identica relativa alla modifica dell'imputazione nella stessa vicenda processuale a monte ma in differente processo a valle (in cui erano imputati familiari del ricorrente), ed ha disposto l'annullamento con rinvio rilevando la illegittimità della modifica della imputazione nei termini concretamente effettuati dal pubblico ministero.
3. La difesa dell'imputato ha chiesto la discussione orale. Il Procuratore generale della Cassazione, dr.ssa Franca Zacco, ha concluso per l'accoglimento del primo motivo di ricorso, l'assorbimento degli altri relativi alla contestazione di cui all'art. 416-bis cod. pen., ed il rigetto di quelli residui. Il difensore della parte civile Antonio De SI, avv. Giacomo Saccomano, ha fatto pervenire memoria contenente conclusioni scritte, in cui chiede dichiararsi inammissibile o infondato il ricorso, che ha confermato nel corso della discussione orale. Il difensore della parte civile Regione Calabria, avv. Michele Rausei, ha concluso chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. I difensori dell'imputato, avv. Francesco Albanese e Pasquale Loiacono, hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.Considerato in diritto Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo ed il motivo nuovo deducono erronea applicazione della legge