Cass. civ., sez. III, sentenza 09/11/1989, n. 15289
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La questione relativa alla cumulabilita' delle imposte evase (nella specie IRPEF ed ILOR) ai fini della configurabilita' del reato che richiede un ammontare minimo di cinque milioni di lire (art. 56, DPR n. 600/73) deve essere risolta positivamente. Infatti piu' d'uno sono gli elementi che spingono a superare una rigida interpretazione letterale dell'articolo citato: nello stesso articolo (co. 4) il legislatore riprende l'espressione al singolare rivelando un uso promiscuo della parola "imposta" al plurale e singolare; nell'ottica della dichiarazione unica non vi e' ragione di ritenere una tale autonomia fra le imposte se unico e' il soggetto impositore unitaria la disciplina ed identico l'ente percettore; non sussiste alcun motivo di politica criminale per il quale il legislatore avrebbe configurato l'evasione di una singola imposta dall'importo appena superiore a cinque milioni e sanzionato soltanto amministrativamente l'evasione di piu' imposte per una somma superiore; il rapporto di filiazione esistente tra l'art. 46 e l'art. 56 del DPR n. 600/73 ed il carattere di accidentalita' del secondo non consentono la scissione delle due previsioni per cui l'espressione al plurale della parola "imposta" contenuta nella prima elide ogni dubbio sull'apparente significato al singolare della medesima parola espressa nell'art. 56.- La nozione di "definitivita' dell'accertamento" ai fini dell'esperibilita' dell'azione penale (pregiudiziale tributaria) non puo' essere equiparata a quella di cosa giudicata di cui all'art. 324 c.p.c., ma va ricercata nelle disposizioni di ordine tributario e penale in base alle quali e' definitivo l'accertamento quando l'amministrazione finanziaria puo' esigere la riscossione dell'intero debito d'imposta e l'autorita' giudiziale deve accertare l'azione penale, cioe' alla scadenza del termine espressamente stabilito dalla legge per le impugnazioni ordinarie; la mancanza di un termine per la proposizione dell'azione revocatoria confina questo mezzo tra quelli straordinari o anomali, come tali irrilevanti nel giudizio di definitivita' dell'accertamento.
Sul provvedimento
Testo completo
Motivi della decisione E' pregiudiziale l'esame del secondo mezzo perche'
con esso si sostiene l'inesistenza del reato.
La questione relativa alla cumulabilita' delle imposte evase (nella specie
IRPEF e ILOR) ai fini della configurabilita' del reato, la quale richiede
l'ammontare minimo di cinque milioni, e' gia' stata affrontata da questo
Collegio con due decisioni di opposta soluzione.
Con la prima, n. 6832 del 27 maggio 1987, e' stata ritenuta la
cumulabilita';
con l'altra, n. 7418 del 15 giugno 1987 e' stata esclusa.
La Corte, ora, dopo approfondito esame del problema, e' orientata a
confermare la prima soluzione.
Invero la decisione opposta e' derivata dalla interpretazione lessicale
delle parole dell'articolo 56, primo comma, del D.P.R. n. 600/1973, laddove
prevede che il fatto costituisce reato allorche', nei casi di omissione,
incompletezza e infedelta' della dichiarazione, "l'imposta relativa al
reddito accertato" e' superiore a cinque milioni e ne aggrava la pena se
"l'imposta dovuta" e' superiore a trenta milioni.
E' stata, poi, superata l'incertezza delle suddette espressioni al
singolare, e cioe' "imposta relativa" al reddito accertato e "imposta
dovuta", per il principio ubi voluit dixit perche', nel quarto comma dello
stesso articolo, il legislatore, nel punire altre ipotesi indicate nel terzo
comma, adotta il plurale della parola "imposta" affermando che, se i fatti
comportano "evasioni di imposte", per un ammontare complessivo eccedente i
cinque milioni, le pene della reclusione e della multa sono determinate in
quantita' specifiche. Ma l'argomentazione non e' valida perche' nell'alinea
dello stesso comma quarto riprende l'espressione al singolare, stabilendo
che si applica soltanto la pena della multa se gli stessi fatti indicati nel
terzo comma comportano un'"evasione di imposta" di speciale tenuita'.
Quindi per gli stessi casi, seppure di diversa entita' evasiva, la legge usa
promiscuamente il plurale o il singolare della parola "imposta". Si impone,
pertanto, un'interpretazione rigorosa della normativa sempre nei limiti del
principio di tassativita' cioe' secondo i canoni prescritti dall'articolo 14
in relazione al primo comma dell'articolo 12 delle Disposizioni sulla legge
in generale.
Dagli stessi emerge che l'interprete non e' vincolato dall'enunciazione
lessicale bens dal senso palesato dal significato proprio delle parole
secondo la loro connessione e dall'intenzione del legislatore.
La lettera delle parole, non chiare o contraddittoriamente adoperate dal
legislatore, e' soggetta cioe' alla individuazione del suo significato
esterno ricavabile dalla connessione del testo e dalla mens legis.
Ai fini di siffatta interpretazione l'analisi della normativa prende le
mosse dal principio riformistico della legge, consistente nella unificazione
della dichiarazione annuale dei cespiti produttivi e nella somma dei
relativi redditi s da formare un unico reddito complessivo assoggettabile a
un'unica imposta progressiva, denominata IRPEF o IRPEG a seconda che il
contribuente sia una persona fisica o giuridica (art. 2 D.P.R. n. 600/1973).
E' ben vero, per come sostiene la decisione contraria citata, che per
l'imposta locale sui redditi e' mantenuta la separazione dei relativi
redditi, dell'imposta e del versamento ma appare agevole ricordare che tale
distinzione, pur nell'unicita' della dichiarazione, e' finalizzata alla
contabilizzazione autonoma trattandosi di tributo concepito e gestito come
erariale ma riservato agli enti locali.
Di conseguenza non vi e'