Cass. civ., sentenza 08/10/2004, n. 20042

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Il comune non ha l'obbligo di motivare la quantificazione della misura dell'ICI all'interno dell'ambito stabilito dalla legge a meno che la legge non vincoli le delibere tariffarie a determinati parametri. *Massima redatta dal Servizio di documentazione Economica e Tributaria.

L'aliquota Ici e' stabilita con atto normativo avente forza regolamentare che viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale che, percio', costituisce l'unica fonte certa dalla quale rilevare la misura della pretesa impositiva del Comune e non assume alcun rilievo, neppure ai fini della affermazione della buona fede per escludere la debenza di interessi e sanzioni, un'aliquota minore erroneamente indicata dai quotidiani. *Massima redatta dal Servizio di documentazione Economica e Tributaria.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sentenza 08/10/2004, n. 20042
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 20042
Data del deposito : 8 ottobre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

 Svolgimento del processo
Il sig. P.C. ricorre deducendo otto motivi (nella numerazione manca
l'ottavo motivo, indicato come nono) avverso la sentenza 56/28/00 depositata
il 29 maggio 2000 con cui la Commissione Tributaria Regionale per il
Piemonte, rigettava l'appello del contribuente avverso la pronuncia di primo
grado che aveva riconosciuto come legittima la richiesta del Comune di
Torrazza Piemonte di lire 51.000 a titolo di maggior imposta lei per l'anno
1994;
la maggior somma era - a detta del Comune - dovuta a seguito di
incremento della aliquota lei dal 4 al 5,50 per mille.
Il Comune resiste con controricorso.
Il contribuente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce violazione
dell'art. 16, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12;
art. 3, comma 2, R.D.L. n.
1578/1933.
Nella sostanza sostiene che illegittimamente avrebbe fatto parte del
collegio giudicante d'appello un avvocato. In quanto le funzioni giudiziarie
sarebbero incompatibili con l'iscrizione all'albo degli avvocati.
La deduzione e' palesemente erronea;
la incompatibilita' in questione
sussiste infatti solo in quanto prevista dalla legge, e dalla legge puo'
essere derogata. Ed il D.Lgs. n. 545/1992 prevede espressamente la norma di
avvocati a giudici tributar|, stabilendo anche in quali casi (esercizio di
consulenze e patrocinio in materia tributaria) la libera professione puo'
determinare decadenza dall'incarico giudicante.
Con una prima parte del secondo motivo il contribuente deduce una
presunta violazione dell'art. 2697 del codice civile lamentando che il
giudice di merito abbia affermato che su essa parte appellante incombeva
l'onere di produrre la delibera comunale che aveva aumentato la tariffa lei.
Per altro la - pur discutibile - affermazione contenuta nella sentenza
di merito non ha determinato alcuna conseguenza;
in quanto il giudice ha
esaminato e dichiarato legittima la delibera in questione. E questo profilo
della pronuncia impugnata merita conferma;
con rigetto delle considerazioni
svolte nell'ambito del medesimo secondo motivo ed in cui si sostiene che la
delibera sarebbe viziata per difetto di motivazione.
Ritiene in proposito questa Corte di aderire alla impostazione accolta
dal Consiglio di Stato con decisione n. 4117 del 10 luglio 2003, in cui ha
affermato, sia pure in relazione ad altra imposta che il comune non ha, in
linea di principio, l'obbligo di motivare la quantificazione della misura
d'imposta all'interno dell'ambito stabilito dalla legge;
a meno che la legge
non vincoli le delibere tariffarie a determinati parametri. Cosi' come
accade specie in riferimento alle imposizioni tributarie cosi' dette
"mirate" che cioe' tendono al finanziamento di uno specifico servizio, ed a
far ricadere i relativi oneri sugli utenti del servizio stesso. Cio' per
altro non si verifica in relazione all'Ici che mira al finanziamento delle
spese generali dei comuni.
Si puo' poi aggiungere che il ricorrente indica neppure sotto quali
profili specifici il sistema tariffario adottato dal Comune lederebbe
principi di legge;
anzi riporta la delibera della Giunta, che contiene una
logica, ancorche' non strettamente necessaria motivazione. Con il terzo
motivo il ricorrente deduce una (presunta) violazione dell'art. 32, lettera
g), della L. 6 agosto 1990, n. 192, per essere state le aliquote lei
approvate dalla Giunta e non dal Consiglio Comunale.
Anche questo motivo deve essere rigettato in quanto l'art. 6, primo
comma del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nella sua formulazione originaria
applicabile ratione temporis, attribuiva alla giunta comunale la competenza
a determinare le aliquote lei;
tale disposizione costituiva una deroga
(rimasta in vigore fino alla modifica poi introdotta con l'art. 3, comma 53,
della L. 23 dicembre 1996, n. 662) al criterio stabilito dalla L. 6 agosto
1990, n. 192, il cui art. 32, lettera g), demandava alla competenza
esclusiva dei consigli comunali "l'istituzione e l'ordinamento dei tributi"
(cfr. la sentenza di questa Corte n. 18541 del 4 dicembre 2003).
Con il quarto motivo il contribuente lamenta che il collegio di seconde
cure non si sia pronunciato sulla tesi secondo cui egli non sarebbe stato
soggetto a interessi e sanzioni per aver agito in buona fede, avendo appreso
l'aliquota del 5 per mille (e non 5,5) dai giornali.
Si tratta per altro di' deduzione inammissibile perche' la legge
consente al giudice di escludere la applicazione delle sanzioni quando vi
siano incertezze sulla portata della norma, mentre nel caso di specie lo
stesso contribuente ammette invece che la disposizione era chiara. Asserisce
solo di essere stato mal informato da "giornali" che per altro non indica,
ne cita.
Con il quinto e il sesto motivo il ricorrente lamenta sotto vari
profili presunti vizi della autorizzazione al Sindaco a stare in giudizio
deliberata dalla Giunta. Ora a parte la circostanza che si puo' dubitare
della necessita' di tale autorizzazione nel nuovo sistema delle autonomie
locali;
resta il fatto che il giudice d'appello ha constatato l'esistenza in
atti di una delibera di Giunta datata 28 maggio 1998 ed e' pacifico che tale
delibera ha effetto sanante retroattivo (Cass., SS.UU., 22 febbraio 1995, n.
1964). Quindi anche questi due motivi vanno respinti.
Del pari del tutto infondate sono le deduzioni contenute nel settimo
motivo (erroneamente indicato con il numero Vili), ove il ricorrente lamenta
che il comune si sia costituito in giudizio a mezzo di un funzionario.
Il funzionario del comune ha soltanto tutelato in giudizio gli
interessi del comune, ha cioe' svolto le funzioni di assistenza processuale
o difesa tecnica di cui all'art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992;
questo
intervento di funzionari comunali, previsto dalla legge processuale,
risponde alla ovvia esigenza di evitare il sistematico e costoso ricorso ad
avvocati del libero foro e trova esplicita sanzione nell'art. 15, comma 2
bis del citato D.Lgs. n. 546/1992 secondo cui "nella liquidazione delle
spese a favore... dell'ente locale, se assistito da propri dipendenti, si
applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione
del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti".
Si deve infatti distinguere fra parte in senso processuale e
sostanziale (il comune), il soggetto che sta in giudizio (sindaco) e il
soggetto (funzionario) che assicura la difesa processuale.
L'ottavo motivo (erroneamente indicato con il numero IX) poggia su una
errata lettura della sentenza impugnata, lamenta cioe' che essa non abbia
dato risposto ai motivi di appello attinenti alle spese mentre tale tema e'
ampiamente trattato alle pagine 19 e 20. In definitiva, il ricorso nel suo
insieme deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
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