Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 18/10/2021, n. 28626

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 18/10/2021, n. 28626
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 28626
Data del deposito : 18 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

ORDINANZA sul ricorso 9762-2019 proposto da: M P, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PRISCIANO

67, presso lo studio dell'avvocato M P, rappresentata e difesa dall'avvocato V Q;

- ricorrente -

contro

TECNOCONSULT ENGINEERING CONSTRUCTION S.R.L., in 2021 persona del legale rappresentante pro tempore, 2077 elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ORTIGARA

3, presso lo studio dell'avvocato M A, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato R V;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 51/2019 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 08/02/2019 R.G.N. 377/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 dal Consigliere Dott. M LORITO. n. r.g. 9762/2019

RILEVATO CHE

La Corte d'appello di Ancona, in riforma della pronuncia resa dal giudice di prima istanza, rigettava le domande proposte da P M nei confronti della T.E.C. Tecnoconsulting Engineering Construction s.p.a. volte a conseguire declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole in data 30/11/2015, con il quale le era stato addebitato di aver indicato per sé e per il suo responsabile A V, un numero di ore lavorate superiore rispetto a quello risultante dalle rilevazioni interne;
all'esito di un'ampia ricognizione del quadro istruttorio delineatosi in prime cure, la Corte distrettuale, in estrema sintesi, reputava comprovata la consapevole violazione, da parte della lavoratrice, delle regole aziendali vigenti in tema di corretta quantificazione dei compensi da elargire al personale dipendente;
premesso che costituiva evidenza istruttoria quella alla cui stregua la società aveva adottato una politica aziendale finalizzata al sistematico recupero delle ore lavorate in eccedenza rispetto al limite contrattualmente fissato mediante la fruizione di permessi o riposi compensativi, era emerso che, in violazione delle suddette regole ed in assenza di alcuna autorizzazione, la Malaspina si era arrogata il potere di attribuire a sé e al V un numero di ore rernunerabili superiore a quello previamente concordato con la parte datoriale, approfittando del ruolo fiduciario rivestito all'interno dell'assetto organizzativo aziendale;
la cassazione di tale pronuncia è domandata da P M sulla base di cinque motivi;
resiste la società intimata con controricorso, illustrato da memoria ex art.380 bis c.p.c.;

CONSIDERATO CHE

1.con il primo e il secondo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell'art. 360 comma primo n.5 c.p.c.;
ci si duole che la Corte distrettuale abbia omesso l'esame di un fatto decisivo la cui esistenza risultava dalla documentazione prodotta in giudizio dalla ricorrente, inerente alla stipula di una serie di contratti a chiamata con la Immobiliare 1 maggio s.r.l. (gestita dalla famiglia Pierangeli, la stessa cui fa capo la TEC s.r.I.) che avevano ad oggetto la n. r.g. 9762/2019 gestione del ristorante Calamara e dai quali si desumeva lo svolgimento di attività che non era stata remunerata (primo motivo);
si ribadisce che per l'attività svolta in base alla pluralità di contratti di lavoro a chiamata non sia mai stata retribuita come desumibile dalle testimonianze raccolte (secondo motivo);

2. i motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, presentano profili di inammissibilità per plurime concorrenti ragioni;
s'impone l'evidenza del difetto di specificità del motivo che riporta solo uno stralcio dell'atto introduttivo del giudizio inidoneo a consentire di rendere adeguata contezza circa le difese articolate sul punto dalla ricorrente, ed è carente quanto alla riproduzione del tenore dei contratti posti a fondamento della doglianza;
i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall'art. 366, comma 1, c.p.c., nn. 3, 4 e 6, devono infatti essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l'atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processúale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza. (vedi Cass. 13/11/2018 n. 29093, Cass. 4/10/2018 n. 24340);
in ogni caso si verte sempre in ipotesi di censura attinente al non corretto vaglio del quadro istruttorio che non supera gli angusti limiti entro i quali è limitato il sindacato di legittimità, secondo i consolidati dicta di questa Corte;
ed invero, anche prima della novella del 2012 del n. 5 dell'art. 360 c.p.c., di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con mod. in L. 7 agosto 2012, n. 134, costituiva consolidato insegnamento essere sempre vietato invocare in sede di legittimità un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché non ha la corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo la valutazione degli elementi probatori attività istituzionalmente riservata al giudice di merito (tra le molte, v. Cass.2 n. r.g. 9762/2019 17/11/2005, n. 23286, Cass. 23/12/2009, n. 27162;
Cass. sez. un., 21/12/2009, n. 26825;
Cass..16/12/2011, n. 27197);
non può, dunque, essere invocata una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla corte territoriale, essendo la valutazione di quelle - al pari della scelta di quelle, tra esse, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione - un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito: il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (per tutte: Cass. 20/4/2012 n. 6260);
nel sistema l'intervento di modifica dell'art.360 c.p.c., n.5, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un'ulteriore sensibile restrizione dell'ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto;
con esso si è invero avuta (Cass. Sez. Un., 7/4/2014 n.8053) la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;
in tale contesto, il nuovo testo dell'art.360 c.p.c. n.5, introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di ' discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
tanto comporta (Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881) che l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato n. r.g. 9762/2019 conto di tutte le risultanze probatorie;
ne consegue che la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili;
mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest'ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti;
nello specifico il vizio, nei sensi denunciati, non rientra nel paradigma devolutivo e deduttivo della novellata disposizione;
la Corte distrettuale ha infatti dato conto del proprio convincimento procedendo ad un ampio scrutinio delle acquisizioni probatorie, senza trascurare il prospettato dato relativo allo svolgimento della attività lavorativa anche all'esterno della struttura T.E.C. s.r.l. ma giungendo a definire come acclarata la linea aziendale di procedere al sistematico recupero delle ore lavorate in eccedenza rispetto al limite di contratto mediante fruizione di permessi, ferie o riposi compensativi e a destituire di funzione fondativa del diritto azionato, le deduzioni relative alla attività svolta dalla ricorrente per la gestione del ristorante Calamara, all'esito del vaglio delle dichiarazioni testimoniali e documentali acquisite;
da ciò deriva, in definitiva, che i motivi in esame si traducono nell'invocata revisione dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova valutazione ed un diverso apprezzamento dei fatti, non concessa, perché estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità;
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