Cass. civ., SS.UU., ordinanza 30/10/2020, n. 24107

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., ordinanza 30/10/2020, n. 24107
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 24107
Data del deposito : 30 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

ciato la seguente ORDINANZA sul ricorso 26193-2019 proposto da: AERNOVA S.R.L., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato F C;

- ricorrente -

contro

PREFETTURA - U.T.G. DI TORINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, M D S 2€22/c/1 ECONOMICO, MINISTERO DELL'INTERNO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 2212/2019 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 03/04/2019. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2020 dal Consigliere R G C;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale G G, il quale chiede che la Corte, a Sezioni Unite, in camera di consiglio, dichiari inammissibile il ricorso.

Fatti di causa

e motivi della decisione Con sentenza n.492/2018 il Tar Piemonte ha respinto il ricorso della società Aernova s.r.l. contro l'informativa interdittiva del Prefetto della Provincia di Torino n.12103 del 4 aprile 2017 e la conseguente revoca delle agevolazioni concesse a detta Società ai sensi della legge n.662 del 1996. La decisione è stata confermata dal Consiglio di Stato, con sentenza n.2212, pubblicata il 3 aprile 2019, avverso la quale la Aernova ha proposto ricorso ai sensi dell'art.111, c.8 Cost. e 362, c.1 c.p.c., affidato ad un unico motivo, contro il Prefetto della Provincia di Torino, il Ministero dell'Interno e il Ministero dello sviluppo economico. Dopo aver rilevato che l'informativa interdittiva antimafia era pienamente giustificata dall'influenza sulla gestione societaria della ricorrente da parte di Coral Nevio, condannato in via definitiva nell'ambito dell'Operazione Minotauro per concorso esterno in associazione mafiosa di matrice 'ndranghetista, il Consiglio di Stato ha evidenziato, per quel che qui rileva, che non vi erano i presupposti Ric. 2019 n. 26193 sez. SU - ud. 13-10-2020 -2- per sollevare la questione di legittimità costituzionale o per rimettere gli atti al giudice europeo. In particolare, i giudici amministrativi hanno osservato che non era possibile dubitare della legittimità costituzionale della disciplina normativa antimafia, espressione della potestà di cui all'art.117, comma 1, lett. h) Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, nascendo essa dal bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall'art. 41 Cost. e l'interesse pubblico alla salvaguardia dell'ordine pubblico e alla prevenzione dei fenomeni mafiosi. Anche il giudizio fondato secondo il criterio del "più probabile che non" costituiva una regola "consentanea alla garanzia fondamentale della presunzione di non colpevolezza" di cui all'art.27, c.2 Cost. cui era ispirato anche il punto 2 dell'art. 6 CEDU, non attenendo il caso ad ipotesi di affermazione della responsabilità penale. Il Consiglio di Stato ha, inoltre, precisato che la compatibilità con i principi costituzionali ed eurounitari della normativa in tema di interdittiva era stata affermata dalla propria giurisprudenza (Cons. Stato n.758/2019), che aveva escluso che fosse prospettabile la violazione dell'art.1 Prot. n. 1 annesso alla CEDU, in questa direzione orientando gli stessi principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza De Tommaso c. Italia. La Corte europea dei diritti dell'uomo non aveva infatti mancato di ammettere che talune leggi fossero formulate con termini più o meno vaghi in relazione alla necessità di regolare fenomeni destinati a mutare e purché fosse indicata la portata della discrezionalità riservata alla fase interpretativa. E tanto era accaduto nel caso della legge italiana che, ancorando il provvedimento interdittivo antimafia all'esistenza di tentativi d'infiltrazione mafiosa, aveva fatto riferimento ad una clausola generale ed aperta che non costituiva né norma in bianco né delega all'arbitrio imprevedibile dell'autorità amministrativa, ponendosi il pericolo di infiltrazione mafiosa al contempo come limite Ric. 2019 n. 26193 sez. SU - ud. 13-10-2020 -3- del potere prefettizio e come elemento idoneo a limitarne la discrezionalità. Spettava poi ad esso giudice amministrativo la verifica della gravità del quadro indiziario posto a base della valutazione prefettizia circa il pericolo di infiltrazione mafiosa, mediante un apprezzamento di ragionevolezza e proporzionalità del criterio inferenziale secondo un criterio probabilistico. Secondo il Consiglio di Stato, dunque, la ritenuta compatibilità della normativa applicata sia con i principi costituzionali sia con l'ordinamento dell'Unione europea "... così come rispettivamente statuito dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia..." escludeva la sussistenza dei presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Senza dire che l'obbligo di rinvio pregiudiziale ricadente su esso Consiglio quale giudice di ultima istanza, ai sensi dell'art.267, c.3, TFUE, non poteva dirsi sussistente nelle ipotesi in cui la questione sollevata era identica ad altra precedente proposta in relazione ad analoga fattispecie già decisa in via pregiudiziale dalla Corte [di Giustizia] o comunque trovasse soluzione nella giurisprudenza costante della Corte UE secondo la teoria dell'acte éclairé;
ipotesi, quest'ultima che "...alla luce della sopra riportata giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia, appare ricorrere nel caso di specie". Le parti intimate si sono costituite con controricorso con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. La ricorrente ha depositato memoria. Il Procuratore Generale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Con l'unico motivo proposto la ricorrente ha dedotto la violazione del limite esterno della giurisdizione attribuita al Consiglio di Stato in relazione alla violazione dell'art.267, c.3, parte prima TFUE, in cui sarebbe incorso il Consiglio di Stato. Secondo la ricorrente, benché fosse stato chiarito nell'atto di appello che sulla Ric. 2019 n. 26193 sez. SU - ud. 13-10-2020 -4- questione della compatibilità della normativa antimafia in tema di interdittìve con l'ordinamento dell'Unione europea non vi fossero precedenti della Corte di Giustizia, sussistendo unicamente una pronunzia della Corte edu, il Consiglio di Stato avrebbe al contrario dato per esistente una decisione della Corte di Giustizia dell'Unione europea che avrebbe deciso questione analoga a quella dalla stessa società sollevata, da qui desumendo l'inutilità del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. E ciò benché essa ricorrente avesse chiarito espressamente che il quadro normativo interno si sarebbe posto in contrasto con il parametro dell'art. 1, c.2 del Protocollo addizionale alla CEDU, che assumeva il valore di norma comunitaria per effetto del recepimento operato dall'art.6, par.3 del Trattato UE. Così facendo il Consiglio di Stato, avrebbe confuso la Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo, con la Corte di Giustizia dell'Unione europea di Lussemburgo, costruendo una motivazione "...inconsistente (e stravagante)" che avrebbe avuto come effetto la diretta pronunzia da parte del giudice nazionale di ultima istanza su materia che invece sarebbe sottratta alla sua giurisdizione. Né la sentenza De Tommaso c. Italia richiamata dal Consiglio di Stato avrebbe potuto esimere il giudice italiano dalla rimessione alla Corte di Giustizia. Peraltro, secondo la ricorrente, la decisione impugnata avrebbe dato rilevanza alla sentenza De Tommaso c. Italia andando in contrario avviso con quanto affermato da altra decisione precedente del Consiglio di Stato (sent.n.2343/2018), nella quale sarebbe stata esclusa la rilevanza della stessa nell'ambito delle misure di prevenzione personali. Infine, secondo la ricorrente il travalicamento della giurisdizione da parte del giudice amministrativo dovrebbe comunque essere rilevato da queste Sezioni Unite, anche a volere condividere i principi fissati da Corte cost. n.6/2018, poiché la violazione dell'art.267, c.3, prima parte, TFUE non integrerebbe una Ric. 2019 n. 26193 sez. SU - ud. 13-10-2020 -5- mera regola processuale- inquadrabile nell'error in procedendo- ma un vero e proprio limite alla giurisdizione del giudice nazionale di ultima istanza, cui e inibito di pronunziarsi sulle materie riservate alla competenza della Corte di Giustizia, alla quale ultima il primo sarebbe tenuto a rimettere gli atti sospendendo il giudizio. In definitiva, secondo il ricorrente, gli unici limiti alla giurisdizione della Corte di Giustizia rispetto all'obbligo del giudice nazionale di operare il rinvio pregiudiziale deriverebbero dall'essere stata già sollevata identica questione in relazione a fattispecie già decisa in via pregiudiziale dalla Corte stessa, o dall'esistenza dì una giurisprudenza costante della Corte UE sul punto controverso. Non ricorrendo pertanto alcuna di tali ipotesi, la mancata trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia con contestuale
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