Cass. pen., sez. II, sentenza 21/02/2020, n. 06987

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 21/02/2020, n. 06987
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 06987
Data del deposito : 21 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: B G nato a GENOVA l' 11/11/1968 avverso l'ordinanza del 08/07/2019 del TRIB. LIBERTA' di GENOVA udita la relazione svolta dal Consigliere F D P;
sentite le conclusioni del PG FERDINANDO LIGNOLA il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l' Avvocato M E, in difesa di B G, il quale ha concluso riportandosi ai motivi del ricorso e chiedendo l'annullamento dell'ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Genova, con decreto in data 4 Giugno 2019, disponeva il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta ovvero in via subordinata per equivalente, dei beni di proprietà di B G, indagato per il reato di auto riciclaggio, sino a concorrenza della somma di euro 227.305,72. Secondo l' impianto accusatorio, ritenuto comprovato nel provvedimento di sequestro cautelare, B G, unitamente al padre G, avendo commesso nella qualità di amministratori della società "B s.r.l." i reati di cui agli artt. 640-61 n. 7 cod. pen., 646-61 nn. 7 ed 11 cod. pen. nonché art. 1 comma 2 lett. a) L. 516/82 trasferivano ed impiegavano, in attività finanziarie, la somma di euro 4.700.000,00 (donata dal fratello dell' indagato con atto pubblico rogato dal Notaio P A in data 4 settembre 2015) costituente provento di tali reati, in modo da ostacolare la identificazione della loro provenienza delittuosa e consentire il rientro nella disponibilità degli autori dei reati presupposto attraverso una serie di operazioni. Il Tribunale di Genova, con ordinanza in data 8 Luglio 2019, rigettava l' istanza di riesame formulata dalla difesa di B G.

2. Contro la suddetta ordinanza l' indagato, a mezzo difensore, propone ricorso per cassazione deducendo tre motivi, articolati in più censure.

2.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli artt. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321, 324 e 325 cod. proc. pen. e all' art. 648 ter.l. cod. pen. Assume che il tribunale non aveva considerato che, nella specie, difettava del tutto il fumus commissi delicti del reato di cui all' art. 648 ter.l. cod. pen. necessario per l' adozione del provvedimento cautelare non avendo i giudici di merito minimamente affrontato le questioni, puntualmente sollevate, relative alla concreta configurabilità dei presupposti del reato in questione. Osserva che i giudici del riesame non avevano esaminato la duplice questione della destinazione degli importi ricevuti in donazione dal fratello E e, quindi, della loro riconducibilità in una delle condotte menzionate dal primo comma dell' 648 ter.l. cod. pen. e della potenzialità di detta destinazione ad integrare quel concreto ostacolo per la identificazione della loro asserita provenienza delittuosa. Rileva, ancora, che l' ordinanza in esame era identica ad altra adottata all' esito dell' appello proposto dall' ufficio del Pubblico Ministero avverso il rigetto parziale della richiesta di sequestro preventivo emessa dal Giudice delle indagini preliminari risultando viziata in quanto non aveva affrontato le puntuali deduzioni sollevate dalla difesa e non aveva considerato che la misura emessa aveva ad oggetto importi riferiti ad altri reati per i quali era intervenuta condanna e non anche l' appropriazione indebita indicata. Deduce che posto che la fattispecie delittuosa in questione era entrata in vigore nel gennaio 2015 la motivazione del provvedimento impugnato appariva totalmente carente quanto alla individuazione di condotte illecite, integranti il reato presupposto, poste in essere successivamente alla entrata in vigore di detta norma. Evidenzia, altresì, che per altro verso non vi era prova alcuna che le condotte poste in essere fossero finalizzate ad ostacolare concretamente la provenienza delle somme de quibus, specie in considerazione del fatto che gli investimenti compiuti nelle date fra il 18 Settembre ed il 10 Ottobre 2015 erano sempre consistiti nell' acquisto di prodotti finanziari intestati al medesimo ricorrente, sussistendo, quindi, una palese violazione di legge. 2 v Lamenta che il provvedimento impugnato era viziato sotto il profilo della violazione di legge anche nella parte in cui, pur avendo evidenziato che il reato contravvenzionale di cui all' art. 1 comma 2 lett. a) L 516/1982 non poteva costituire, ex lege, presupposto del reato di autoriciclaggio, non aveva annullato il decreto del G.I.P. nella parte in cui aveva disposto il sequestro dei proventi derivanti dagli investimenti delle somme asseritamente frutto del menzionato reato contravvenzionale;
più precisamente la somma da sequestrare non sarebbe stata più di euro 227.305,72 ma di euro 183.378,43. Osserva che il tribunale del riesame non aveva fornito motivazione alcuna sul motivo di impugnazione circa l' asserito profitto del reato presupposto di cui all' art. 640-61 n.7 cod. pen. nonché sulla quantificazione di tale profitto né aveva considerato il procedimento che aveva originato la presente indagine si era concluso con una sentenza di patteggiamento che non conteneva alcun accertamento di responsabilità ed, in ogni caso, la motivazione era meramente apparente in ordine alla quantificazione del profitto del reato.

2.2. Con il secondo motivo deduce, sotto altro profilo, sempre violazione degli artt. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321, 324 e 325 cod. proc. pen. e 648 ter.l. cod. pen. Lamenta che i giudici del riesame erano incorsi in una violazione di legge non avendo considerato che difettava il fumus del reato di appropriazione indebita quale presupposto del contestato autoriciclaggio. Il tribunale, ad avviso della difesa, aveva del tutto omesso di pronunziarsi sulle specifiche censure sul punto non considerando che per tale reato non era mai stata neanche esercitata l' azione penale ed, in ogni caso, ogni eventuale condotta illecita si sarebbe prescritta prima dell' asserita commissione del reato presupponente.

2.3. Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 606 lett. b) e c) in relazione agli artt. 321, 325 cod. proc. pen. e 648 ter.l. cod. pen. Rileva che, stante la mancata produzione da parte dei Pubblici Ministeri della documentazione bancaria sulla base della quale la Guardia di Finanza aveva effettuato i propri conteggi, le considerazioni svolte nell' ordinanza cautelare erano totalmente prive di riscontri e che il tribunale, a fronte della specifica censura, aveva adottato una motivazione meramente apparente ed in violazione di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni appresso specificate.

2. Prima di procedere all' esame dei singoli motivi del ricorso si impongono alcune premesse metodologiche e di principio. Va, innanzitutto, ricordato che, ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione contro l'ordinanza emessa dal Tribunale, all'esito della richiesta di appello in tema di misure cautelari reali proposta in forza dell'art. 322-bis cod. proc. pen., può essere proposto solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo". Ne consegue che i vizi motivazionali denunciabili debbono assumere caratteri così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093);
non rientra, invece, nella nozione di violazione di legge l'illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916). Nel caso di specie, per come appresso chiarito, non può ritenersi affatto che la motivazione sia del tutto assente o assuma i caratteri della mera apparenza: invero, perché ricorrano fattispecie del genere è necessario che la motivazione stessa sia del tutto priva dei pur minimi requisiti per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato (cfr., Sez U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710). Va ricordato al riguardo che, la manifesta illogicità della motivazione, pur corrispondendo al mancato rispetto dei canoni epistemologici e valutativi che, imposti da norme di legge (principalmente dall'art 192, ma anche dall'art. 546, comma 1, lett. e cod. proc. pen.), regolano il ragionamento probatorio, non è però presidiata da una diretta sanzione di nullità: l'incongruenza logica della decisione contrastante con detti canoni può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell'art. 606, che riconosce rilevanza al vizio allorché esso risulti dal testo del provvedimento impugnato. Invece, l'ipotesi della mancanza di motivazione, pur essendo inclusa nella citata lett. e), non ha perduto l'intrinseca consistenza del vizio di violazione di legge, che vale a renderlo affine al motivo di ricorso enunciato nella lett. c) del medesimo art. 606, in quanto il caso di motivazione radicalmente omessa, cui è equiparata quella meramente apparente, è sempre correlato alla inosservanza di precise norme processuali (l'art. 125 comma 3, riguardante in generale le forme dei provvedimenti del giudice, compresi i decreti nei casi in cui la motivazione è espressamente prescritta dalla legge;
l'art. 292, comma 2, lett. c) e c -bis), e comma 2 -ter, in tema di ordinanza applicativa di una misura cautelare personale), norme che, specificando il precetto di cui all'art. 111, comma 6 Cost., stabiliscono l'obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, facendo derivare dall'inosservanza di esso la nullità dell'atto. Ulteriore doverosa premessa attiene alla verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del tribunale del riesame o della corte di cassazione che, per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, non può tradursi in un'anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi ovvero alla ricorrenza dell'elemento psicologico del reato (Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, M, Rv. 215840;
cfr., successivamente, Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, O, Rv. 257383). Peraltro, sebbene nel sequestro preventivo la verifica del giudice del riesame non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, è necessario tuttavia che la stessa si spinga ad accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato: pertanto, ai fini dell'individuazione del "fumus commissi delitti", non è sufficiente la mera "postulazione" dell'esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice, nella motivazione dell'ordinanza, deve rappresentare le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, che dimostra indiziariamente la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata (o ritenuta) rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 28515 del 21/05/2014, C e altri, Rv. 260921).
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