Cass. pen., sez. I, sentenza 01/07/2022, n. 25167
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Testo completo
a seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: MASCIA RINO ANGELO nato a CAGLIARI il 14/03/1967 MASCIA GRAZIANO ANGELO nato a FAENZA il 15/12/1995 avverso la sentenza del 27/05/2021 della CORTE APPELLO di CAGLIARIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ASSUNTA COCOMELLO che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Cagliari riformava quella del Tribunale di Cagliari emessa nei confronti di F A M, non ricorrente;la confermava, invece, nei confronti di R A M e di G A M. R A M e G A M rispondono, in concorso tra loro e con F A M, dei delitti di cui all'art. 23, comma 2, legge 110 del 1975 per la detenzione di un fucile cal. 12 privo di numero di matricola, quindi arma clandestina (capo A);del medesimo reato per la detenzione di una pistola a tamburo priva del numero di matricola (capo B);del delitto di cui agli artt. 2 e 7 legge 896 del 1967 per l'illegale detenzione di una pistola Beretta cal. 7'65 con relative munizioni (capo C);della ricettazione delle due armi clandestine (capo D);il solo R A M del delitto di cui agli artt. 61, n. 2, e 337 cod. pen. per avere usato violenza e minaccia per opporsi a un brigadiere dei Cacciatori Carabinieri di Abbasanta che stava eseguendo una perquisizione, facendolo cadere a terra con uno sgambetto e brandendo nei suoi confronti una roncola (capo F). Nei confronti di R A M è contestata la recidiva specifica e dopo l'esecuzione di pena. Il Tribunale di Cagliari aveva ritenuto i reati riuniti per continuazione e aveva condannato R A M alla pena di anni 9, mesi 10 e giorni 20 di reclusione ed euro 8.000 di multa e G A M alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 3.400 di multa. Le imputazioni derivano dall'esito di una perquisizione domiciliare svolta dai carabinieri del Comando Compagnia di Dolianova il 14/3/2019;le operazioni erano state ostacolate fin dall'inizio da R A M, che aveva tentato di far restare i militari nella cucina dell'abitazione. Un appuntato dei Carabinieri, che era rimasto fuori dall'abitazione per sorvegliare i mezzi di servizio, aveva notato un ragazzo moro, basso e barbuto, vestito con una tuta mimetica, mentre usciva dal cancello del cortile dell'abitazione portando con sé una valigetta verde e un oggetto lungo avvolto in un telo verde;aveva intimato l'alt, ma il giovane si era dato alla fuga. L'appuntato aveva avvisato i colleghi che si trovavano all'interno, i quali si erano precipitati verso la porta per uscire;per ostacolare tale movimento, R A M aveva fatto cadere il brigadiere Micci con uno sgambetto. Iniziato l'inseguimento, era stata rinvenuta la valigetta, contenente cinque pistole, tra cui due clandestine e una carica, nonché due passamontagna. Rientrati i militari nell'abitazione, R A M aveva dato in escandescenze e aveva minacciato verbalmente e con una roncola il brigadiere M. Successivamente era stato rinvenuto anche l'involucro verde, contenente un fucile da caccia privo di matricola. La perquisizione aveva portato anche al rinvenimento di oggetti relativi al traffico di stupefacenti, peraltro attribuiti al solo F A M. Quando G A M era tornato all'abitazione alla guida della sua autovettura, sbarbato e indossante abiti non da lavoro, l'appuntato lo aveva riconosciuto come il giovane che si era dato alla fuga. L'appuntato aveva confermato l'individuazione in dibattimento. Il Tribunale aveva ritenuto che l'alibi fornito da G A M non fosse attendibile e che i riscontri relativi alla sua presenza in determinati luoghi non escludessero che egli si trovasse a casa dei genitori al momento della perquisizione. La consulenza tecnica difensiva svolta sui tabulati del suo telefono cellulare non era considerata affidabile. La responsabilità per la detenzione delle armi dei due imputati veniva tratta dal tentativo di sottrarle dall'abitazione ad opera di G A M e dalla condotta tenuta da R A M, diretta inequivocabilmente a favorire la fuga del figlio con le armi. Provvedendo sui motivi di appello, la Corte territoriale, anche alla luce dell'acquisizione - sul consenso delle parti - dell'annotazione di servizio redatta dall'appuntato M, ribadiva che egli aveva visto con certezza il giovane che aveva con sé la valigetta e l'involucro mentre usciva dal cancello di pertinenza dell'abitazione dei M. La testimonianza di un amico dei M, secondo cui l'appuntato non poteva vedere il cancello perché impedito alla vista da un camioncino e da un motocarro parcheggiati, non era ritenuta in grado di sconfessare la precisa indicazione dell'appuntato circa la provenienza del giovane. Inoltre, non vi era dubbio che la valigetta e l'involucro portati dal giovane fossero quelli successivamente rinvenuti durante le ricerche dei carabinieri. L'identificazione di G A M nell'uomo che l'appuntato M aveva visto uscire dal cancello e che si era dato alla fuga era certa. L'individuazione fotografica svolta nell'immediatezza era utilizzabile;il militare aveva visto la persona a breve distanza e in ottime condizioni di luce e l'aveva riconosciuto con certezza;la fotografia dell'imputato con la barba rappresentava il fuggitivo;nessuna nullità derivava dal fatto che, nel corso dell'esame dibattimentale, il Presidente non avesse autorizzato la difesa a contestare il contenuto dell'annotazione di servizio redatta dal M, trattandosi di atto non contestabile e, comunque, non sussistendo alcuna difformità tra il contenuto dell'annotazione e la testimonianza resa in dibattimento dal militare. Il riconoscimento era confermato dalla corporatura dell'imputato (basso e scuro di capelli, come descritto fin dall'inizio dall'appuntato M). La fuga con le armi da parte di G A M e la reazione di R A M all'arrivo dell'appuntato M, che avvertiva i colleghi di quanto avvenuto immediatamente prima, dimostrava il concorso di entrambi nella detenzione. I M avevano compreso che il giovane che si era dato alla fuga era Graziano Angelo, che essi avevano avvisato per telefono della perquisizione in corso (circostanza riferita dallo stesso imputato): quindi, avevano cercato in ogni modo di impedire ai carabinieri di mettersi al suo inseguimento. L'alibi fornito da G A M era compatibile con la sua presenza nella casa familiare alle 14'40, quando era stato avvistato dall'appuntato M. Egli era stato avvisato alle 14'15 - 14'20 dalla madre mentre si trovava a Guasila;subito dopo si era mosso verso Siurgus Donigala e, alle 14'37, il telefono cellulare aveva agganciato una cella vicinissima al centro abitato. Nel tragitto si era fermato un attimo a consegnare una forma di formaggio a tale Z, che lo aveva riferito. L'imputato era riuscito ad entrare nell'abitazione dei genitori senza essere notato per prelevare armi e passamontagna, salvo essere visto dall'appuntato M nel momento in cui usciva dal cancello. Era del tutto verosimile che l'appuntato non lo avesse notato mentre entrava nell'abitazione (il suo compito era quello di sorvegliare le autovetture di servizio), così come l'imputato non si fosse accorto della presenza dell'appuntato, trovandoselo di fronte mentre usciva dal cancello con le armi. Dopo la fuga, M era andato in qualche luogo a cambiare i vestiti e i connotati (lo stesso imputato aveva confermato che si era sbarbato quella mattina, seppure in un orario precedente). Le testimoni Canzaro, P e Z non erano attendibili nell'affermare che, quando si era presentato al bar di Guasila e poi a consegnare la forma di formaggio, G A M era già sbarbato e non indossava abiti da lavoro: le loro dichiarazioni erano generiche e anche contraddittorie su alcuni aspetti;inoltre, si trattava di tre testimoni compaesane, una delle quali madre di un amico di M. La dichiarazione del brigadiere M sullo sgambetto fattogli da R A M era pienamente attendibile. M aveva tentato di opporsi alla perquisizione e di impedire ai carabinieri di dare manforte all'appuntato M quando era giunto avvisando di quanto aveva visto, addirittura accusando M di avere visto un fantasma e di avere avuto una visione: egli era consapevole della presenza delle armi nell'abitazione e voleva sottrarli al sequestro;si tratta di soggetto con precedenti specifici per detenzione di armi da fuoco;aveva lo status di capo famiglia, al quale non poteva essere tenuta nascosta la detenzione delle stesse. Secondo la Corte sussistevano anche i presupposti della resistenza a pubblico ufficiale, né era configurabile l'esimente di cui all'art. 393 bis cod. pen.La Corte territoriale confermava il diniego delle attenuanti generiche nonché l'applicazione della recidiva specifica per R A M.
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