Cass. civ., sez. V trib., sentenza 25/05/2023, n. 14624
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ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 19975/2020 R.G. proposto da: RHODIA INTERNATIONAL HOLDING LTD, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA, 10, presso lo studio dell’avvocato T E (LFNTLL66H04F839C) che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ABRUZZO - SEZ.DIST.PESCARA n. 19/2020 depositata il 16/01/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/05/2023 dal Consigliere G P M. FATTI DI CAUSA 1. La società di diritto inglese Rhodia International Holding LTD impugnava il provvedimento di diniego di sei istanze di pagamento del credito di imposta relativo ai dividendi distribuiti nel 1995, 1997, 1998 e 1999 ai sensi dell'art. 10, par 4, lett. b) della Convenzione tra l'Italia ed il Regno Unito contro le doppie imposizioni, ratificata con legge n.329 del 5.11.1990. La Commissione tributaria regionale dell'Abruzzo rigettava l'appello proposto dall'Ufficio, confermando la decisione di primo grado, favorevole alla società. In particolare, la CTR dichiarava pregiudizialmente l'inammissibilità del primo motivo di appello, con cui l'Amministrazione aveva denunciato la violazione di legge per la dedotta alternatività dell'art. 10 della Convenzione tra l'Italia ed il Regno Unito e della direttiva 23 luglio 1990 n. 435/90/CEE, relativa al regime fiscale applicabile alle società madri e figlie residenti in diversi stati membri dell'Unione Europea, e riteneva assorbiti e comunque infondati i restanti motivi di appello, con i quali erano contestati la qualità di effettiva beneficiaria dei dividendi erogati in capo alla società appellata ed eccepita l’estinzione dell’obbligo di pagamento dei dividenti mediante compensazione. 2. Avverso la sentenza della CTR l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso con tre motivi, lamentando: i) la violazione e falsaapplicazione dell'art. 57 d.lgs. n. 546/92 e dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. ed all'art.62, primo comma d.lgs. n. 546/92, perché il giudice di appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile, in quanto avanzata per la prima volta in appello, la questione relativa alla alternatività dell'art. 10 della Convenzione tra l'Italia ed il Regno Unito e della direttiva 23 luglio 1990 n.435/90/CEE;ii) la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell'art. 10, par. 4, lett b) della Convenzione Italia-Regno Unito, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 329/1990, in relazione all'art. 62 d.lgs. n.546/1992, perché la CTR avrebbe erroneamente limitato il concetto di beneficiario effettivo, escludendo che la società costituisse una semplice "società veicolo", per il fatto che l'interponente (la soc. Albright Wilson PLC) avesse anch'essa sede in Gran Bretagna e non in un Paese a fiscalità privilegiata;iii) l'insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. e 62, comma 1, d.lgs. n.546/92, perché la CTR non avrebbe adeguatamente esaminato i fatti addotti dall'Ufficio allo scopo di dimostrare che la società fosse priva di capacità operativa e fosse una mera intermediaria di altri soggetti e non l'effettiva beneficiaria dei dividendi. 3. Con ordinanza n. 32991/2018 questa Corte accoglieva il primo motivo di ricorso, rilevando i) che nel caso di specie la contestazione della sussistenza dei presupposti del vantato credito d'imposta, essendo volta a negare la sussistenza del fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio dalla società ricorrente e non già a contrapporvi fatti diversi con effetto estintivo, modificativo o impeditivo, configurava mera difesa e non già eccezione in senso proprio e come tale era suscettibile di essere dedotta anche per la prima volta in appello, senza che per ciò potesse considerarsi violato il divieto dei nova;ii) che il giudice di appello, quindi, era tenuto a valutare anche d'ufficio la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della disciplina di cui all'art. 10 della Convenzione Italia - Regno Unito per stabilire la fondatezza o meno della domanda di rimborso del credito di imposta;iii) che ”come, è stato detto in relazione al credito d'imposta previsto dall'art. 10, paragrafo 4, lett. b), Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, ratificata con L. n 20 del 1992 (normativa sostanzialmente analoga a quella oggetto di causa), «in tema d'imposte sui dividendi azionari, la società madre francese che riceve dalla società figlia italiana dividendi esenti da tassazione per effetto dell'attuazione in Francia della Dir. 90/435/CEE non ha diritto al credito d'imposta previsto dall'art. 10, paragrafo 4, lett. b), Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, ratificata con I. n 20 del 1992, in quanto l'esenzione di fonte comunitaria esclude la doppia imposizione che il credito di fonte pattizia è diretto a neutralizzare» (Sez. 5, Sentenza n. 23367 del 06/10/2017)”;che inoltre la Corte di merito “avrebbe dovuto verificare se la società di diritto britannico fosse soggetta ad imposta sui dividendi percepiti dalla società controllata italiana;ciò in conformità al chiaro disposto sul punto della citata norma convenzionale che, ai fini dell'applicabilità dell'invocato beneficio, richiede, oltre ai requisiti della residenza nello Stato estero e della qualità di beneficiaria effettiva, anche l'essere la società che riceve i dividendi «a tal titolo» soggetta all'imposta del Regno Unito, laddove l'inciso «a tal titolo» tende evidentemente a postulare uno specifico rilievo impositivo dei dividendi”. 3.1. Dichiarati assorbiti i motivi secondo e terzo, la Corte cassava la sentenza impugnata e rinviava alla CTR dell'Abruzzo per nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi enunciati. 4. La Corte territoriale: i) escludeva, con richiamo al principio dettato dalla ordinanza di rinvio della Corte di cassazione, la cumulabilità tra l’esenzione da tassazione dei dividendi effetto dell'attuazione della Dir. 90/435/CEE ed il diritto al credito d'imposta previsto dall'art. 10, par. 4, lett b) della Convenzione Italia-Regno Unito, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 329/1990;ii) riteneva assorbiti gli ulteriori motivi di censura sollevati dalla società contribuente, attinenti all’assoggettamento dei dividendi alla tassazione inglese ed alla prova circa il fatto che la ricorrente fosse il beneficiario effettivo di una parte dei dividendi;iii) “per completezza di indagine” riteneva altresì opportuno rilevare che “se in Gran Bretagna i redditi da dividendi concorrono a formare la base imponibile e sono sottoposti alla «corporate tax», quello stesso sistema tributario riconosce un credito d'imposta interno (c.d. double taxation relief) che, nei fatti, esclude un effettivo versamento di imposte in quello Stato”, e che la società inglese non aveva prodotto la certificazione, rilasciata dalle competenti autorità fiscali dello Stato estero, relativamente alla soggezione non in astratto, ma in concreto, ad uno dei tributi indicati nella direttiva 435/90/CEE del Consiglio, come richiesto dall’art. 27-bis del DPR n. 600 del 1973 quale presupposto per il diritto al rimborso delle ritenute alla fonte sugli utili percepiti da una società residente in uno Stato membro dell’Unione Europea. In esito, confermava il provvedimento di diniego impugnato.
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