Cass. civ., sez. III, sentenza 27/11/2012, n. 20995
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La circostanza che una legge ambigua od una giurisprudenza contrastata rendano incerta l'effettiva sussistenza dell'obbligo per il notaio di eseguire un adempimento teoricamente necessario per la validità o l'opponibilità dell'atto da lui rogato, non esclude la responsabilità dello stesso nel caso in cui, in seguito, quell'adempimento dovesse risultare effettivamente dovuto, avendo questi il preciso obbligo, impostogli dall'art. 1176, comma secondo, cod. civ., di osservare un principio di precauzione ed adottare la condotta più idonea a salvaguardare gli interessi del cliente.
Il notaio che, dopo avere costituito un fondo patrimoniale, ometta di curare la relativa annotazione in margine all'atto di matrimonio, risponde nei confronti dei proprietari dei beni conferiti nel fondo del danno da essi patito in conseguenza dell'inopponibilità del vincolo di destinazione ai creditori, a nulla rilevando che sia stata comunque eseguita la trascrizione dell'atto, giacché quest'ultima non rende la costituzione del fondo patrimoniale opponibile ai terzi quando sia mancata la suddetta annotazione, nemmeno nel caso in cui i terzi stessi ne avessero conoscenza.
Il notaio ha la facoltà di rifiutare la propria prestazione professionale se le parti non depositino presso di lui le somme necessarie per le tasse, l'onorario e le spese, ma, una volta che abbia comunque accettato di eseguire la prestazione richiestagli e di ricevere l'atto, il mancato pagamento di tali importi non lo autorizza a sottrarsi all'obbligo di provvedere alle formalità susseguenti (come la registrazione e la trascrizione dell'atto), pena il risarcimento del danno in tal modo causato alle parti.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M M - Presidente -
Dott. C G - rel. Consigliere -
Dott. V R - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
Dott. C F M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso 24231-2007 proposto da:
LICCIARDELLO GIORGIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 14, presso lo studio dell'avvocato L M, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato B C giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
A B RNCBBR40D53C351I, coniugi A C n. a C il 19/2/1939 e K B n. a H il 02/03/1945, coniugi L N n. a C il 07/10/1947 e M C n. a C il 18/10/1950, coniugi A C n. a C il 19/2/1939 e LA R GPA n. a C il 09/02/1940, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GAVORRANO 12 SC B INT 4, presso lo studio dell'avvocato G M, rappresentati e difesi dall'avvocato A I A giusta delega in atti;
- controricorrenti -
e contro
COMUNE DI C;
- intimato -
avverso la sentenza n. 512/2007 della CORTE D'APPELLO di C, depositata il 21/05/2007, R.G.N. 2112/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/10/2012 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;
udito l'Avvocato MARIO LIBERTINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 25.11.1994 A B, A C e K B, L N e Marino Caterina, A C e L R G convenivano il notaio L Giorgio in giudizio esponendo che il 21 e 23 giugno 1982 avevano costituito quattro fondi patrimoniali con atti curati dal detto notaio, che venivano trascritti il giorno successivo ma non annotati a margine degli atti di matrimonio come prescritto dall'art. 162 c.c.;che con sentenza del 26 febbraio 1991 il Tribunale di Catania aveva dichiarato l'inopponibilità degli atti nei confronti dei loro creditori che avevano promosso azioni esecutive immobiliari. Ciò premesso, chiedevano la condanna del notaio L al risarcimento dei danni subiti. In esito al giudizio, in cui il notaio si costituiva contestando la domanda, esperendo riconvenzionale nei confronti degli attori ed ottenendo la chiamata in causa del Comune di Catania, il Tribunale adito condannava il notaio al risarcimento danni subiti dagli attori da liquidarsi in separato giudizio, rigettava la domanda riconvenzionale e condannava il convenuto alla rifusione delle spese. Avverso tale decisione proponeva appello il L ed in esito al giudizio, in cui si costituivano il Comune di Catania, A B, A C e K B, L N e Marino Caterina, A C e L R G, la Corte di Appello di Catania con sentenza depositata in data 21 maggio 2007, in parziale riforma della decisione impugnata, condannava gli appellati al pagamento in solido della complessiva somma di Euro 8.582,28 oltre interessi legali dalla domanda, confermando nel resto l'impugnata sentenza e provvedendo al governo delle spese di secondo grado. Avverso la detta sentenza il L ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi. Resistono con controricorso A B, A C e K B, L N e M C, A C e L R G. È intervenuta in giudizio, quale unica erede del ricorrente, Claudia L, la quale ha altresì depositato due memorie illustrative. MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere ritenuta l'ammissibilità dell'intervento della L, quale successore universale del ricorrente. Ed invero, come ha già avuto modo di affermare recentemente questa Corte, "nel caso di morte della parte durante il giudizio di legittimità, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio mediante deposito del ricorso o del controricorso, il successore ha facoltà di intervenire nel giudizio, con un atto avente natura sostanziale di atto di intervento (nel quale può essere rilasciata la procura a difensore iscritto nell'albo speciale) che deve essere notificato alla controparte, in vista dell'assicurazione del contraddittorio sulla nuova manifesta legittimazione, non potendo l'intervento detto aver luogo con il mero deposito di un atto nella cancelleria della S.C., e stante l'esigenza di assicurare a tale atto una forma simile a quella del ricorso e del controricorso". (Cass. n. 7441/2011). Passando all'esame delle censure proposte dal ricorrente, mette conto di premettere che la prima doglianza, svolta dal ricorrente, si articola essenzialmente attraverso due profili: il primo, per violazione degli artt. 168 e 180 cod. civ. fondato sulla considerazione che nel caso di specie gli attori avevano proposto l'azione risarcitoria iure proprio mentre avrebbero dovuto agire nell'interesse del fondo patrimoniale, unico ad essere eventualmente danneggiato dall'omessa annotazione;il secondo, per omessa e contraddittoria motivazione, fondato sul rilievo che la Corte aveva motivato affermando un principio pacifico - il difetto di personalità giuridica del fondo, autonoma rispetto a quella dei soggetti che lo avevano costituito - che "non si attagliava(va) però al caso di specie".
Il primo profilo di doglianza è infondato. Ed invero, premesso che per effetto del combinato disposto dell'art. 168 c.c., u.c. e art.180 c.c. la rappresentanza in giudizio per gli atti relativi
all'amministrazione dei beni facenti parte del fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi per cui ciascuno di essi, in nome e per conto del fondo, è legittimato ad esperire qualsiasi azione di carattere reale o con effetti reali diretta alla tutela della proprietà o del godimento dei beni destinati a far fronte ai bisogni della famiglia, si deve tener presente che i beni del fondo patrimoniale, pur rappresentando un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento di specifici scopi, appartengono ai medesimi conferenti, ovvero ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di costituzione personale, così come è espressamente previsto dall'art. 168 citato, comma 1. E ciò, in quanto la costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo stesso, affinché con i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità della proprietà dei beni stessi ne' incide sulla legittimazione dei due coniugi ad agire in giudizio iure proprio al fine di ottenere il risarcimento dei danni arrecati al proprio patrimonio. Del resto, il fondo patrimoniale non ha personalità giuridica ma - ripetesi - rappresenta solo un patrimonio assoggettato a speciale disciplina di amministrazione ed a limiti di alienabilità ed espropriabilità. È invece inammissibile il secondo profilo di doglianza. Ed invero, ove sia denunciato un vizio motivazionale ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, così come è avvenuto nel caso di specie, la censura
deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l'indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l'omissione, la contraddittorietà o l'insufficienza della motivazione sia l'indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008). Ciò considerato, deve evidenziarsi che, nel ricorso in esame, il ricorrente ha esaurito il necessario momento di sintesi nella sola trascrizione della considerazione fondamentale, posta dalla Corte di merito a base del suo convincimento, senza indicare ne' il fatto controverso ne' le ragioni di sussistenza del vizio motivazionale. Ora, posto che il momento di sintesi, così come il quesito di diritto, deve essere formulato in termini compiuti ed autosufficienti, senza che la Corte sia obbligata ad una attività di interpretazione della doglianza complessivamente illustrata, al fine di poter individuare il fatto controverso, cui si riferisce il ricorrente, e le ragioni per cui la motivazione sarebbe stata omessa o comunque sarebbe insufficiente e/o contraddittoria;
posto che la norma di cui all'art. 366 bis citato non può essere interpretata nel senso che il momento di sintesi possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso, poiché una siffatta interpretazione si risolverebbe nell'abrogazione tacita della norma in questione, il motivo di impugnazione, accompagnato da un momento di sintesi, privo dei requisiti richiesti, deve essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.. Le considerazioni riportate torneranno utili anche con riferimento ai vizi motivazionali dedotti dal ricorrente nei successivi motivi. Passando all'esame della seconda doglianza, va premesso che la stessa, articolata sotto il profilo della violazione degli artt.1353, 2043 e 2901 cod. civ. nonché della motivazione omessa o
insufficiente, si fonda in primo luogo sulla considerazione che nella specie non ricorrerebbe alcun danno poiché l'atto di costituzione avrebbe potuto essere revocato ai sensi dell'art. 2901 c.c.. Inoltre - ed in tale rilievo si sostanzia il secondo profilo di doglianza - il giudice di appello avrebbe trascurato che il fine perseguito dai resistenti era antigiuridico in quanto volto a compiere un negozio in frode ai creditori.
Il ricorrente ha concluso quindi il motivo di impugnazione con i seguenti quesiti di diritto: "affermi la Corte ai sensi e per gli effetti degli artt. 1353, 2043 e 1901 c.c. la mancata ricorrenza di danno e della conseguente inesistenza di alcun obbligo al risarcimento nel caso in cui il presunto danno si assuma derivare dalla mancata annotazione dell'atto costitutivo di uno o più fondi patrimoniali e conseguente inopponibilità degli atti ai creditori dei soggetti costituenti il fondo, nella ipotesi in cui l'atto costitutivo non sarebbe comunque opponibile ad alcuno dei creditori medesimi in quanto comunque revocabile ai sensi e per gli effetti dell'art. 2901 c.c.";Enunci altresì il seguente principio di diritto "non può essere ritenuto ingiusto e quindi risarcibile un danno, nella ipotesi in cui il danno assunto consista nella procurata impossibilità di frodare i propri creditori".
Nè il primo ne' il secondo profilo di doglianza è ammissibile. Ed invero, premesso che il dedotto vizio motivazionale non è accompagnato dal necessario momento di sintesi, onde l'inammissibilità del relativo profilo di doglianza, deve altresì considerarsi che l'ammissibilità di un motivo di impugnazione afferente ad una violazione di legge è, a sua volta, condizionata alla formulazione di un quesito di diritto, compiuta ed autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione (S.U. 28054/08). Infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il quesito di diritto "deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. (Cass., ord. n. 19769 del 2008;Cass., S.U., n. 6530 del 2008) 4856/09). Occorre quindi che il ricorrente nella redazione del quesito provveda ad indicare l'errore o gli errori compiuti dal giudice del merito, con riferimento al caso concreto, e specifichi la regola da applicare alla fattispecie.
Nella specie nessuno dei due quesiti di diritto soddisfa le prescrizioni di cui all'art. 366 bis c.p.c. ne' tanto meno risulta correlato alle ragioni della decisione - fondate essenzialmente sulla considerazione che l'intento perseguito dagli appellati - contraenti con i fondi patrimoniali era conforme alla ratio legis dell'istituto giuridico in esame e che il pregiudizio era contra ius in quanto incideva su una posizione soggettiva tutelata dall'ordinamento giuridico (cfr pag. 8 della sentenza impugnata) - articolandosi invece in mere ipotesi ovvero in congetture astratte e non conferenti con la concreta fattispecie.
Nè possono essere tenute in conto alcuno le considerazioni, rassegnate nella ultima memoria illustrativa depositata dall'interveniente, (riguardanti il preteso mancato accertamento dell'efficienza eziologica della condotta imputata al notaio rispetto al pregiudizio che essa all'esito delle procedure esecutive potrebbe aver determinato) concretandosi in profili di censura sostanzialmente nuovi, in quanto in sè e per sè mai svolti in precedenza, la cui trattazione non può quindi ritenersi consentita nelle memorie illustrative ex art. 378 c.p.c.. Passando all'esame della terza doglianza, articolata sotto il profilo della violazione dell'art. 2697 c.c. nonché della motivazione omessa o insufficiente, va rilevato che, secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe considerato che gli originari attori avevano "solo allegato e mai provato, quale unica voce di danno, la procurata impossibilità di frodare i propri creditori" (cfr il quesito, pag. 21 del ricorso) e non avrebbe indicato le ragioni per cui aveva ritenuto ricorrere il danno ingiusto, subito dagli attori, "unicamente individuando la misura del danno nella procurata azione esecutiva immobiliare e nella conseguente vendita all'asta degli immobili esecutati, omettendo di rilevare che i resistenti avrebbero comunque subito l'azione esecutiva medesima" (cfr quesito, pag. 21). La doglianza è inammissibile per un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo, per mancanza di una parte specificamente dedicata alla chiara indicazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardo al quale il ricorrente ha assunto l'omissione e l'insufficienza della motivazione. Ciò, senza considerare che il ricorrente ha altresì omesso di indicare le ragioni per cui la motivazione sarebbe stata inidonea a sorreggere la decisione. In secondo luogo, perché con la doglianza in esame il ricorrente si è limitato a ripetere sostanzialmente le medesime considerazioni esposte nell'atto di appello senza contrapporsi specificamente alle ragioni espresse dalla Corte di merito ai fini della confutazione della censura d'appello. Ora, la Corte di merito aveva fondato la sua decisione sulla considerazione che, a causa della ritardata annotazione dei fondi patrimoniali a margine degli atti di matrimonio, i creditori avevano promosso azioni esecutive immobiliari, identificando inoltre il pregiudizio subito dagli originari attori nel decremento di valore subito dai beni a seguito della vendita all'asta rispetto quello che avrebbero avuto in regime di libera contrattazione (cfr pag.9 della sentenza). Sul punto, nulla di specifico ha contrapposto il ricorrente. Ed è appena il caso di sottolineare che le ragioni di gravame, per risultare idonee a contrastare la motivazione della sentenza, devono correlarsi con la stessa, in modo che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultino contrapposte quelle dell'impugnante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. Passando all'esame della quarta doglianza per violazione degli artt.1353, 1460 e 2234 cod. civ. e artt. 28 e 78 legge notarile, deve
premettersi che la stessa si fonda sulla tesi che il notaio, che ometta l'annotazione di un atto di costituzione di un fondo patrimoniale, sarebbe legittimato a sollevare l'eccezione inadimpleti non est adimplendum nell'ipotesi in cui i clienti non adempiano a loro volta alle obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento dell'onorario e delle spese dell'atto.
La censura è infondata. Ed invero, l'art. 28 della legge notarile - laddove prevede che il notaio possa ricusare il suo ministero se le parti non depositino presso di lui l'importo delle tasse, degli onorari e delle spese dell'atto - va inteso nel senso che egli può avvalersi di tale facoltà sempre che non abbia rogato alcun atto. Per contro, ove abbia comunque accettato di riceverlo malgrado il mancato deposito ed abbia rogato la compravendita di un immobile, non è esonerato dal dovere di adempiere le formalità di registrazione e trascrizione dell'atto, incorrendo, in caso di inottemperanza, nelle sanzioni previste nei confronti dell'erario e nell'obbligo di risarcimento del danno nei riguardi delle parti private, (cfr Cass.n. 3433/81). E ciò, in omaggio alla tutela dell'affidamento e della
sicurezza del movimento degli affari in campo giuridico, che verrebbero compromessi se determinati atti potessero essere rogati senza essere seguiti dall'effettuazione delle formalità previste dalla legge (Cass. n. 1148/79, n. 3189/1960). Passando all'esame della quinta doglianza, articolata sotto il profilo della violazione degli artt. 162, 2647 e 2915 c.c., va rilevato che, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato quando ha ritenuto la necessità dell'annotazione dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale, ai fini dell'opponibilità ai terzi, ogni qualvolta l'oggetto della convenzione riguardi beni immobili. E ciò, in quanto la pubblicità derivante dal regime delle trascrizioni immobiliari deve ritenersi idonea a rendere opponibili ai terzi l'atto, anche in mancanza di specifica annotazione a margine dell'atto di matrimonio. La censura è infondata, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale di cui all'art. 167 cod. civ. è soggetta alle disposizioni dell'art. 162 cod. civ., circa le forme delle convenzioni matrimoniali, ivi inclusa quella del comma 4, che ne condiziona l'opponibilità ai terzi all'annotazione del relativo contratto a margine dell'atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell'art. 2647 cod. civ., resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo. (Sez. Un. n. 21658/09, conformi ex multis Cass. n. 24798/08, n. 8610/07). Resta l'ultima censura, articolata per contraddittorietà e/o mancanza di motivazione, per non avere la Corte fornito spiegazione alcuna circa la mancata valutazione della scusabilità dei presunti errori compiuti dal notaio ad onta del contrasto giurisprudenziale all'epoca dei fatti. Anche tale doglianza è infondata alla luce del rilievo che i giudici di seconde cure, contrariamente all'assunto del ricorrente, hanno invece valutato il profilo in questione affermando, sia pure con motivazione assai sobria, che l'eventuale incertezza della giurisprudenza avrebbe dovuto indurre il notaio ad eseguire in ogni caso l'adempimento previsto dall'art. 162 c.c. e imposto a suo carico dall'art. 2671 cod. civ.. Ed è appena il caso di sottolineare che la considerazione merita di essere condivisa in quanto la valutazione del dovere di diligenza di un notaio non può prescindere della natura professionale della prestazione da lui esigibile ex art.1176 c.c., comma 2. Del resto, nella fattispecie non si versa in tema
di responsabilità disciplinare del notaio, ma di responsabilità contrattuale ed in questo caso non rileva la scusabilità dell'errore, ma solo la non imputabilità dello stesso, a norma dell'art. 1218 c.c.. Ed invero, come ha già statuito questa Corte, ai sensi dell'art. 1218 cod. civ., la causa non imputabile, che esclude la responsabilità per l'inadempimento, si ha quando quest'ultimo sia stato determinato da un impedimento oggettivo e non dall'erronea convinzione di non dover adempiere e cioè da un errore del soggetto in buona fede. (Cass. n. 3711/89). Ne deriva che, ad onta di un eventuale contrasto giurisprudenziale (nella specie, peraltro insussistente, perché il contrasto giurisprudenziale non atteneva all'obbligo o meno del notaio di effettuare l'annotazione su atto di matrimonio (sul punto era chiaro l'obbligo di legge), ma sull'effetto di inopponibilità della predetta annotazione), il notaio deve necessariamente improntare la propria condotta professionale all'osservanza delle più elementari regole di prudenza al fine di assicurare con certezza il conseguimento dello scopo tipico (non meno che del risultato pratico) del negozio richiesto dalle parti.
Con la conseguenza che l'inosservanza di tali obblighi accessori non può essere in alcun modo scusato e da luogo a responsabilità "ex contractu" per inadempimento dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale, peculiare, forma di responsabilità.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.