Cass. pen., sez. V, sentenza 28/12/2020, n. 37524
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: AM LU, nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 18/12/2019 della CORTE APPELLO di NAPOLIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Grazia Miccoli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Kate Tassone, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell'imputato, avvocato Gennaro Iannotti, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 dicembre 2019 la Corte di appello di Napoli, in riforma della pronunzia di primo grado emessa in data 21 settembre 2018 dal Tribunale di NT IA PU TE, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di LU NO, imputato del reato continuato di cui agli artt. 81 e 615 ter, commi 1, 2 n. 1 e 3, cod. pen., limitatamente alle condotte di accesso abusivo al sistema informativo commesse in epoca antecedente al 5 marzo 2009 perché estinte per intervenuta prescrizione e, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alle contestate circostanze aggravanti, ha rideterminato la pena in anni uno, mesi sei di reclusione.
2. All'NO è stato contestato il suddetto reato perché, quale ispettore della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Caserta, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi, abusivamente si introduceva, ovvero abusivamente si tratteneva, nel sistema informatico e telematico in uso al Ministero dell'Interno al fine di effettuare ricerche sul proprio nominativo. Con le aggravanti di aver commesso il fatto con abuso di poteri e/o in violazione dei doveri inerenti alla propria funzione o servizio e con riguardo a sistema informatico e telematico relativo all'ordine pubblico e alla sicurezza pubblica o comunque di interesse pubblico (SDI). La sentenza di appello dà atto del fatto che l'NO, ispettore di Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Caserta, aveva eseguito 38 accessi - effettuati tra il 9 agosto 2006 ed il 17 dicembre 2014 - alla banca dati SDI, in uso alle forze di polizia, tutti finalizzati alla verifica della posizione del proprio nominativo. Tali accessi avevano comportato che l'NO venisse a conoscenza di indagini a suo carico, per il reato di falso ideologico, svolte dai carabinieri, tanto che provvide: a presentare una memoria (inviata alla Procura della Repubblica di Potenza), dove affermava di essere venuto a conoscenza per puro caso dell'indagine che lo riguardava e di voler chiarire la propria posizione di soggetto ingiustamente indagato;
poi, a denunciare terze persone dei fatti a lui addebitatigli e di cui aveva avuto contezza interrogando per mero diletto il proprio nominativo al CED del Ministero dell'Interno (denuncia presentata il 6 novembre 2012 presso il Commissariato di Nola);
infine, a denunciare i carabinieri che avevano effettuato le investigazioni, tra l'altro ribadendo di aver saputo delle indagini interrogando per diletto il più volte citato sistema informatico (denuncia sporta il 15 dicembre 2014 presso la Questura di Caserta).
3. Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, articolandolo nei tre motivi qui di seguito sintetizzati.
3.1. Con il primo si denunzia violazione di legge processuale. Con l'atto di appello era stata eccepita la nullità della sentenza di primo grado perché al dibattimento aveva partecipato un pubblico ministero della Procura di NT IA PU TE (nello specifico un vice procuratore onorario) in relazione a un reato (art. 615 ter cod. pen.) attribuito alla competenza distrettuale della Procura di Napoli, ex art. 51 comma 3 quinquies cod. proc. pen. e in assenza di delega da parte dell'ufficio competente. La Corte di Appello aveva disatteso l'eccezione di nullità affermando che dalla disamina dei verbali non risultava in alcun modo che fosse stata sollevata la questione relativa alla delega in favore del procuratore onorario ovvero che ne fosse stata sollecitata l'allegazione, affermando altresì che la mancanza di delega non determina alcuna nullità, in quanto l'art. 162 disp. att. cod. proc. pen. non la prevede, né tale omissione costituisce una ipotesi di nullità di ordine generale. Deduce il ricorrente che le argomentazioni della sentenza impugnata violano diverse norme processuali e, in primo luogo, quella di cui all'art. 178, comma 1, lettera b) cod. proc. pen., giacché la sentenza di primo grado è stata emessa attraverso l'acquisizione di prove richieste da un soggetto che non può ritenersi parte. Dopo aver richiamato la disposizione di cui all'art. 72 dell'ordinamento giudiziario, come modificato e integrato prima dall'art. 23, ultimo comma, del d.lvo n. 51 del 1998 e poi dall'art. 58 della legge n. 479 del 1999, il ricorrente ha evidenziato che la suddetta disposizione di legge attribuisce al Procuratore della Repubblica il potere di delegare le funzioni di pubblico ministero nell'udienza dibattimentale ai soggetti ivi indicati senza alcuna limitazione, ma presupposto indefettibile è che sia il Procuratore competente a delegare tale funzione. Sostiene altresì il ricorrente che la fondatezza del motivo si ricava anche dal tenore della disposizione di cui all'art. 72 dell'ordinamento giudiziario ovvero dall'espressione «...è seguito altresì il criterio...», che è da ritenersi norma perfetta e, quindi, cogente, per cui la sanzione dell'inosservanza si rinviene nel sistema codicistico delle nullità e specificamente nell'art. 178, lettera b, cod. proc. pen., che concerne, appunto, la costituzione e rappresentanza dell'ufficio di accusa.
3.2. Con il secondo motivo si denunzia violazione di legge in relazione agli artt. 25, comma 2, cost., 7 CEDU e 49 CDFUE. La difesa nel giudizio di primo grado aveva sostenuto l'insussistenza del reato ovvero l'impossibilità di rimuovere un rimprovero penale all'imputato stante l'imprevedibilità del mutamento giurisprudenziale in malam partem con riguardo all'art. 615 ter cod. pen. Il ricorrente ha in proposito richiamato i principi affermati dalle Sezioni Unite, per cui integra il delitto previsto dall'art. 615-ter, secondo comma, n. 1, cod. pen. la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l'accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita (Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, Rv. 27106101). Prima di tale pronunzia alcune decisioni della Suprema Corte avevano ritenuto non integrato il delitto in argomento allorquando l'agente risultava in possesso delle credenziali per accedere alle informazioni contenute nel sistema, non risultando, per l'appunto, violato il sistema telematico "protetto". Deduce allora il ricorrente che le condotte oggetto di imputazione sono state poste in essere tutte prima della suindicata pronunzia delle Sezioni Unite, sicché si pone un problema di prevedibilità della decisione giudiziale nel caso concreto ovvero di colpevolezza dell'imputato. Aggiunge quindi che il principio di colpevolezza impone all'ordinamento nel suo complesso di astenersi dal punire un soggetto che abbia ignorato il contenuto del precetto penale, in presenza di non risolti contrasti giurisprudenziali sulla sua portata. Secondo la giurisprudenza di Strasburgo, "prevedibile" non deve essere solo la generica illiceità della condotta ma anche la sua specifica rilevanza penale.Nel caso di specie, quindi, manca la prevedibile illiceità del fatto in considerazione della circostanza che autorevole giurisprudenza, al momento della commissione delle condotte ascritte all'NO, riteneva insussistente il delitto di cui all'art. 615 ter cod. pen. Aggiunge altresì il ricorrente che a difettare, in maniera ancora più evidente, è la prevedibilità della decisione in ordine alla quantità di pena che poteva essere inflitta, posto che la legge 121 del 1981 (art. 12) prevede la punibilità con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, rispetto alla pena irrogabile dal delitto per cui è sentenza (punito con la reclusione fino a 8 anni). La prevedibilità della decisione si ripercuote anche in tema di "esecuzione della pena", dal momento che l'imputato avrebbe potuto beneficiare della sospensione condizionale della pena ovvero dell'esclusione del fatto per particolare tenuità, ex art. 131 bis cod. pen.
3.3. Sempre con il secondo motivo il ricorrente chiede che i fatti siano riqualificati ai sensi della fattispecie di cui all'art. 12 della legge 121 del 1981, asserendo che i giudici di merito non hanno correttamente valutato la documentazione prodotta dall'imputato all'udienza del 21 settembre 2018 e, in particolare, la scheda informativa del sistema di sicurezza della Banca dati Interforze del 7 ottobre 2005. L'imputato, al momento dell'immissione in possesso dell'userid per l'accesso al sistema informatico risultava informato in ordine all'utilizzo del sistema nei limiti di cui al citato documento. Si legge in particolare nell'ultimo punto "che l'utente è pienamente conscio delle responsabilità nei confronti della salvaguardia della riservatezza delle informazioni contenute nella predetta Banca dati e delle sanzioni previste dalle disposizioni attualmente in vigore se, per dolo ovvero per colpa, comunichi ovvero faccia uso indebitamente di tali dati, in violazione dei principi di legge". Quindi l'imputato era informato in ordine all'utilizzo del sistema in questione nei limiti di cui sopra. Sostiene quindi il ricorrente che inconferente è il dato motivazionale secondo cui l'imputato era stato sottoposto a specifico corso di formazione, quindi consapevole dei limiti dell'utilizzo del sistema. Ed invero, una cosa è la formazione all'uso del sistema, altra la consapevolezza dell'utilizzo dei dati appresi ed i limiti connessi allo stesso utilizzo. In