Cass. pen., sez. III, sentenza 14/11/2023, n. 12760

CASS
Sentenza
14 novembre 2023
0
0
05:06:40
CASS
Sentenza
14 novembre 2023

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Massime1

Il giudice di appello che, nel riformare una decisione di condanna, riduce la pena detentiva inflitta in primo grado, determinandola entro il limite di quattro anni previsto per l'applicazione delle pene sostitutive di cui all'art. 20-bis cod. pen., è tenuto a motivare specificamente l'insussistenza delle condizioni per l'applicabilità delle stesse in virtù della disciplina transitoria prevista dall'art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nel caso in cui non formuli l'avviso ex art. 545-bis cod. proc. pen.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 14/11/2023, n. 12760
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12760
Data del deposito : 14 novembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

1 12760-24 R C A REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE PUBBLICA UDIENZA del Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 14 novembre 2023 Dott. Gastone ANDREAZZA Presidente SENTENZA N..1872 Dott.ssa Donatella GALTERIO Consigliere Consigliere rel. Dott. Andrea GENTILI Dott. Alessio SCARCELLA Consigliere REGISTRO GENERALE Dott. Antonio CORBO Consigliere n. 22161 del 2023 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: TI RT, nato a [...] il [...]; avverso la sentenza n. 189 della Corte di appello di Milano del 12 gennaio 2023; letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Luigi ORSI, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, in conformità con quanto statuito da questa Corte con sentenza n. 325357 del 2023; letta, altresì, la memoria di replica della difesa dell'imputato del 6 novembre 2023. 1 RITENUTO IN FATTO Con sentenza del 12 gennaio 2023, la Corte di appello di Milano ha confermato quanto alla affermazione della penale responsabilità dell'imputato, la sentenza del 18 febbraio 2021 con la quale il Gup del Tribunale di Milano, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva condannato TI RT alla pena, allora ritenuta di giustizia, in relazione ad una serie di delitti di natura tributaria da lui commessi, in esecuzione di un identico disegno criminoso nella veste di legale rappresentante sia, fino alla data del 30 maggio 2016, della Comu Srl che de L'etage Srl, consistenti: nella emissione, finalizzata a consentire a terzi l'evasione dalle imposte, di più fatture per operazioni inesistenti;
nell'omesso versamento di somme da lui dovute nei confronti dell'Erario, realizzato tramite la indebita compensazione di inesistenti crediti per Iva da lui vantati egualmente verso l'Erario, per un importo superiore ad euri 50.000,00; nell'inserimento nelle dichiarazioni fiscali da lui redatte nella qualità di legale rappresentante de L'etage srl di fatture passive, emesse dalla Comu Srl, relative ad operazioni inesistenti;
il tutto con la aggravante della recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale. La Corte territoriale ha, peraltro, ritenuto di dovere riformare, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza emessa nel primo grado di giudizio, riducendo la pena inflitta da anni 4 e mesi 4 di reclusione, oltre accessori, a AV quella di anni 3, mesi 2 e giorni 20 di reclusione, salvo il resto. Avverso detta sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia del TI, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi: a) errata applicazione della legge penale per avere la Corte di appello affermato la sussistenza del reato di cui all'art. 10-quater del dlgs n. 74 del 2000, avendo ritenuto penalmente rilevante la indebita compensazione di debiti, sebbene questi avessero natura diversa da quella prettamente tributaria (si trattava, infatti, di debiti relativi a contribuzioni di carattere assistenziale e previdenziale), in contrasto coi principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in base ai quali, invece, era stata sancita l'irrilevanza penale di tale condotta;
b) errata applicazione della legge penale per avere la Corte omesso di dare avviso alla parte della facoltà di sostituire la pena principale con le pene sostitutive in base all'art. 20-bis cod. pen., nonché per avere omesso la motivazione in ordine al diniego della ammissione alla esecuzione delle sanzioni sostitutive ai sensi della legge n. 689 del 1981 nel testo ora vigente a seguito delle modifiche ad essa apportate con la entrata in vigore del digs n. 150 del 2022. 2 CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso proposto dalla difesa del prevenuto è solo in parte fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto per quanto di ragione. Inammissibile è, infatti, il primo motivo di impugnazione;
questo è sviluppato con riferimento alla ritenuta mancata integrazione del reato previsto dall'art. 10-quater del digs n. 74 del 2000 in quanto i debiti in relazione ai quali il TI avrebbe operato la indebita compensazione con l'Iva a credito da lui vantata nei confronti dell'Erario non avevano natura tributaria ma previdenziale ed assistenziale. L'assunto su cui si basa la doglianza del ricorrente è manifestamente errato. Come, infatti, questa Corte ha in numerose occasioni affermato, senza che tale indicazione giurisprudenziale appaia contrastata altrimenti che da un unico, ancorché argomentato, precedente (si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione I penale, 13 settembre 2019, n. 38042, nella quale il Collegio allora decidente, pur consapevole dell'isolamento giurisprudenziale nel quale in tal modo esso si andava a relegare, ebbe a sostenere in funzione della collocazione nella topografia normativa della disposizione che oggi, ed allora, si riteneva violata, essendo questa inserita in un microsistema AV dedicato alla disciplina delle sole violazioni tributarie aventi rilevanza penale, ed in funzione della riferibilità dell'art. 13, comma 1, del digs n. 74 del 2000, il quale disciplina una particolare ipotesi di causa di non punibilità per effetto dell'intervenuto adempimento, precedentemente omesso, dell'obbligazione pecuniaria, alle sole ipotesi di omesso versamento di imposte - che il risultato della condotta fraudolenta, ossia l'omesso versamento delle somme dovute attraverso l'indebita compensazione con poste attive non esistenti, potesse riguardare solamente inadempimenti riguardanti le imposte sui redditi e sul valore aggiunto e non già, in assenza di pertinenti specificazioni, inadempimenti di altro genere dei quali l'intero testo del digs n. 74 del 2000 non si occupa), il reato ora in esame riguarda l'omesso versamento di somme di denaro attinenti a debiti, sia tributari che di altra natura, per il cui pagamento debba essere utilizzato il modello di versamento unitario denominato F24 (in tale senso, per citare solamente le pronunzie più recenti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 gennaio 2023, n. 552; Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 giugno 2022, n. 23083; Corte di cassazione Sezione III penale, 28 aprile 2020, n. 13149). 3 Come, infatti, è stato da questa Corte segnalato, in termini che qui si intendono condividere pienamente, la giurisprudenza che ritiene la sussistenza del reato anche in caso di cd. "compensazione orizzontale", cioè nel caso in cui caso l'operazione in questione abbia per oggetto crediti e debito di imposta di natura diversa (così, fra le altre: Corte di cassazione, Sezione I penale, 12 ottobre 2021, n. 37985), ravvisa la ratio della disposizione in esame nella necessità di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano in realtà nell'omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio di imposta mediante l'indebito ricorso al meccanismo della compensazione tributaria, ossia attraverso la materiale redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo per la non spettanza o per l'inesistenza del credito. E' evidente che, in questa prospettiva, l'indebito risparmio di imposta che la norma incriminatrice tende a colpire non può essere limitato al mancato versamento delle imposte dirette o dell'Iva, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo previdenziale e assistenziale, il cui mancato pagamento, attraverso lo strumento della compensazione effettuata utilizzando crediti tributari inesistenti o non spettanti, determina per il contribuente infedele un analogo risparmio di imposta;
risponde, dunque, del AV reato ex art. 10-quater del digs. n. 74 del 2000 non solo, come è pacifico, chi omette di versare imposte dirette o l'Iva utilizzando indebitamente in compensazione crediti concernenti altre imposte o crediti di natura previdenziale, ma anche chi si avvalga di analogo artificio per evitare di corrispondere tali ultime imposte ovvero contributi dovuti ad enti di previdenza. La norma in esame, in altri termini, si presta a reprimere l'omesso versamento di somme di denaro attinente a tutti i debiti, sia tributari, sia di altra natura, per il cui pagamento deve essere utilizzato il modello di versamento unitario, con la conseguenza che sono sottoposti a tale disciplina sia le compensazioni di debiti afferenti ad Iva o ad imposte sui redditi con altri tributi e contributi dovuti sia le compensazioni di questi ultimi tributi e contributi con crediti Iva e imposte dirette, potendo venire in rilievo, sul lato attivo o passivo del rapporto obbligatorio, qualunque tributo o contributo che possa essere opposto in compensazione secondo le norme generali. Tale conclusione è confortata anche dal tenore letterale della fattispecie incriminatrice che non richiede, al fine dell'integrazione del reato, il dolo specifico di evasione d'imposta, né limita l'oggetto dell'omesso versamento (il testo normativo, infatti, richiama in termini generali "le somme dovute" senza alcuno specifico riferimento alla causale delle somme dovute) a quelle dovute a titolo di imposta. Né rileva, in senso contrario, come invece ritenuto da questa Corte con la citata sentenza n. 38042 del 2019, la speciale causa di non punibilità del pagamento del debito tributario di cui all'art. 13, comma 1, del digs n. 74 del 2000, che, secondo l'orientamento ora avversato, sarebbe disciplinata in termini incompatibili con obblighi di natura diversa da quella tributaria, perché, parificando le tre fattispecie di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater del medesimo decreto, costituirebbe una conferma del fatto che anche quella regolata dall'art. 10-quater punirebbe, come le altre due, sempre e solo l'omesso versamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. In realtà, il richiamato art. 13, comma 1, del digs n. 74 del 2000 si limita

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi