Cass. pen., sez. II, sentenza 02/03/2023, n. 09039
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMAnel procedimento a carico di: P FABIO nato a GALATINA il 14/12/1968 MARONI PASQUALE nato a ORIA il 16/04/1965 avverso la sentenza del 16/02/2022 del TRIBUNALE di ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE S D'A che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio. Uditi i difensori avv.ti N D per M e T A per P che chiedono dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.1 II Tribunale di Roma, con sentenza in data 16 febbraio 2022, dichiarava non doversi procedere per prescrizione nei confronti di P Fabio e M Pasquale in ordine ai reati di formazione fittizia del capitale, truffata tentata e consumata, turbata libertà degli incanti. Il tribunale perveniva a tale conclusione dopo avere non ammesso il pubblico ministero alla modifica della contestazione. 1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il pubblico ministero presso la procura della Repubblica di Roma lamentando l'abnormità dell'atto con il quale il tribunale non aveva ammesso la nuova contestazione che .trovava fondamento Della circostanza del . sopravvenuto fallimento della società degli imputati. 1.3 Con memoria depositata in cancelleria la difesa del P chiedeva dichiararsi l'inammissibilità del ricorso deducendo non sussistere i presupposti per la declaratoria di abnormità. CONSIDERATO IN DIRITTO 2.1 Ai fini della decisione del ricorso avanzato dal pubblico ministero di Roma avverso la sentenza che dichiarava non doversi procedere per prescrizione sul presupposto della non ammissione della modifica della contestazione richiesta dalla pubblica accusa ex art. 516 cod.proc.pen., devono essere svolte alcune considerazioni sul tema del mezzo di impugnazione proponibile avverso tale provvedimento. Deve infatti essere evidenziato che in tema di provvedimento del giudice del dibattimento che neghi la modifica dell'imputazione ad opera del pubblico ministero possono verificarsi due distinte ipotesi a seconda che il giudice provveda poi con sentenza sull'imputazione originaria ovvero disponga diversamente la restituzione degli atti al P.M.. Nel primo caso non appare sussistere l'abnormità dell'atto posto che alcuna stasi processuale si verifica;invero si è già affermato che il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiara inammissibile la contestazione suppletiva effettuata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 517 cod. proc. pen., per quanto erroneo (essendo il pubblico ministero "dominus" dell'azione penale ed il giudice conseguentemente carente del potere di sindacato preventivo in materia) non può tuttavia qualificarsi come abnorme e, dunque, non è immediatamente impugnabile con il ricorso per cassazione;non si tratta, infatti, di provvedimento dal quale derivi una situazione processuale non diversamente risolubile se non con il gravame predetto, e ciò in quanto, avendo il giudice l'obbligo di provvedere in ordine al nuovo capo di imputazione, la sentenza emessa all'esito del dibattimento può essere utilmente impugnata dalla parte pubblica per l'omessa pronuncia sul punto (Sez. 2, n. 5180 del 05/11/1999, Rv. 215184 - 01). In motivazione detta pronuncia richiama altro precedente analogo secondo cui attesa l'attribuzione al Pubblico Ministero, nel vigente sistema processuale, del ruolo di "dominus" esclusivo dell'azione penale, il giudice del dibattimento non può esercitare alcun sindacato preventivo sull'amnnissibilità di contestazioni modificative (fatto diverso) o aggiuntive (fatto nuovo), effettuate ai sensi degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 3063 del 13/07/1995 Rv. 202982 - 01). Diverso è invece il caso in cui il giudice del dibattimento oltre a non consentire la modifica dell'imputazione abbia restituito gli atti al pubblico ministero poiché, in questo caso, sussiste l'abnormità in relazione alla stasi processuale venutasi a determinare;per tale seconda evenienza la giurisprudenza ha esattamente stabilito che è abnorme, e come tale ricorribile per cassazione, il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento disponga la trasmissione degli atti al P.M., inibendogli l'esercizio dell'azione penale attraverso la facoltà di modificare o integrare l'imputazione, a norma degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 37577 del 15/10/2010, Rv. 248539 - 01).Successivamente si. è ancora ribadito che, è abnorme il provvedimento con cui il giudice, erroneamente qualificando il "fatto diverso" come "fatto nuovo", neghi l'autorizzazione alla sua contestazione e disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per la mancanza di consenso dell'imputato, costituendo il provvedimento estrinsecazione di un potere che, pur essendo previsto in astratto dall'ordinamento, è esercitato in una situazione radicalmente diversa da quella contemplata dalla legge (Sez. 4, n. 10157 del 20/10/2020, Rv. 280948 - 01). Ne deriva pertanto che la ricognizione della giurisprudenza in tema di negazione da parte del giudice del dibattimento della modifica dell'imputazione ad opera del p.m. consente di distinguere i casi in cui si sia proceduto sull'imputazione originaria e pronunciata sentenza, per i quali vanno proposti gli ordinari mezzi di impugnazione contro la sentenza avente ad oggetto l'originaria imputazione e l'ordinanza precedente che neghi la modifica ex art. 516 cod.proc.pen. da quelli in cui, invece, si sia disposta la restituzione degli atti al p.m. che possono effettivamente integrare un'ipotesi di atto abnorme. La suddetta conclusione appare imporsi alla luce del chiaro disposto dell'art.586 cod.proc.pen. secondo cui "quando non è diversamente stabilito dalla legge, l'impugnazione contro le ordinanze emesse... nel corso del dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione contro la sentenza. L'impugnazione è tuttavia ammissibile anche se la sentenza è impugnata soltanto per connessione con l'ordinanza". Ne deriva affermarsi che, secondo il chiaro disposto normativo, quando l'illegittimità di una pronuncia è dedotta in relazione e—connessione alla illegittimità di una ordinanza emessa nel corso dello stesso procedimento, l'unico mezzo di impugnazione ammesso è l'impugnazione attraverso l'appello o il ricorso per saltum della stessa sentenza. E tale principio vale anche nel caso di ordinanza del giudice del dibattimento che, negando la modifica dell'imputazione al pubblico ministero procedente, abbia poi delibato sull'imputazione originaria, non sussistendo ragioni per uno statuto delle impugnazioni differente posto che anche in tal caso può dedursi l'illegittimità del provvedimento che definisce il giudizio in connessione con la nullità dell'ordinanza non amnnissiva della modifica dell'imputazione. Dovendosi procedere all'applicazione dei sopra esposti principi al caso di specie, va ritenuto che, poiché a seguito del provvedimento di rigetto della modifica dell'imputazione proposta dal pubblico ministero, il tribunale di Roma provvedeva con sentenza di non doversi procedere sull'originaria imputazione, ci si trova nel primo catalogo di casi, per i quali cioè, l'organo dell'accusa può proporre impugnazione con i mezzi ordinari lamentando la nullità della sentenza che ha definito il grado in ragione dell'illegittimità dell'ordinanza che ha negato la modifica dell'imputazione.
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