Cass. civ., sez. II, sentenza 22/04/2003, n. 6393

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Le norme sopravvenute in corso di giudizio che modifichino la giurisdizione e la competenza trovano applicazione anche nei giudizi pendenti se tale giurisdizione o competenza venga, per l'effetto, attribuita ai giudici dinanzi ai quali la causa pende, ovvero dinanzi ai quali la causa stessa dovrebbe essere ripresa o riassunta se fosse dichiarato che, al momento della domanda, essi mancavano della giurisdizione o della competenza che hanno esercitato (principio affermato con riferimento a controversia nella quale si disputava originariamente se le domande rientrassero nella competenza per valore del tribunale ovvero del pretore e, nelle more, erano entrate in vigore le norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 22/04/2003, n. 6393
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 6393
Data del deposito : 22 aprile 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S M - Presidente -
Dott. D J R - Consigliere -
Dott. S G - rel. Consigliere -
Dott. S G - Consigliere -
Dott. D C S - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A P, A L, A G, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA COSSERIA

5, presso lo studio dell'avvocato E R, che li difende unitamente all'avvocato M B, giusta delega in atti;



- ricorrenti -


contro
A A, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DEL BABUINO

48, presso lo studio dell'avvocato F P, che lo difende unitamente all'avvocato E A, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 58/00 della Corte d'Appello di BRESCIA, depositata il 28/01/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/12/02 dal Consigliere Dott. G S;

udito per il ricorrente l'Avvocato P G per delega dell'Avv. R E, depositata in udienza, che ha chiesto l'accoglimento;

udito l'Avv. F P, difensore del resistente, che ha chiesto rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto RUSSO che ha concluso per accoglimento del secondo motivo, rigetto nel resto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 29.1.98, il tribunale di Crema in composizione collegiale, respinta l'eccezione d'incompetenza per valore sollevata dai convenuti, accoglieva la domanda di divisione d'un piccolo appezzamento di terreno proposta da A A assegnando allo stesso una superficie di 175,5 mq. mentre la rimanente porzione assegnava pro indiviso, stante la loro richiesta congiunta, agli altri condividenti Paolina, Luigi e Giuseppe Avaldi. Costoro proponevano avverso tale decisione gravame che, resistito dalla controparte, veniva respinto dalla corte d'appello di Brescia con sentenza 28.1.00. Vi si riteneva, infatti, che la pur riscontrabile originaria incompetenza per valore del primo giudice non potesse allo stato sortire effetto alcuno a seguito della sopravvenuta soppressione dell'ufficio pretorile, non potendosi per ragioni di logica rimettere la causa allo stesso giudice ne' potendosi affermare il principio della perpetuatio iurisdictionis espressamente derogato dalle disposizioni transitorie della normativa di riforma delle competenze;

che il bene dividendo fosse da considerare comodamente divisibile in due soli lotti, avendo i convenuti chiesto l'assegnazione congiunta delle loro porzioni, giacché tale soluzione non comportava ne' una costituzione di servitù ne' una riduzione del valore dei singoli lotti;
che nessuna censura potesse essere fondatamente sollevata in ordine alla stima, il valore del bene essendo stato determinato dal CTU in accordo con i CTP;
che le spese fossero state correttamente accollate, secondo il principio della soccombenza ed in deroga al principio della divisione pro quota, alla parte che, con le proprie contestazioni, aveva reso necessaria la soluzione giudiziale del conflitto;
che, in fine, le domande proposte in via subordinata non fossero ammissibili ex art. 342 CPC per difetto di specificità. Avverso tale decisione Paolina, Luigi e Giuseppe Avaldi proponevano ricorso per Cassazione con tre motivi cui facevano seguire memoria. Resisteva A A con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti - denunziando violazione delle norme sulla competenza in relazione all'art. 115 CPC - si dolgono che la corte territoriale sia incorsa in grave errore di rito disattendendo i principi sulla competenza, per i quali la causa doveva essere decisa in primo grado dal pretore, ed abbia fornito della propria decisione di non annullare l'impugnata sentenza, dopo averne riconosciuto il vizio, una motivazione contraddittoria ed irragionevolmente gravosa in punto di spese.
Il Motivo non merita accoglimento.
La corte territoriale ha correttamente convalidato, per effetto dello ius superveniens, la sentenza di primo grado, pronunciata dal giudice allora incompetente e che secondo la legge vigente all'epoca della pronunzia era sicuramente invalida, in forza dell'efficacia sanante dei mutamenti di diritto sopravvenuti nel corso del giudizio, quale è stata più volte riconosciuta da questa Corte (Cass. 516/99, 5299/97, 5450/96 con riguardo alla giurisdizione e Cass. 5279/01, 2450/01, 3474/97 con riguardo alla competenza, le prime nello specifico).
La convalidazione della giurisdizione e della competenza in forza della legge sopravvenuta, è stata affermata nelle dette pronunzie anche nel vigore della nuova formulazione dell'art. 5 CPC introdotta dall'art. 2 della L 26.11.90 n. 353 per evidenti ragioni d'economia processuale, in quanto quelle stesse ragioni che hanno indotto, proprio con la nuova formulazione dell'art. 5, ad escludere la rilevanza dello ius superveniens nell'inversa ipotesi di giudice correttamente adito che diverrebbe incompetente in forza di norma sopravvenuta, sono ravvisabili anche nel caso in cui la medesima norma attribuisca la competenza al giudice già investito della causa che ne fosse stato originariamente sfornito.
Diversamente opinando, l'inutile dispendio d'attività processuale risulterebbe evidente, giacché nel caso in cui, come nella specie, il giudice d'appello avesse ritenuto che, al momento di proposizione della domanda, la competenza s'apparteneva al pretore e non al tribunale irritualmente adito e, per tal motivo, avesse annullato la pronunzia, avrebbe dovuto nel contempo statuire necessariamente sulla competenza nell'attualità e, quindi, rimettere, comunque, la causa, per una nuova decisione, al medesimo giudice, in quanto divenuto ormai giudice unico di primo grado, che su di essa s'era già pronunziato.
D'altronde, la convalida del difetto di giurisdizione per effetto dello ius superveniens è stata recepita dall'ordinamento ed istituzionalizzata con l'art. 8 della L. 31.5.95 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, a norma del quale la giurisdizione del giudice italiano sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo. Nè, con l'affermare il riportato criterio interpretativo dello ius superveniens, si viene a derogare al principio generale dell'irretroattività della legge processuale, dacché vien solo dato atto che, decidendosi allo stato attuale dell'organizzazione degli uffici giudiziari, l'invalidità dell'impugnata pronunzia, derivante dall'originaria incompetenza del giudice, non trova più concreta possibilità di correzione a seguito della soppressione dell'ufficio giudiziario che avrebbe dovuto decidere secondo la legge in vigore al tempo della proposizione della domanda. La soluzione adottata neppure suscita dubbi di legittimità costituzionale in relazione all'art. 25 della Carta Fondamentale, in quanto, come già evidenziato dalla surrichiamata Cass. 2450/01, la Corte Costituzionale, con le sentenze 10.12.81 n. 185 e 16.7.87 n. 268 ha già avuto occasione d'affermare che il principio di precostituzione del giudice naturale non può venire esasperato "sino ad implicare una sorta di ibernazione dei criteri dettati per la competenza e per la giurisdizione, essenziale essendo che la eventuale mutazione non resti affidata alla mera discrezionalità del giudice".
Con il secondo motivo i ricorrenti - denunziando violazione degli artt. 91 CPC e 789 CC nonché manifesta contraddittorietà - si dolgono che la corte territoriale abbia fatto loro carico delle spese del procedimento divisorio invece di ripartirle tra i condividenti.
Il motivo non merita accoglimento.
È principio pacifico che nei giudizi di divisione debbano essere poste a carico della massa le spese necessarie a condurre nel comune interesse il giudizio alla sua conclusione e valgano, per contro, i principi generali sulla soccombenza nella condanna alle spese che, secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito, siano state rese necessarie da eccessive pretese od inutili resistenze, id est dall'ingiustificato comportamento processuale della parte. Nella specie, gli odierni ricorrenti, con la loro domanda d'assegnazione dell'intero compendio e con la loro resistenza alla domanda di divisione in natura proposta dalla controparte - domanda, d'altronde, conforme alla disposizione dell'art. 718 CC, che riconosce il diritto del condividente ad ottenere una quota parte dei beni comuni, rispetto al quale la disposizione dell'art. 720 CC si pone con carattere d'eccezionalità - hanno posto in essere un comportamento processuale che, stante la soccombenza tanto in primo quanto in secondo grado, s'è rivelato ingiustificato ed ha anche determinato la necessità di spese ultronee, particolarmente di consulenza sulla pretesa non comoda divisibilità dell'immobile, onde la loro condanna alle spese risulta del tutto conforme a diritto.
Con il terzo motivo i ricorrenti - denunziando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione - si dolgono che la corte territoriale abbia erroneamente ritenuto comodamente divisibile l'immobile in controversia.
Il motivo non merita accoglimento.
Anzi tutto, devesi considerare che il motivo di ricorso per Cassazione con il quale alla sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione ex art. 360 n. 5 CPC dev'essere inteso a far valere, a pena d'inammissibilità ex art. 366 n. 4 CPC in difetto di loro specifica indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi;
non può, invece, essere inteso, come nella specie, a far valere la non rispondenza della valutazione del materiale probatorio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità d'apprezzamento degli elementi di esso, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame.
Devesi, inoltre, considerare come, allorché sia denunziato, con il ricorso per Cassazione ex art. 360 n. 5 CPC, un vizio di motivazione della sentenza impugnata, della quale si deducano l'incongruità e/o l'insufficienza delle argomentazioni svoltevi in ordine alle prove, per asserita omessa od erronea valutazione delle risultanze processuali, sia necessario, in ottemperanza al principio d'autosufficienza del ricorso - posto al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo, tra l'altro, anche sulla decisività degli elementi di giudizio assuntivamente non valutati od erroneamente valutati - che il ricorrente indichi puntualmente ciascuna delle risultanze istruttorie alle quali fa riferimento e ne specifichi il contenuto mediante loro sintetica ma esauriente esposizione ed, all'occorrenza, integrale trascrizione nel ricorso, non essendo idonei all'uopo il semplice richiamo agli elementi di giudizio acquisiti nella fase di merito e la prospettazione del valore probatorio di essi quale inteso soggettivamente dalla parte in contrapposizione alle valutazioni effettuate dal giudice di quella fase con la sentenza impugnata in ordine al complesso delle acquisizioni probatorie e/o a quelle di esse ritenute rilevanti ai fini dell'adottata decisione.
Nella specie, la censura ex art. 360 n. 5 CPC, già non intesa a contestare la ratio decidendi ma a prospettare una diversa interpretazione delle risultanze della consulenza tecnica, estranea alle valutazioni rimesse al giudice della legittimità e per ciò solo inammissibile, neppure risulta adeguatamente specifica in ordine alle risultanze istruttorie delle quali denunzia l'erronea od insufficiente valutazione, e tale inottemperanza al principio d'autosufficienza del ricorso per Cassazione ne è ulteriore motivo d'inammissibilità.
Dall'esame di quanto dedotto non è dato, infatti, desumere quali siano state, specificamente, le conclusioni particolari e complessive alle quali è pervenuto il consulente - giacché esse risultano indicate genericamente e/o solo parte di esse prese in considerazione, non essendone riportato l'integrale contenuto bensì una frammentaria ricostruzione, basata sull'estrapolazione di talune componenti o sulla prospettazione per riassunto del loro significato quale da parte ricorrente soggettivamente inteso - cosicché, avulse dal loro contesto e dal complesso delle emergenze istruttorie e collegate con altri singoli elementi del pari riassunti od estrapolati, vengono utilizzate al fine d'estrarne significati verosimilmente favorevoli alle tesi sostenute dalla parte stessa, ma non risultano, all'evidenza, suscettibili d'adeguato riscontro e, quindi, costituiscono elementi di giudizio inidonei a fornire qualsivoglia supporto al controllo di questa Corte sulla decisività d'un eventuale loro riesame ai fini d'una soluzione dei punti salienti in controversia difforme da quella adottata dal giudice a quo.
Non senza tenere, comunque, nel debito conto che la motivazione fornita dal detto, giudice all'assunta decisione risulta adeguata e per nulla contraddittoria, basata com'è su considerazioni logiche ed esaurienti laddove, rilevando che l'immobile in discussione è, come accertato in sede di consulenza, agevolmente divisibile in due lotti senza che ciò determini la creazione di servitù od un deprezzamento dei singoli lotti, consequenzialmente conferma la pronunzia di primo grado con la quale, sulla base di analoghe considerazioni, era stata disposta la divisione;
un giudizio, dunque, operato nell'ambito dei poteri discrezionali del giudice del merito ed a fronte del quale, in quanto obiettivamente immune dalle censure ipotizzabili in forza dell'art. 360 n. 5 CPC, la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente è inidonea a determinare le conseguenze previste dalla norma stessa.
Ovviamente nessun ingresso in questa sede possono, poi, avere le argomentazioni circa l'interesse dei ricorrenti a conseguire l'immobile nella sua interezza e non una quota parte di esso pari alle loro porzioni congiunte, non solo perché trattasi di ragioni extragiuridiche di nessun rilievo che avrebbero dovuto, se mai, indurre i ricorrenti stessi, in sede di merito, a rinunziare alla domanda d'attribuzione congiunta od a condizionarla all'attribuzione dell'intero, ma anche perché dall'impugnata sentenza, che sul punto non è stata assoggettata a specifica censura per omessa pronunzia ex art. 112 CPC, non risalta che tali ragioni siano state prospettate in detta sede, onde non ne è consentita la valutazione nel giudizio di legittimità.
Poiché, infatti, introducono temi di dibattito completamente nuovi, implicando accertamenti in fatto non acquisiti agli atti e decisione su elementi di giudizio pure in fatto che non hanno formato oggetto di contraddittorio nella fase di merito, stanti la natura ed i limiti del giudizio di legittimità, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza impugnata in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto nello stesso già proposte, non possono essere prese in considerazione. In proposito questa Corte ha avuto ripetutamente occasione d'evidenziare come i motivi del ricorso per Cassazione debbano investire, a pena d'inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano già formato oggetto di gravame e che siano, dunque, già comprese nel thema decidendum del giudizio di secondo grado quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti, mentre non è consentita, a parte le questioni rilevabili anche d'ufficio, la prospettazione di questioni che modifichino la precedente impostazione difensiva ponendo a fondamento delle domande od eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nella fase di merito o questioni di diritto fondate su elementi di fatto nuovi o diversi da quelli dedotti in detta fase.
Nessuno degli esaminati motivi meritando accoglimento, il ricorso va, dunque, respinto.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

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