Cass. civ., sez. V trib., sentenza 24/10/2008, n. 25670

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Ai fini della determinazione dell'imposta di successione, l'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario non implica alcuna deducibilità delle passività diversa da quella ordinaria prevista per l'accettazione pura e semplice dagli artt. 6 e 7 del d.P.R. n. 637 del 1972; per converso, la responsabilità dell'erede beneficiato è limitata dall'art. 46, secondo comma, del d.P.R. citato, che rinvia all'art. 490 cod. civ., dunque alle risultanze dello stato di graduazione divenuto definitivo - che come tale si impone anche all'Amministrazione finanziaria, in quanto creditore dell'erede - assumendo peraltro esso esclusivo rilievo per determinare il valore dei beni in concreto pervenuti al predetto erede, così da permettere la sola fissazione della "cifra" costituente il limite della sua responsabilità per l'imposta di successione, che è obbligazione propria e personale dell'erede.

In tema di accettazione dell'eredità con beneficio di inventario, il divieto di promuovere procedure esecutive, posto a carico dei creditori dall'art. 506, primo comma, cod. civ. (una volta eseguita la pubblicazione di cui all'art. 498 cod. civ.), non esclude che i creditori stessi possano procurarsi un titolo giudiziale di accertamento o esecutivo e dunque procedano verso l'erede con le opportune azioni, valendo tale titolo nella procedura di liquidazione predetta, ove il relativo credito può trovare soddisfazione nell'eventuale residuo; l'erede contro il quale sia stato formato un titolo esecutivo che lo condanni in qualità di erede beneficiato, pur se tenuto al pagamento non oltre il valore dei beni a lui pervenuti (ex art. 490, secondo comma, n. 2, cod. civ.), per potersi esonerare dal pagamento deve dimostrare non che l'asse ereditario sia stato originariamente insufficiente a coprire la passività, bensì che lo stesso è rimasto esaurito nel pagamento di creditori presentatisi in precedenza. (Principio reso con riguardo ad una pretesa fiscale, ritenuta non azionabile dalla sentenza impugnata in cui la commissione tributaria aveva erroneamente negato che l'ufficio creditore potesse domandare alcunché per non aver fatto opposizione allo stato di liquidazione ed ivi ottenuto una riforma dello stesso).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 24/10/2008, n. 25670
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 25670
Data del deposito : 24 ottobre 2008
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P G - Presidente -
Dott. D'ALONZO Michele - rel. Consigliere -
Dott. B S - Consigliere -
Dott. B G A - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(1) MINISTERO dell'ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro tempore;

e
(2) AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, entrambi domiciliati in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12 presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che li rappresenta e li difende;

- ricorrenti -

contro
(1) G A M;

(2) G C;

(3) G B, tutti elettivamente domiciliati, nel giudizio di appello, in Martina Franca (TA) alla Via Verdi n. 69 presso l'avv. CARAMIA Vitantonio, che li rappresentava e difendeva in quel grado;

- intimati -

avverso la sentenza n. 40/28/04 depositata il "10 marzo 2004 dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, notificata il 22 aprile 2004;

Udita la relazione svolta nella Udienza pubblica del giorno 11 marzo 2008 dal Cons. Dott. D'ALONZO Michele;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D N W, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato (nel domicilio eletto) il 21 giugno 2004 a G A M, a G C ed a G B (depositato il 5 luglio 2004), il MINISTERO dell'ECONOMIA e delle FINANZE e l'AGENZIA delle ENTRATE, - premesso che: (2) "ricorrendo" avverso l'"avviso del 22 novembre 1989" con il quale il competente Ufficio aveva liquidato "in L., 30. 1.73. 000" i "tributi successori, INVIM ed ipocatastale" dovuti, per la successione di "Grotta Grazia recte, Ciotta)", deceduta il 21 aprile 1986, "la parte" aveva dedotto (oltre "un'ipotetica decadenza... respinta dalla C.T.P. e non riproposta...") che esso Ufficio aveva "illegittimamente non considerato il passivo";
(2) avverso "l'avviso integrativo del 19 gennaio 1990", con il quale l'Ufficio aveva chiarito che "il passivo era escluso perché non documentato", gli eredi avevano opposto (a) che essi non rispondevano "dei debiti ereditari" perché avevano accettato l'eredità con beneficio d'inventario, (b) che "era in corso la procedura concorsuale di liquidazione dell'attivo che avrebbe ostato alla liquidazione... del tributo" e (c) che "non era esigibile la prova delle passività";
(3) "nel 1995" l'Ufficio aveva emesso "un terzo avviso... in palese decadenza" ("riconosciuta con nota 28 aprile 2004"), in forza di un solo motivo, chiedevano di cassare (con refusione delle spese) la sentenza n. 40/28/04 depositata il 10 marzo 2004 dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia (notificata il 22 aprile 2004) la quale, previa riunione, aveva respinto gli appelli dell'Ufficio avverso le decisioni (17/05/97, 18/05/97 e 19/05/97) con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Taranto - risultando "dallo stato di graduazione", non opposto dall'Ufficio, (a) "l'accantonamento di L. 55 milioni per tributi" e (b) "l'entità del passivo" - aveva annullato tutti, i predetti tre avvisi.
Nessuno degli intimati svolgeva attività difensiva. MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale - premesso che: (1) "Ciotta Grazia" era deceduta "in Martina Franca il 21 aprile 1986";
(2) gli eredi avevano accettato "l'eredità con beneficio di inventario" il 20 ottobre 1986 ed avevano presentato "denuncia di successione" il 17 aprile 1987;
(3) "l'inventario veniva iniziato il 20 gennaio 1981 e completato il giorno successivo";
(4) "lo stato di graduazione" formato dal "notaio incaricato" era stato pubblicato "l'otto giugno 1993 sul F.A.L. previo accantonamento della somma di L. 55 milioni in ragione dell'avviso di accertamento notificato il 17 novembre 1989 dall'Ufficio del Registro che deduceva una imposta di L. 30.113.000 considerati gli eventuali importi per sovrattasse ed interessi";
(5) l'Ufficio aveva emesso il 19 gennaio 1990 "altro avviso di liquidazione di importo uguale al precedente sul presupposto che non potevano essere ammesse le passività perché non documentate" ed il 19 maggio 1995 "ulteriore avviso di liquidazione di imposta suppletiva per L. 39.961.000" - ha disatteso l'appello osservando:
- l'"eccezione" dell'Ufficio secondo cui "gli eredi debbano considerarsi semplicemente come tali in quanto di fatto non erano in bonis nel momento di apertura della successione e quindi di accettazione con beneficio di inventario nel termine più breve ex art. 485 c.c.", "non è assolutamente proponibile in questa sede essendo stata legittimamente espletata e conclusa la procedura in sede civile";
peraltro "l'Amministrazione non aveva neanche in quella sede il potere di dedurre una diversa situazione di fatto degli eredi spettando esclusivamente al giudice la valutazione e l'esame dell'avvenuto rispetto dei presupposti di ammissibilità" per cui "pare... singolare che ancora in sede di appello si motivi la censura circa il fatto che gli eredi vivano in Martina per dimostrare che fossero in bonis";

- "l'Ufficio insiste su una pretesa che è assolutamente inaginabile" atteso che:
(a) "l'avviso di liquidazione suppletivo in data 19 maggio 1995 è stato notificato ben oltre il termine triennale di decadenza fissato dal D.P.R. n. 637 del 1972, art. 34, con decorrenza dalla dichiarazione di successione presentata il 27 aprile 1987", riguardando "detto termine... tanto l'imposta principale che la suppletiva";

(b) "la procedura civile sull'accettazione con beneficio di inventario andava rispettata in quella sede" e l'Ufficio, "come creditore privilegiato", "aveva il diritto - dovere di proporre reclamo ai sensi, dell'art. 501 c.c. avverso lo stato di graduazione effettuato" che "è divenuto "definitivo" perché "ciò non ha fatto": "le somme ivi portate", pertanto, "sono intangibili per i creditori ivi considerati" e "l'Ufficio non può, a seguito di ripensamento od assunto di mancanza di documentazione che doveva rilevare a suo tempo e nella sede idonea, notificare anni dopo un ulteriore avviso di liquidazione" ("... la pubblicazione sul FAL, risale all'otto giugno 1993 e la richiesta di liquidazione suppletiva al 19 maggio 1995").
Il giudice di appello, infine, osserva:
- "lo stato di graduazione, allorché sia divenuto definitivo, vincola tutti i creditori a quanto ivi stabilito e quindi anche l'Amministrazione" (la quale "avrebbe potuto intervenire a suo tempo con la procedura del reclamo") "in relazione alla imposta di successione";

- non "è possibile un' azione nei confronti degli eredi nei limiti dell'attivo perché questa, che è triennale, è prevista solo per i creditori che non si sono presentati";

- lo "stato di liquidazione... è l'unico, irrevocabilmente tale, il quale contempla e staggisce nel tempo le passività della eredità" e "non oltre può essere chiesto da chiunque non abbia fatto opposizione e non abbia ottenuto una sentenza definitiva di riforma dello stesso".

2. Con il proprio ricorso le amministrazioni pubbliche denunziano "violazione D.P.R. n. 637 del 1972, art. 46, comma 2, artt. 501 e 502 c.c., artt. 53 e 97 Cost., art. 112 c.p.c." adducendo che la
Commissione Tributaria Regionale:
(1) ha confuso l'"accertamento" con la "riscossione" non considerando che un'"eredità... passiva" non esclude il potere dell'Ufficio di "accertare le imposte";

(2) ha violato l'art. 112 c.p.c. perché non ha esaminato la deduzione secondo cui l'accertamento del "passivo successorio" nella procedura di liquidazione non può portare all'annullamento dell'intero avviso del 1990 in quanto questo contiene anche "INVIM e... tributo ipocatastale" i quali sono insensibili al "passivo ereditario".
Le ricorrenti aggiungono che l'Ufficio non aveva nessun motivo di impugnare l'accantonamento contenuto nello stato di graduazione, perché questo si riferiva alla sola imposta di successione per la quale l'accantonamento stesso era "sufficiente", ed osservano che il "bilancio" dello "stato di graduazione" (che non "staggisce" le passività) "non accerta i crediti con forza di giudicato ma la cifra che può essere distribuita e gli aventi diritto".

3. Il ricorso deve essere accolto perché fondato.
A. La sentenza impugnata, in seguito alla riunione processuale operata dalla Commissione Tributaria Regionale, ha ad oggetto le impugnazioni di tre avvisi (notificati, rispettivamente, il 17 novembre 1989, il 19 novembre 1990 ed il 19 maggio 1995) decise con distinte sentenze depositate il 12 settembre 1997 dalla Commissione Tributaria Provinciale. Nel ricorso per Cassazione le amministrazioni ricorrenti danno espressamente atto della legittimità dell'annullamento (per intervenuta decadenza dell'Ufficio all'emissione dello stesso) dell'ultimo avviso per cui il relativo punto della decisione di appello deve ritenersi coperto dal giudicato interno. Identico irreversibile effetto di giudicato, per mancata impugnazione della relativa statuizione, poi, copre anche l'"eccezione", sollevata dall'Ufficio innanzi ai giudici del merito, di decadenza degli eredi dall'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario. B. La riprodotta sequenza "temporale" di notifica degli atti impositivi evidenzia la pendenza delle controversie relative ai primi due avvisi quando (8 giugno 1993) è stato pubblicato nel FAL lo "stato di graduazione" di cui all'art. 499 c.c.. C. Stanti le precedenti precisazioni, la sentenza impugnata - per la quale (in sintesi) "l'Amministrazione avrebbe potuto (recte, dovuto) intervenire a suo tempo con la procedura del reclamo" perché, essendo lo "stato di liquidazione... l'unico, irrevocabilmente tale, il quale contempla e staggisce nel tempo le passività

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