Cass. pen., sez. I, sentenza 20/07/2018, n. 34341
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CUCH ENZO nato il 29/11/1949 a BRUGNERA avverso la sentenza del 17/09/2015 della CORTE APPELLO di TRIESTEvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere G R Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore L T che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito il difensore avvocato C P del foro di PORDENONE in difesa di CUCH ENZO che conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Trieste confermava quella del Tribunale di Pordenone di condanna di C E alla pena di anni tre e mesi due di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata aggravante per il delitto di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1 e 223 commi 1 e 2 legge fallimentare, 2634 cod. civ. e 219 legge fallimentare. Secondo l'imputazione, C, in qualità di amministratore unico della Edil Europe s.r.I., con sede di Pordenone, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Pordenone del 14/5/2008, aveva commesso più fatti di bancarotta: aveva concorso a cagionare il dissesto della società, commettendo fatti in violazione dell'art. 2634 cod. civ. e, abusando del doppio ruolo di amministratore della Edil Europe e della EFI Immobiliare s.r.I., aveva acconsentito a contratti di appalto con formulazione decisamente sfavorevole per le Edil Europe, che avevano permesso un abbattimento dei crediti verso la EFI;inoltre non aveva fatturato, e quindi non aveva addebitato alla EFI la somma di euro 334.000 relativa al saldo di lavori eseguiti dalla Edil Europe (fatto sub A);aveva distratto beni della società, disponendo a favore di se stesso la restituzione di finanziamenti per oltre euro 30.000 (fatto sub C) e, infine, aveva distratto altri beni della società, disponendo, senza delibera assembleare, il pagamento in favore del figlio C Vanni, già uscito dalla società a partire dal 27/1/2006, di un importo a titolo di emolumenti (fatto sub D). L'appellante aveva contestato che il mancato addebito di costi per lavori eseguiti nell'anno 2002 avesse determinato il dissesto della società, che si era manifestato solo nel 2007 e aveva sostenuto che il mancato addebito era conseguenza del mancato completamento dei lavori, tanto che il curatore fallimentare non aveva agito per il recupero delle somme;il mancato completamento dei lavori era stato eccepito anche con riferimento all'omesso recupero della somma di euro 334.000 relativa al contratto di appalto in un altro cantiere. In ogni caso, l'appellante aveva contestato la sussistenza del delitto di cui all'art. 2634 cod. civ.. L'appellante aveva sostenuto di avere restituito alla società le somme di cui aveva disposto il rimborso e aveva indicato elementi che facevano ritenere che i finanziamenti non fossero in conto capitale. Le somme erano state versate al figlio per attività lavorativa prestata a favore della società. La Corte territoriale osservava che il Curatore, pur riferendo che l'insolvenza della società si era manifestata nel 2007, aveva individuato tra le cause del fallimento anche le operazioni e le scelte aziendali svolte nel periodo precedente, tra cui l'omessa richiesta di pagamento di crediti ,che avevano determinato un progressivo deterioramento degli equilibri economico - finanziari. Era irrilevante la circostanza che i lavori non fossero terminati, perché la mancata riscossione di crediti riguardava costi sostenuti dalla società poi fallita, e non compensi. Il mancato completamento dei lavori non era stato dimostrato dalla difesa con riferimento alla mancata riscossione della somma di euro 334.000;non era credibile la fattura n. 44 del 2007, emessa dallo stesso C in stato di conflitto di interessi. Non era vero che il Curatore avesse escluso che i lavori erano stati ultimati;in realtà, dalla documentazione risultava che la società fallita non aveva chiesto il pagamento della somma senza alcuna motivazione. Il Curatore aveva promosso il recupero del credito, ottenendo decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ma aveva abbandonato l'azione per incapienza del patrimonio della debitrice. La retrocessione dei rimborsi a favore della società, sostenuta dalla difesa, non era affatto provata dal libro giornale di contabilità. Quanto alla natura dei finanziamenti, la circostanza che le somme versate lo fossero in un conto finanziamento temporaneo non aveva alcun valore, trattandosi di un dato formale deciso dallo stesso imputato. Il finanziamento doveva essere considerato in conto capitale secondo la dizione del novellato art.2467 cod. civ., in quanto risultava un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto ovvero una situazione finanziaria della società che rendeva ragionevole un conferimento. Si trattava, comunque, di distrazione e non di pagamento preferenziale. I versamenti del socio erano di capitale di rischio, atteso che, all'epoca degli stessi, la società era in forte perdita e avrebbe dovuto essere capitalizzata o, in alternativa, sciolta e cancellata dal registro delle imprese. Sussisteva il dolo generico di bancarotta per distrazione, atteso che i versamenti e i rimborsi erano avvenuti pochi mesi prima del fallimento della società. Infine, non risultava affatto che i versamenti disposti in favore del figlio dell'imputato fossero stati effettuati per la prestazione di attività lavorativa da parte sua, tanto che nemmeno il beneficiario, nel rispondere alla curatela, aveva indicato tale causale. Non esistendo alcun rapporto di lavoro subordinato, secondo la prospettazione difensiva le prestazioni lavorative sarebbero state effettuate "in nero";del resto, le testimonianze assunte non consentivano di ritenerle provate. 2. Ricorreva per cassazione il difensore di fiducia di C E, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. Con riferimento al fatto contestato sub A (condotta assunta nel doppio ruolo di amministratore della società fallita e della EFI Immobiliare), il ricorrente osservava che l'addebito alla EFI di costi inferiori a quelli effettivi non era idoneo a cagionare alcun danno né una diminuzione del patrimonio della creditrice a meno che il credito non fosse andato disperso. In sostanza, il credito era ancora esistente e esigibile. Il ricorrente osserva, tuttavia, che nel 2002 (epoca dei lavori in questione) la Edil Europe s.r.l. non era in stato di dissesto, tanto che era stata dichiarata fallita solo sei anni dopo. In dibattimento, il Curatore aveva confermato che l'insolvenza si era manifestata verso la fine del 2007 in conseguenza del mancato pagamento degli stati di avanzamento lavori da parte delle Costruzioni Basso. La Relazione del Curatore fallimentare riferiva di un lento deterioramento dell'equilibrio finanziario della società in conseguenza di crediti non riscossi, ma negava che lo stato di insolvenza si fosse manifestato prima del 2007. D'altro canto, i lavori per i quali la EdilEurope non aveva addebitato interamente i costi alla EFI, iniziati nel 2002, non erano stati ultimati, cosicché la EFI ben avrebbe potuto opporre l'eccezione di inadempimento di fronte alla richiesta di corresponsione del crediti per i costi. Il mancato addebito della somma di euro 334.000, relativa alle opere di un altro cantiere, non emergeva affatto dalla contabilità della società fallita;il credito era stato dedotto dal Curatore Fallimentare sulla base della differenza tra il prezzo stabilito nel contratto di appalto e quanto corrisposto dalla committente per gli stati di avanzamento lavori maturati. La condanna era stata pronunciata, quindi, per il comportamento omissivo dell'imputato. Ma la Edil Europe avrebbe potuto chiedere il pagamento della somma solo se i lavori fossero stati terminati: circostanza non provata dall'accusa, mentre la difesa dell'imputato aveva fornito elementi da cui dedurre il mancato completamento;in effetti, la società fallita aveva già emesso fattura per il saldo per chiusura lavori in quel cantiere;inoltre, il Curatore fallimentare aveva dichiarato e ribadito non risultargli che la Edil Europe avesse completato i lavori;né la circostanza era indicata nella Relazione. In sostanza, la Corte territoriale aveva travisato la prova fornita dalle relazioni e dalla testimonianza del curatore, ritenendo che egli avesse attestato il completamento dei lavori, mentre, al contrario, aveva certificato solo il loro inizio. La Corte territoriale, comunque, avrebbe dovuto adottare il principio della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Inoltre, l'art. 2634 cod. civ. non punisce condotte omissive, ma solo condotte attive;ancora una volta, comunque, l'omissione non aveva prodotto alcun danno alla società fallita, perché il credito era ancora esistente, tanto che il Curatore l'aveva azionato, mentre il delitto è un reato di danno. Con riferimento al fatto sub C (restituzione di un finanziamento disposto nell'anno precedente al fallimento), il ricorrente osserva che, mentre il Tribunale aveva qualificato la condotta come bancarotta preferenziale, la Corte territoriale l'aveva, invece, ricondotta alla fattispecie di bancarotta fraudolenta, con ciò violando l'art. 111 della Costituzione e violando il diritto di difesa dell'imputato. La nuova qualificazione è, comunque, errata, perché la restituzione del finanziamento non depauperava il patrimonio della società fallita, ma alterava la par condicío dei creditori. Nel merito, non vi era prova che i finanziamenti erogati dall'imputato alla Edil Europe fossero in conto aumento di capitale e perciò non restituibili;al contrario, vi erano numerosi elementi che indicavano che i finanziamenti, disposti per somme modeste in più occasioni, avessero lo scopo di sopperire a momentanea carenza di liquidità;per di più, si trattava di somme conferite in un apposito conto denominato "conto finanziamento temporaneo". Infine, quanto al fatto di cui alla lettera D (delibera di versamento di una somma a favore del figlio, già uscito dalla società), il ricorrente sottolinea che i testimoni escussi avevano confermato che il figlio dell'imputato aveva prestato attività lavorativa a favore della società come camionista e muratore. Di conseguenza, le somme - anche se per la prestazione di lavoro subordinato e non come emolumenti spettanti all'amministratore - erano comunque dovute al soggetto, cosicché il reato di bancarotta distrattiva non sussisteva, anche perché la somma non era eccessiva e corrispondeva al compenso per un anno di lavoro. Il ricorrente concludeva per l'annullamento della sentenza impugnata.
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