Cass. civ., sez. V trib., sentenza 22/12/2022, n. 37519
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Testo completo
1. Risulta dalla sentenza impugnata che la controversia ha per oggetto sei avvisi di accertamento emessi nei confronti della L. Group Spa e relativi agli anni d'imposta 2006, 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011, in materia di Ires, Iva ed Irap. La vicenda trova origine in una denuncia per attività penalmente rilevanti presentata dalla Guardia di finanza in data 22 dicembre 2014 e proseguita nel procedimento penale relativo alla fattispecie di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), con riferimento alla sovrafatturazione delle prestazioni rese alla Levco Group Spa dalla associazione sportiva dilettantistica Società pugilistica grossetana, con la quale la prima aveva un rapporto di sponsorizzazione.
Impugnati, con distinti ricorsi, i sei atti impositivi, l'adita Commissione tributaria provinciale di Milano, dopo averli riuniti, li ha accolti solo parzialmente, rideterminando le sanzioni;dando atto della cessata materia del contendere nei limiti degli atti di autotutela parziale emessi dall'Ufficio;e rigettandoli per il resto. Proposto appello dalla contribuente avverso il rigetto parziale dei ricorsi, la Commissione tributaria regionale della Lombardia lo ha parzialmente accolto, con la sentenza di cui all'epigrafe, il cui dispositivo così recita:
"P.Q.M. La Commissione, letti gli atti e visti i documenti prodotti, sentite le parti alla pubblica udienza dell'8 novembre 2017: annulla gli avvisi di accertamento relativi ai periodi di imposta 2006, 2007 e 2008. Dichiara non dovuta la maggiore IVA contestata in merito alle cessioni per l'esportazione per i periodi di imposta dal 2009 al 2011;dichiara non dovute le maggiori imposte dirette e IVA per i periodi d'imposta 2009, 2010 e 2011 relative ad operazioni sottofatturate o non fatturate acquisite sulla base di documentazione contabile o extracontabile dei soggetti non registrati come clienti della società, ad esclusione del maggiore imponibile retraibile da operazioni con la Società Pugilistica Grossetana, rideterminato in diminuzione come segue: maggiore imponibile per Euro 31.790,50 a fini IRES ed IRAP ed Euro 6.358,10 a fini IVA per il 2009;Euro 191.801,87 a fini IRES ed IRAP ed Euro 38.360,18 a fini IVA per il 2010;Euro 97.504,33 a fini IRES ed IRAP ed Euro 19.500,83 a fini IVA per il 2011;dichiara dovute le maggiori imposte dirette e IVA come risultanti dal maggiore imponibile retraibile dalla sovrafatturazione rilevata in relazione alle operazioni poste in essere con la Società Pugilistica Grossetana nei periodi d'imposta 2009, 2010 e 2011 da rideterminarsi a cura dell'Ufficio e, per l'effetto, condanna la società Levco Group Spa al pagamento delle conseguenti maggiori imposte, oltre una sanzione in misura pari alla violazione che comporta la maggiore imposta aumentata del 50 (cinquanta) per cento. Spese compensate".
La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d'appello, affidato a diciotto motivi.
L'Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.
La contribuente ha prodotto controricorso al ricorso incidentale.
2. Nel corso del giudizio di legittimità, la stessa contribuente ha presentato, per ciascuno degli avvisi d'accertamento, domanda di definizione agevolata della controversia, ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, convertito dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136.
L'Amministrazione, in risposta ad ognuna delle domande, ha emesso atti di diniego della definizione, che la contribuente ha impugnato con altrettanti ricorsi. L'Ufficio, a seguito dei ricorsi avverso i dinieghi, non ha depositato controricorsi, ma una nota con la quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine di partecipare eventualmente all'udienza di discussione.
3. In data 20 giugno 2022 questa Corte ha emesso il decreto presidenziale n. 19798 del 2022, con il quale ha dichiarato l'estinzione del giudizio dopo aver "rilevato che entro il 31 dicembre 2020 nessuna delle parti ha presentato l'istanza di trattazione di cui al citato D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 13 (tale non potendosi ritenere l'eventuale istanza di trattazione finalizzata unicamente alla declaratoria di estinzione), ne´ risulta intervenuto diniego della definizione, poi impugnato;che, pertanto, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, tale comma 13 il processo si è estinto con il decorso del termine del 31 dicembre 2020, fatta salva la possibilità per le parti di chiedere la fissazione dell'udienza ai sensi dell'art. 391 cod. proc. civ., comma 3".
Con istanza di fissazione d'udienza ex art. 391 c.p.c., comma 3, del 28 giugno 2022, depositata in via telematica, la contribuente ha chiesto di fissare l'udienza di trattazione del ricorso, deducendo che entro il 31 dicembre 2020 erano invece intervenuti non solo gli atti di diniego della definizione relativi a tutte le domande concernenti tutti gli avvisi d'accertamento per cui è causa;ma anche i rispettivi ricorsi della contribuente contro tutti tali dinieghi, ciascuno dei quali conteneva anche esplicita domanda subordinata di trattazione del merito del ricorso per cassazione, nel caso in cui non fosse stato accolto il ricorso avverso ciascun diniego e la controversia non fosse stata pertanto dichiarata estinta per l'intervenuta definizione agevolata.
E' stata fissata la trattazione dei ricorsi tutti (ciascuno dei quali ha mantenuto il n. r.g. 18333/2018, attribuito all'originario ricorso per cassazione) per l'udienza pubblica odierna.
L'Amministrazione non ha depositato atto di resistenza ulteriore relativamente all'istanza di controparte ex art. 391 c.p.c., comma 3, del 28 giugno 2022.
Motivi della decisione
1. E' preliminare la verifica della sussistenza dei presupposti dell'estinzione del processo dichiarata, con il decreto de quo, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 13, e art. 391 c.p.c..
Infatti, "In tema di giudizio di cassazione, l'art. 391 c.p.c., comma 3, come novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 15 nel prevedere che il decreto presidenziale di´ estinzione del processo abbia efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chieda la fissazione dell'udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione, attribuisce alle parti in causa, che non ritengano esaustivo il provvedimento presidenziale di estinzione emanato a seguito della rinunzia, la possibilità di chiedere alla Corte di pronunciarsi sulla controversia, senza imporre l'onere di indicare i motivi di tale richiesta. Tale disposizione, infatti, non configurando un rimedio di carattere impugnatorio, consente alle parti di chiedere il passaggio ad una fase successiva per un esame completo della controversia, nell'ambito della quale la Corte può valutare se l'istanza di estinzione sia stata correttamente emanata oppure, in caso contrario, procedere all'esame del ricorso per cassazione" (Cass. 06/07/2009, n. 15817;conformi Cass. 12/02/2010, n. 3352;Cass. 21/11/2011, n. 24433;Cass., S. Un., 23/09/2014).
L'istanza di trattare il merito della controversia, proposta dalla contribuente, è fondata, risultando per tabulas che prima della scadenza del termine del 31 dicembre 2020 erano intervenuti tanto i dinieghi della definizione che le loro impugnazioni da parte della società, con ricorsi che non solo hanno il valore legale anche di istanze di trattazione, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, ridetto art. 6, comma 13 ma esplicitavano anche direttamente la volontà della ricorrente in tal senso, in subordine all'eventuale conferma del diniego.
Va quindi revocato il decreto dichiarativo dell'estinzione del giudizio.
2. In via ulteriormente preliminare, devono essere esaminati i ricorsi della contribuente averso gli atti di diniego della definizione agevolata, che possono trattarsi congiuntamente, per la sostanziale conformità degli stessi ricorsi e dei dinieghi rispettivamente impugnati.
Al riguardo, deve preliminarmente darsi atto che, come questa Corte ha già rilevato (Cass. 14/09/2021, n. 24652;Cass. 22/01/2021, n. 36037;in termini Cass. 18/10/2021, n. 28598), "il ricorso avverso il diniego alla definizione agevolata è sicuramente ammissibile, a norma del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 12 secondo cui "il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia", atteso che la dizione legislativa è chiara nell'attribuire alla Corte di cassazione, per le liti pendenti in fase di legittimità, la competenza in unico grado con pienezza di giudizio, e, quindi, anche per motivi di merito, sul provvedimento adottato dall'Amministrazione sulla domanda di definizione. L'ammissibilità del ricorso diretto alla Corte di cassazione avverso il provvedimento di diniego della definizione della lite fiscale pendente è stata, infatti, affermata da questa Corte già con la sentenza n. 15847 del 12 luglio 2006 (con riguardo alla L. n. 289 del 2002, art. 16), sia dalla successiva pronuncia n. 25095 del 26 novembre 2014, con riferimento al D.L. n. 98 del 2011, art. 39, che prevede che l'impugnazione va proposta "dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la lite" (in senso conforme, Cass., sez. 5, 30/11/2018, n. 31049;Cass., sez. 5, 3/05/2019, n. 11623). (...) Peraltro, la decisione sul diniego di condono si pone in "stretto rapporto di pregiudizialità" rispetto a quella concernente l'atto impositivo. Infatti, come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 1518 del 27 gennaio 2016, "Il condono fiscale....costituisce una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un'analisi delle varie componenti ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata" e, pertanto, la definizione agevolata, incidendo sul rapporto sostanziale e processuale tra il contribuente e il fisco, assume carattere logicamente prevalente su quest'ultimo".
2.1. Con il primo motivo di ogni ricorso la contribuente censura ciascun diniego della definizione agevolata in quanto sarebbe privo di motivazione o comunque dotato di motivazione solo apparente.
Il motivo è infondato.
Infatti il diniego è corredato di motivazione, logica e comprensibile, nella quale l'Ufficio ha rilevato, per ogni domanda di definizione, che la contribuente ha dichiarato di aver già versato in pendenza di giudizio l'intera somma dovuta ai fini della definizione, sebbene lo stesso importo che essa assume già versato corrisponda a somme delle quali la medesima società ha chiesto la restituzione, con l'introduzione del giudizio di ottemperanza r.g.n. 865/2019 (diretto all'attuazione della medesima sentenza d'appello qui impugnata), e che sono state rimborsate dall'Amministrazione, con conseguente istanza di cessazione della materia del contendere, formulata dalla contribuente in quel procedimento d'ottemperanza.
Pertanto, non potendosi considerare, ai fini della definizione agevolata, come versati in pendenza di giudizio anche gli importi chiesti in rimborso, oggetto del predetto giudizio d'ottemperanza e restituiti, l'Amministrazione ha denegato il beneficio, riscontrando che difettava totalmente o parzialmente (relativamente agli anni d'imposta 2009, 2010 e 2011, rispetto ai quali solo una parte delle somme già versate era stata effettivamente rimborsata) l'indicazione ed il versamento, da parte della contribuente, dell'importo effettivamente dovuto per il perfezionamento dell'agevolazione.