Cass. pen., sez. V, sentenza 17/05/2021, n. 19321
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a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da P M F nato a TRIESTE il 09/11/1953 avverso la sentenza del 18/09/2018 della Corte di Appello di TRIESTEvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere M T B ;udito il Procuratore Generale della Corte di cassazione, T E, che ha concluso per l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari e per l'inammissibilità, nel resto. udito l'avvocato L R, difensore dell'imputato, il quale si è riportato ai motivi del ricorso insistendo per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Trieste, all'esito della integrazione istruttoria, costituita dall'escussione di testi non esaminati dal Tribunale, e previa riqualificazione di un fatto di bancarotta distrattiva in preferenziale, ha confermato la decisione del Tribunale di Udine, che aveva riconosciuto M F P responsabile di più fatti di bancarotta distrattiva e documentale, commessi quale amministratore di fatto della società Agos, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Udine dell'Il ottobre 2011. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del difensore, il quale svolge quattro motivi. 2.1. Con i primi due motivi denuncia violazione dell'art. 2746 c.c. e correlato vizio della motivazione, per avere la Corte territoriale affermato la responsabilità del P quale amministratore di fatto della società fallita attraverso una motivazione circolare e comunque travisando l'esito della prova dichiarativa, da cui possono, invece, solo trarsi elementi riferibili alla attività di legittimo controllo esercitata dall'imputato sugli atti gestori nella sua qualità di commercialista dell'azienda. Si duole che la Corte territoriale abbia omesso di valutare un elemento decisivo, ovvero due missive, prodotte dalla difesa, provenienti dal coimputato, amministratore formale, nelle quali emerge chiaramente la estraneità del P alla decozione della società. 2.2. Con il terzo e quarto motivo si denunciano analoghi vizi con riferimento agli artt. 216 L.F. e 43 cod. pen., lamentando che la Corte territoriale, dopo avere individuato nel ricorrente l'amministratore di fatto della fallita, lo ha ritenuto responsabile dei plurimi fatti distrattivi ascrittigli, senza fornire la dovuta motivazione in punto di elemento soggettivo, e senza tenere conto dei continui finanziamenti effettuati in favore della società dal P. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.11 ricorso non è fondato. Tuttavia, la Corte deve rilevare la illegalità delle pene accessorie fallimentari, ex art. 216 u.c. I.f., applicate ex lege come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata ( art. 20 cod.pen.), nonché l'avvenuta prescrizione del reato di bancarotta preferenziale. 1.1.Quanto alle pene accessorie, è noto che, con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 216 u.c. I.f. nella parte in cui dispone: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni la inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziché: « la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa la inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni.» La sostituzione della cornice edittale operata dalla citata pronuncia, determina la illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino comunque nel "nuovo" parametro, posto che il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale. In -2) aderenza all'insegnamento contenuto nella sentenza Sez. U., n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207, «deve escludersi che possa essere conservata, in quanto legittima, sotto il profilo del principio costituzionale di proporzione tra offesa e pena, la pena determinata in relazione ad una cornice edittale prevista da una norma dichiarata incostituzionale e, quindi, inesistente sin dalla sua origine». L'illegalità sopravvenuta della previsione della durata delle pene accessorie impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio, al fine di consentire al giudice di merito di stabilire la durata delle pene accessorie;giudizio che, implicando valutazioni discrezionali, è sottratto al giudice di legittimità. Nella necessità di dovere individuare un criterio al quale il giudice del rinvio dovrà attenersi nella rideterminazione della durata della pena accessoria, non più fissa (dieci ), ma indicata solo nel massimo, si osserva che, le Sezioni Unite, successive alla predetta declaratoria di incostituzionalità, hanno affermato che le pene accessorie previste dall'art. 216 legge fallimentare, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, così come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di sui all'art. 133 cod.pen." ( Sez. U - , n. 28910 del 28/02/2019, SURACI, Rv. 276286).
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