Cass. civ., sez. III, ordinanza 29/05/2023, n. 15074

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, ordinanza 29/05/2023, n. 15074
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15074
Data del deposito : 29 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 30597/2020 R.G. proposto da: AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore generale, domiciliata in

ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, rappresentata e difesa dall’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587);
-ricorrente-

contro

PORCEDDU LUCIANA, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA DELLA BALDUINA

187, presso lo studio dell’avvocato S A (GMNSFN53C14G770X) che la rappresenta e difende;
-controricorrente- avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma n. 2016/2020 depositata il 22/04/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2023 dal Consigliere M G. Rilevato che: l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Direzione territoriale del Lazio aveva ingiunto a L P il pagamento della somma di euro 60.039,83 per aver occupato sine titulo l’appartamento di sua proprietà sito in Roma, vicolo dei Tabacchi, n. 6, Sc. B, a far tempo dal decesso del coniuge, O A, cui era stato concesso a fini di servizio, avvenuto il 17 agosto 1985;
decesso che aveva fatto venir meno ogni titolo di occupazione dell’immobile;
L P aveva proposto opposizione, deducendo la natura locatizia del rapporto e quindi il suo diritto a succedere al coniuge;
il Tribunale di Roma, con sentenza n. 24002/2009, respingeva l’opposizione, qualificando il rapporto come di “concessione di alloggio”, tenendo conto dell’uso dei termini “concessione”, “concessione amministrativa”, “concessionario”, “revoca della concessione” utilizzati dall’atto sottoscritto in data 15 marzo 1985, riconoscendo all’amministrazione i poteri di autotutela di cui all’art. 823, 2° comma, cod.civ. (artt. 6 e 7 dell’atto), della determinazione del canone in applicazione dell’art. 16 dl n. 546/1981, modificato dalla l. 692/1981 in materia di canoni concessori;
per l’effetto dichiarava il proprio difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 37 cod.proc.civ. a favore del giudice amministrativo;
l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con ordinanza n. 42692 del 23 magio 2013 ingiungeva a L P la somma di euro 67.525,59;
L P conveniva dinanzi al Tribunale di Roma l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per ottenere l’annullamento dell’ordinanza di ingiunzione;
la convenuta chiedeva che il giudice dichiarasse il difetto di giurisdizione del Tribunale di Roma, in subordine, insisteva sulla natura concessoria del rapporto intercorso con O A e sull’occupazione sine titulo dell’immobile da parte di L P;
con sentenza n. 6317/2017 il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione e condannava L P al pagamento delle spese di lite;
la Corte d'Appello di Roma, investita del gravame da L P, con la sentenza n. 2016/2020, riconosceva la natura locatizia del rapporto con O A, sulla scorta di Cass., Sez. Un., n. 14865/2006, perché l’immobile oggetto del rapporto non risultava destinato a un pubblico servizio e perché O A ne aveva ottenuto il godimento per uso esclusivo di abitazione propria e del suo nucleo familiare;
riteneva, quindi, L P succeduta nello stesso e dichiarava inefficace l’ingiunzione di pagamento opposta;
l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ricorre per la cassazione della sentenza n. 2016/2020, formulando tre motivi;
resiste con controricorso L P;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod.proc.civ. il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.

Considerato che:

1) con il primo motivo è dedotto il difetto di giurisdizione ex art. 360, 1° comma, n. 1, cod.proc.civ. e viene lamentato il fatto che la Corte d'Appello non abbia dichiarato, come aveva fatto il Tribunale, il proprio difetto di giurisdizione ex art. 37 cod.proc.civ., in ragione del fatto che le parti avevano qualificato l’atto come concessione di alloggio, avevano usato i termini concessione e concessionario, avevano trattato della revoca della concessione, avevano riconosciuto alla PA i poteri di autotutela di cui all’art. 823, 2° comma, cod.civ., e considerato il canone non determinato sulla scorta della l. n. 392/1978;
il motivo - che può essere deciso in questa sede, in considerazione del f atto che “l'art.374 c.p.c. va interpretato nel senso che, tranne nei casi di im pugnazionedelle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, i ricorsi che pongono questioni di giurisdizione possono essere trattati dalle sezioni semplici allorché sulla regola finale di riparto della giurisdizione ‘si sono già pronunciate le sezioni unite’, ovvero sussistono ragioni di inammissibilità inerenti alla modalità di formulazione del motivo (ad esempio per inosservanza dei requisiti di cui all’art. 366 cod.proc.civ., difetto di specificità, di interesse etc,) ed all’esistenza di un sindacato sulla giurisdizione (esterno o interno, esplicito o implicito), costituendo questione di giurisdizione anche la verifica in ordine alla formazione del giudicato” (così Cass., Sez. Un., 19/01/2022, n. 1599)- è inammissibile;
dall’esposizione del fatto si evince che: a) parte ricorrente, con la comparsa di risposta, che indica prodotta in primo grado come allegato n. 28, aveva dedotto il difetto di giurisdizione dell’a.g.o. e, in subordine, aveva chiesto il rigetto della domanda nel merito per la natura concessoria del rapporto originario e per essere l’attrice opponente occupante senza titolo;
b) il primo giudice – ma della sentenza non viene fornita l’indicazione ai sensi dell’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ. – avrebbe rigettato l’opposizione , ritenendo che l’immobile appartenesse al patrimonio indisponibile in quanto necessario a soddisfare esigenze pubbliche;
se ne trae la conclusione che il Tribunale, avendo reso una decisione dimerito, o ebbe a disattendere l’eccezione di difetto di giurisdizione, expressis verbis ovvero implicitamente, o si astenne dal pronunciare su di essa, incorrendo in omissione di pronuncia, oppure ancora la ritenne –per ragioni ignote e poco comprensibili – assorbita;
nel primo caso e nel secondo caso, per mantenere viva la questione, la difesa erariale, vittoriosa in primo grado, avrebbe dovuto svolgere appello incidentale condizionato;
nel secondo caso, dolendosi della omessa pronuncia;
nel terzo caso – del tutto problematico e nella sostanza inconfigurabile secondo i principi indicati da Cass., Sez. Un., n. 11799 del 2017, perché non è dato comprendere come si possa decidere nel merito reputando assorbita la questione di giurisdizione senza implicitamente affermarla esistente - avrebbe dovuto riproporre l’eccezione ai sensi dell’art. 346 cod.proc.civ.;
invece, rimase contumace in appello;
quale che sia stata l’ipotesi verificatasi, in ogni caso la questione di giurisdizione rimase preclusa e non può ora essere prospettata in questa sede (cfr. Cass., Sez. Un., 9/10/2008, n. 24883, secondo cui la rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento del difetto di giurisdizione "deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo … , della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale ... ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 38 cod. proc. civ. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado;
2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione;
3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità;
4) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito”);
non a caso, la sentenza impugnata non si è affatto occupata della questione di giurisdizione, si è limitata ad alludervi in via del tutto incidentalee, quindi, senza efficacia decisoria, e non si è posta in alcun modo il problema della esercitabilità d’ufficio del potere di rilevarla;
ha alluso alla giurisdizione solo per corroborare la qualificazione della situazione in lite;
quand’anche la sentenza avesse ribadito la giurisdizione del giudice ordinario, quanto viene dedotto nel motivo qui scrutinato, per un verso, è privo di pregio quanto alla invocazione della prima decisione del Tribunale di Roma, sprovvista di efficacia panprocessuale, provenendo da un giudice di merito;
per un altro, le censure mosse alla pronuncia impugnata non si correlano alla sua ratio decidendi e comunque non offrono argomenti per confutarla;
2) con il secondo motivo alla Corte d'Appello viene imputata la violazione o falsa applicazione, ex art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., degli artt. 1, 6, 9, 11, 28 e 30 del Regolamento per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di servizio dei Monopoli di Stato pubblicato il 26 settembre 1988;
oggetto di censura è la statuizione con cui in sentenza è stato affermato il difetto di collegamento tra l’utilizzo del bene e il soddisfacimento delle ragioni di servizio, perché il Regolamento per l’assegnazione degli alloggi di servizio prevedeva una procedura concorsuale, il possesso da parte degli aspiranti assegnatari la permanenza in servizio da almeno due anni alla data del bando alle dipendenze dell’amministrazione dei Monopoli nonché il fatto di prestare servizio stabilmente nel comune di ubicazione dell’immobile e la residenza nello stesso (a prescindere dal fatto che ai fini dell’assegnazione si valutassero, per stilare la graduatoria, anche la composizione del nucleo familiare, il reddito complessivo del nucleo familiare del dipendente), l’approvazione della graduatoria con provvedimento della PA, la stipulazione di un apposito disciplinare, la decadenza dall’assegnazione per cessazione da un anno dal servizio, per trasferimento, per cessazione dell’incarico;
in prima battuta, il Collegio rileva che questo motivo è stato dedotto in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., perché la ricorrente si limita ad indicare il Regolamento di cui lamenta la violazione tra gli allegati al ricorso, omettendo ogni riferimento alla precedente fase di merito, vieppiù necessaria in ragione del fatto che la sentenza impugnata a detto Regolamento non fa cenno;
anche declinato secondo le indicazioni della sentenza
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