Cass. pen., sez. V, sentenza 22/06/2022, n. 24061
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Testo completo
a seguente SENTENZA sui ricorsi proposti: - dalla parte civile GRUPPO FERROVIE DELLO STATO SPA nel procedimento a carico di: CAMMAROTA MASSIMO nato a ROMA il 29/04/1963 DE PAOLIS FRANCO CLAUDIO nato a TORRE D'ISOLA il 18/08/1951 - nonché da: CAMMAROTA MASSIMO nato a ROMA il 29/04/1963 DE PAOLIS FRANCO CLAUDIO nato a TORRE D'ISOLA il 18/08/1951 avverso la sentenza del 16/09/2020 della CORTE APPELLO di ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GRAZIA R A M;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore M F L, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità di tutti i ricorsi;
udito il difensore della parte civile GRUPPO FERROVIE DELLO STATO SPA, avvocato U D B in sostituzione, giusta delega, dell'avvocato N M, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del proprio ricorso, riportandosi alla memoria depositata unitamente alla nota spese;
udito il difensore di FRANCO CLAUDIO DE PAOLIS, avv. S M, che, riportandosi ai motivi di ricorso, ha concluso per l'accoglimento dello stesso;
udito il difensore di MASSIMO sCAMMAROTA, avvocato GIUSEPPE COSENTINO GIUSEPPE che, riportandosi ai motivi di ricorso, ha concluso per l'accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 settembre 2020, la Corte d'Appello di Roma, in riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M C e F C D P per essere estinti per prescrizione alcuni dei reati di cui agli artt. 81 - 48 e 479 cod. pen.;
ha invece assolto gli stessi imputati dai fatti di cui agli artt.81 - 48 e 479 cod. pen. loro contestati ai capi 51) e 56) con la formula "perché il fatto non sussiste".
1.1. In primo grado i due imputati erano stati ritenuti responsabili, nella loro qualità di difensori, del reato di falso ideologico per aver indotto i giudici del lavoro del Tribunale di Roma ad emettere numerose sentenze di condanna delle società del gruppo Ferrovie dello Stato s.p.a., all'esito di procedimenti promossi da vari dipendenti di tali società ex art. 414 cod. proc. civ., producendo lettere interruttive del termine di prescrizione in realtà mai inoltrate;
tali documenti erano stati prodotti nei giudizi corredati da documenti postali relativi ad altre raccomandate, realmente ricevute dalle società resistenti. Secondo l'ipotesi accusatoria i giudici del lavoro erano stati, nell'esercizio delle proprie funzioni, indotti in errore, giacché nella redazione delle relative sentenze attestavano "falsamente fatti dei quali queste ultime sono destinate a provare la verità" ovvero l'avvenuta interruzione del termine di prescrizione;
in particolare, in presenza di eccezione della difesa del resistente, che contestava il mancato ricevimento dell'atto interruttivo del corso della prescrizione e l'intervenuta decadenza, le sentenze di condanna erano state emesse sulla base dell'errato presupposto della tempestività dei ricorsi presentati ai sensi dell'art. 414 cod. proc. civ.. Secondo le sentenze di merito, i giudici del lavoro avevano accolto le domande dei ricorrenti solo a mezzo dell'esame e del rigetto "implicito" della questione preliminare di prescrizione, che logicamente doveva essere apparsa al giudice talmente infondata, a fronte dei documenti che la smentivano, "da non meritare neppure motivazione di sorta" (così la sentenza di primo grado). Gli stessi imputati, invece, erano stati assolti in primo grado dalle condotte contestate a titolo di tentativo di falso ideologico per induzione. In relazione a tali statuizioni era stato proposto appello dalla parte civile, ma l'impugnazione è stata rigettata dalla Corte di appello.
1.2. La sentenza di appello ha confermato le statuizioni civili limitatamente ai reati dichiarati estinti, confermando anche la liquidazione delle provvisionali in favore della parte civile Gruppo Ferrovie Dello Stato s.p.a. Con ordinanza, emessa in data 16 settembre 2020, la Corte territoriale ha proceduto alla correzione di errore materiale della sentenza di primo grado, che, nel dispositivo letto in udienza, riportava l'importo delle spese di assistenza e rappresentanza processuale della parte civile costituita in euro 15.388,90, mentre nel dispositivo allegato alla motivazione le spese venivano liquidate in euro 30.000,00. 2. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso D P, con atto sottoscritto dal difensore avv. S M ed articolato nei seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunziano violazione di legge e correlati vizi motivazionali, con travisamento della prova, in ordine alla natura decennale della prescrizione del diritto fatto valere nei giudizi lavoristici e conseguente erroneo apprezzamento del presupposto in base al quale è stata ritenuta la falsità per induzione delle sentenze che li hanno definiti. I documenti oggetto delle imputazioni devono ritenersi irrilevanti ai fini delle decisioni assunte dai giudici del lavoro, giacché l'interruzione della prescrizione dei diritti fatti valere era avvenuta per effetto di documenti diversi, specificatamente indicati nel ricorso con riferimento ad ogni singolo giudizio. Deduce il ricorrente che, sulle analoghe censure proposte con l'atto di appello, la Corte territoriale ha omesso di motivare. Era decisivo accertare la durata della prescrizione, al fine di determinare se realmente i giudici del lavoro fossero stati indotti in errore dall'imputato nella redazione delle rispettive sentenze dalle lettere ritenute false: ma la sentenza impugnata ha omesso di esaminare e prendere posizione su tale punto decisivo, incorrendo in manifesta carenza motivazionale ed evidente violazione di legge, in quanto soltanto l'errore sulla durata del termine prescrizionale aveva potuto far conferire ai documenti prodotti una incidenza determinante ai fini della pronuncia delle sentenze dichiarate false.
2.2. Con il secondo motivo è denunziata l'erronea applicazione della legge processuale penale e correlati vizi motivazionali in riferimento alla declaratoria di falsità della sentenza del giudice del lavoro che ha definito il ricorso De Piazzi/R.F.I. s.p.a., di cui al n. 5 del capo B) dell'imputazione. La Corte territoriale ha respinto la deduzione difensiva sull'influenza della lettera interruttiva della prescrizione del 16 maggio 2004 ai fini della decisione cui perviene il Giudice del lavoro alla luce delle lettere ulteriori -27.08.99 e 28.10.2002- poiché queste non risultavano essere mai pervenute alla società. Rileva la difesa che, in ossequio all'art. 1335 cod. civ., la missiva deve ritenersi conosciuta nel momento in cui giunge alla sede del destinatario ufficio pubblico, come dimostra l'annotazione sul registro cronologico di ricevimento. Inoltre, le ulteriori lettere del 1999 e del 2002 non sono mai state contestate nel giudizio dalla resistente, né lo sono state dalla parte civile o dal Pubblico ministero nel presente processo. Peraltro, nella specie, è proprio mancata l'attestazione da parte del giudice nella sentenza n. 8206 citata dell'interruzione della prescrizione con la lettera del 16 maggio 2004 e cioè della lettera oggetto del capo di imputazione.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in ordine alla ritenuta falsità delle lettere (datate 15/9/2003, 16/5/2004, 5/4/1999) da cui si è fatta discendere la falsità di alcune sentenze del giudice del lavoro specificamente indicate nel ricorso, giacché nei correlati procedimenti civili la parte resistente non le aveva disconosciute o aveva presentato querela di falso. Il ricorrente ha quindi svolto una serie di specifici rilievi con riferimento alla valutazione delle prove di falsità svolte dai giudici di merito, evidenziandone i profili erronei.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in riferimento alla ritenuta falsità delle sentenze del giudice del lavoro oggetto di imputazione, non potendo essere le stesse considerate conseguenza di induzione ingannatoria. Denunzia, altresì, il ricorrente il vizio di travisamento delle prove in ordine alle ragioni decisorie delle sentenze civili sul punto relativo all'interruzione della prescrizione. Le decisioni dei giudici del lavoro non contenevano affatto l'attestazione che la prescrizione fosse stata interrotta mediante la documentazione prodotta nell'interesse dei ricorrenti - ed in particolare delle lettere in tesi di accusa false-, ma avevano soltanto ritenuto la fondatezza del diritto fatto valere in giudizio dai ricorrenti, senza accertare anche la fondatezza o meno dell'eccezione di prescrizione, in ragione della genericità con cui questa era stata posta o la tardività del rilievo. La prescrizione del diritto azionato nel processo del lavoro (e nel giudizio civile in generale) è rilevabile esclusivamente in forza di eccezione del convenuto e non d'ufficio. Nella specie, manca il presupposto essenziale del reato, ovvero una decisione del giudice che recepisca l'inganno della parte in ordine al fatto costitutivo della pretesa falsità ideologica ex artt. 48-479 cod. pen. Va peraltro considerata, secondo il ricorrente, l'assoluta genericità con la quale in alcuni giudizi la società resistente aveva formulato l'eccezione di prescrizione, attraverso clausole di stile e il mero richiamo all'art. 2948 cod. civ. Inoltre, la Corte territoriale ha travisato i dati probatori con riferimento alla formulazione dell'eccezione di prescrizione e ai correlati provvedimenti di rigetto dei giudici in alcuni procedimenti, nei quali in effetti non erano state fatte contestazioni in ordine al ricevimento delle lettere ovvero le eccezioni erano state formulate in maniera generica.
2.5. Con il quinto motivo (erroneamente indicato come sesto), il ricorrente denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in ordine all'elemento soggettivo del reato. Le lettere, al momento della consegna al ricorrente, risultavano già essere state spedite diversi anni prima
udita la relazione svolta dal Consigliere GRAZIA R A M;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore M F L, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità di tutti i ricorsi;
udito il difensore della parte civile GRUPPO FERROVIE DELLO STATO SPA, avvocato U D B in sostituzione, giusta delega, dell'avvocato N M, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del proprio ricorso, riportandosi alla memoria depositata unitamente alla nota spese;
udito il difensore di FRANCO CLAUDIO DE PAOLIS, avv. S M, che, riportandosi ai motivi di ricorso, ha concluso per l'accoglimento dello stesso;
udito il difensore di MASSIMO sCAMMAROTA, avvocato GIUSEPPE COSENTINO GIUSEPPE che, riportandosi ai motivi di ricorso, ha concluso per l'accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 settembre 2020, la Corte d'Appello di Roma, in riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M C e F C D P per essere estinti per prescrizione alcuni dei reati di cui agli artt. 81 - 48 e 479 cod. pen.;
ha invece assolto gli stessi imputati dai fatti di cui agli artt.81 - 48 e 479 cod. pen. loro contestati ai capi 51) e 56) con la formula "perché il fatto non sussiste".
1.1. In primo grado i due imputati erano stati ritenuti responsabili, nella loro qualità di difensori, del reato di falso ideologico per aver indotto i giudici del lavoro del Tribunale di Roma ad emettere numerose sentenze di condanna delle società del gruppo Ferrovie dello Stato s.p.a., all'esito di procedimenti promossi da vari dipendenti di tali società ex art. 414 cod. proc. civ., producendo lettere interruttive del termine di prescrizione in realtà mai inoltrate;
tali documenti erano stati prodotti nei giudizi corredati da documenti postali relativi ad altre raccomandate, realmente ricevute dalle società resistenti. Secondo l'ipotesi accusatoria i giudici del lavoro erano stati, nell'esercizio delle proprie funzioni, indotti in errore, giacché nella redazione delle relative sentenze attestavano "falsamente fatti dei quali queste ultime sono destinate a provare la verità" ovvero l'avvenuta interruzione del termine di prescrizione;
in particolare, in presenza di eccezione della difesa del resistente, che contestava il mancato ricevimento dell'atto interruttivo del corso della prescrizione e l'intervenuta decadenza, le sentenze di condanna erano state emesse sulla base dell'errato presupposto della tempestività dei ricorsi presentati ai sensi dell'art. 414 cod. proc. civ.. Secondo le sentenze di merito, i giudici del lavoro avevano accolto le domande dei ricorrenti solo a mezzo dell'esame e del rigetto "implicito" della questione preliminare di prescrizione, che logicamente doveva essere apparsa al giudice talmente infondata, a fronte dei documenti che la smentivano, "da non meritare neppure motivazione di sorta" (così la sentenza di primo grado). Gli stessi imputati, invece, erano stati assolti in primo grado dalle condotte contestate a titolo di tentativo di falso ideologico per induzione. In relazione a tali statuizioni era stato proposto appello dalla parte civile, ma l'impugnazione è stata rigettata dalla Corte di appello.
1.2. La sentenza di appello ha confermato le statuizioni civili limitatamente ai reati dichiarati estinti, confermando anche la liquidazione delle provvisionali in favore della parte civile Gruppo Ferrovie Dello Stato s.p.a. Con ordinanza, emessa in data 16 settembre 2020, la Corte territoriale ha proceduto alla correzione di errore materiale della sentenza di primo grado, che, nel dispositivo letto in udienza, riportava l'importo delle spese di assistenza e rappresentanza processuale della parte civile costituita in euro 15.388,90, mentre nel dispositivo allegato alla motivazione le spese venivano liquidate in euro 30.000,00. 2. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso D P, con atto sottoscritto dal difensore avv. S M ed articolato nei seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunziano violazione di legge e correlati vizi motivazionali, con travisamento della prova, in ordine alla natura decennale della prescrizione del diritto fatto valere nei giudizi lavoristici e conseguente erroneo apprezzamento del presupposto in base al quale è stata ritenuta la falsità per induzione delle sentenze che li hanno definiti. I documenti oggetto delle imputazioni devono ritenersi irrilevanti ai fini delle decisioni assunte dai giudici del lavoro, giacché l'interruzione della prescrizione dei diritti fatti valere era avvenuta per effetto di documenti diversi, specificatamente indicati nel ricorso con riferimento ad ogni singolo giudizio. Deduce il ricorrente che, sulle analoghe censure proposte con l'atto di appello, la Corte territoriale ha omesso di motivare. Era decisivo accertare la durata della prescrizione, al fine di determinare se realmente i giudici del lavoro fossero stati indotti in errore dall'imputato nella redazione delle rispettive sentenze dalle lettere ritenute false: ma la sentenza impugnata ha omesso di esaminare e prendere posizione su tale punto decisivo, incorrendo in manifesta carenza motivazionale ed evidente violazione di legge, in quanto soltanto l'errore sulla durata del termine prescrizionale aveva potuto far conferire ai documenti prodotti una incidenza determinante ai fini della pronuncia delle sentenze dichiarate false.
2.2. Con il secondo motivo è denunziata l'erronea applicazione della legge processuale penale e correlati vizi motivazionali in riferimento alla declaratoria di falsità della sentenza del giudice del lavoro che ha definito il ricorso De Piazzi/R.F.I. s.p.a., di cui al n. 5 del capo B) dell'imputazione. La Corte territoriale ha respinto la deduzione difensiva sull'influenza della lettera interruttiva della prescrizione del 16 maggio 2004 ai fini della decisione cui perviene il Giudice del lavoro alla luce delle lettere ulteriori -27.08.99 e 28.10.2002- poiché queste non risultavano essere mai pervenute alla società. Rileva la difesa che, in ossequio all'art. 1335 cod. civ., la missiva deve ritenersi conosciuta nel momento in cui giunge alla sede del destinatario ufficio pubblico, come dimostra l'annotazione sul registro cronologico di ricevimento. Inoltre, le ulteriori lettere del 1999 e del 2002 non sono mai state contestate nel giudizio dalla resistente, né lo sono state dalla parte civile o dal Pubblico ministero nel presente processo. Peraltro, nella specie, è proprio mancata l'attestazione da parte del giudice nella sentenza n. 8206 citata dell'interruzione della prescrizione con la lettera del 16 maggio 2004 e cioè della lettera oggetto del capo di imputazione.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in ordine alla ritenuta falsità delle lettere (datate 15/9/2003, 16/5/2004, 5/4/1999) da cui si è fatta discendere la falsità di alcune sentenze del giudice del lavoro specificamente indicate nel ricorso, giacché nei correlati procedimenti civili la parte resistente non le aveva disconosciute o aveva presentato querela di falso. Il ricorrente ha quindi svolto una serie di specifici rilievi con riferimento alla valutazione delle prove di falsità svolte dai giudici di merito, evidenziandone i profili erronei.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in riferimento alla ritenuta falsità delle sentenze del giudice del lavoro oggetto di imputazione, non potendo essere le stesse considerate conseguenza di induzione ingannatoria. Denunzia, altresì, il ricorrente il vizio di travisamento delle prove in ordine alle ragioni decisorie delle sentenze civili sul punto relativo all'interruzione della prescrizione. Le decisioni dei giudici del lavoro non contenevano affatto l'attestazione che la prescrizione fosse stata interrotta mediante la documentazione prodotta nell'interesse dei ricorrenti - ed in particolare delle lettere in tesi di accusa false-, ma avevano soltanto ritenuto la fondatezza del diritto fatto valere in giudizio dai ricorrenti, senza accertare anche la fondatezza o meno dell'eccezione di prescrizione, in ragione della genericità con cui questa era stata posta o la tardività del rilievo. La prescrizione del diritto azionato nel processo del lavoro (e nel giudizio civile in generale) è rilevabile esclusivamente in forza di eccezione del convenuto e non d'ufficio. Nella specie, manca il presupposto essenziale del reato, ovvero una decisione del giudice che recepisca l'inganno della parte in ordine al fatto costitutivo della pretesa falsità ideologica ex artt. 48-479 cod. pen. Va peraltro considerata, secondo il ricorrente, l'assoluta genericità con la quale in alcuni giudizi la società resistente aveva formulato l'eccezione di prescrizione, attraverso clausole di stile e il mero richiamo all'art. 2948 cod. civ. Inoltre, la Corte territoriale ha travisato i dati probatori con riferimento alla formulazione dell'eccezione di prescrizione e ai correlati provvedimenti di rigetto dei giudici in alcuni procedimenti, nei quali in effetti non erano state fatte contestazioni in ordine al ricevimento delle lettere ovvero le eccezioni erano state formulate in maniera generica.
2.5. Con il quinto motivo (erroneamente indicato come sesto), il ricorrente denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in ordine all'elemento soggettivo del reato. Le lettere, al momento della consegna al ricorrente, risultavano già essere state spedite diversi anni prima
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