Cass. civ., sez. V trib., sentenza 26/04/2017, n. 10285
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Testo completo
1. Con sentenza n. 30323 del 30/12/2011 questa Corte - pronunciando in controversia relativa alla impugnazione proposta da C.E. avverso il silenzio rifiuto opposto dall'amministrazione ad istanza di rimborso delle ritenute operate dal fondo previdenziale denominato F. (in precedenza P.) sulle somme corrisposte al momento della cessazione del rapporto di lavoro come dirigente E. in luogo del trattamento di pensione integrativa - ha accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso la sentenza della C.T.R. della Toscana che, in conformità alla sentenza di primo grado, aveva ritenuto legittimo il diniego.
Richiamando Cass. Sez. U. 22/06/2011, n. 13642, la Suprema Corte ha nell'occasione rilevato che, alla stregua del principio ivi affermato, il meccanismo impositivo di cui alla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 (aliquota del 12,5% sulla differenza tra l'ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) "si applica a coloro che siano iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale F./P.. da epoca antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993 , sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, solo limitatamente agli importi maturati entro il 31/12/2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento finanziario del capitale;per tale intendendosi - ha rimarcato - il "rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato"".
Ha conseguentemente affermato che la C.T.R., nel definire il regime fiscale applicabile, avrebbe "dovuto distinguere, nell'ambito della suddetta somma, la parte derivante dal rendimento maturato fino al 31/12/2000 generato dalla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato (quantificando il relativo importo in base agli investimenti concretamente effettuati dal Fondo sul mercato finanziario alla stregua delle norme contrattuali via via applicabili, e delle plusvalenze con essi realizzati) e applicare a tale parte l'aliquota del 12,5% , secondo il meccanismo impositivo... dettato dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6".
Nel cassare, quindi, con rinvio la sentenza impugnata, la Corte ha espressamente demandato al giudice del merito di accertare - previa disamina dei meccanismi di funzionamento del fondo F./P.. nel corso degli anni - "se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato finanziario, quali siano stati i risultati dell'investimento ed in qual modo sia stata determinata l'assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali" e, quindi, all'esito, di quantificare "la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto maturato fino al 31/12/2000 derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro" e, correlativamente, di "calcolare l'imposta dovuta dal contribuente... applicando solo a tale parte l'aliquota del 12,50% ..., fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 t.u.i.r.".
2. Pronunciando quindi in sede di rinvio la C.T.R. della Toscana, disposta c.t.u. per le indagini richieste dalla sentenza della cassazione, sulla scorta dei relativi esiti determinava il credito restitutorio dovuto dal ricorrente in Euro 174.178,20, del cui rimborso faceva carico all'Agenzia, oltre interessi secondo legge.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate sulla base di due motivi, cui resiste il contribuente depositando controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63 nonchè degli artt. 384, 392 e 394 c.p.c. , in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4, assumendo che la C.T.R. ha deciso la controversia in difformità al principio di diritto enunciato nella sentenza di rinvio.
Rileva che le risultanze della disposta c.t.u., integralmente recepite nella sentenza impugnata, individuano come rendimento cui applicare l'aliquota del 12,5% somme che in realtà non sono o, comunque, non risultano essere frutto dell'investimento sul mercato delle somme accantonate ma piuttosto costituiscono, secondo quanto in vari passaggi rimarcato nella relazione dell'ausiliario, la quota parte proporzionalmente applicata al capitale accantonato della redditività ottenuta sul mercato dell'intero patrimonio dell'E. (rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito).
Soggiunge che il c.t.u. - e conseguentemente anche la C.T.R. - ha omesso di verificare, secondo quanto espressamente richiesto dalla sentenza di rinvio, "se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato finanziario". Osserva che una tale verifica, ove doverosamente riferita alle previsioni contrattuali poste a fondamento del rapporto previdenziale integrativo, avrebbe consentito di rilevare che l'E. S.p.A. era vincolata contrattualmente a corrispondere al dipendente, al compimento del 65^ anno d'età, una prestazione commisurata sia alla retribuzione percepita all'atto della risoluzione del rapporto di lavoro, sia alla pensione erogabile dal sistema previdenziale obbligatorio, e che tale predeterminazione dell'importo della prestazione risultava incompatibile con l'investimento dei capitali affluiti nel fondo sul mercato finanziario, stante la intrinseca natura variabile dei relativi rendimenti.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. , del principio di non contestazione e dell'art. 394 c.p.c. , in relazione all'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. riconosciuto l'applicabilità dell'aliquota del 12,5% sul rendimento che lo stesso contribuente, nel ricorso per cassazione, aveva ammesso essere costituito dalla mera differenza tra l'ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, avendo egli precisato che, nella vigenza della P., l'E. non aveva impiegato i contributi sul mercato finanziario ma si era limitata ad accantonare in bilancio, secondo le tecniche assicurative, la somma presumibilmente necessaria per far fronte agli obblighi derivanti dall'accordo E. -Fn.16 aprile 1986 istitutivo della P..
3. Le censure, congiuntamente esaminabili, sono fondate.
La C.T.R., invero, recependo le conclusioni del c.t.u., il cui contenuto è per ampi stralci testualmente trascritto in ricorso e risulta nella sua parte descrittiva incontestato, ha finito con l'identificare il rendimento tassabile secondo il regime dettato dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 con la "redditività degli accantonamenti effettuati per finanziare la prestazione P.", sul rilievo che la stessa "è stata corrispondente alla redditività ottenuta da E. sul mercato".
Del resto che effettivamente le somme accantonate nel fondo denominato P.I.A. non fossero state investite nel mercato e piuttosto il rendimento da esso assicurato rispondesse a criteri di matematica attuariale, in funzione dei vincoli contrattuali assunti, risulta esplicitamente ammesso anche dal contribuente nel controricorso.
La tesi ivi sostenuta - secondo cui il principio affermato dalle Sezioni Unite andrebbe sezionato distinguendo, da un lato, il fondo P.. (il cui rendimento di polizza sarebbe da ritenere comunque sottoposto al regime fiscale di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 ancorchè non ottenuto attraverso la gestione del capitale accantonato sul mercato) e, dall'altro, il fondo denominato F. (al quale soltanto andrebbe correlato il riferimento al rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato) - oltre a non trovare fondamento nel richiamato arresto delle Sezioni Unite (come appresso sarà ulteriormente precisato), esprime al riguardo una posizione difensiva da considerarsi, comunque, nel caso di specie ormai preclusa dal chiaro e univoco tenore del principio di diritto affermato nella sentenza di rinvio che, sia pur esso stesso richiamando a fondamento quello enunciato dalle Sezioni Unite, ne ha fornito una lettura opposta a quella prospettata dalla parte: lettura che costituisce irretrattabile regola del caso concreto.
Al riguardo, infatti, la sentenza di rinvio ha affermato, senza possibilità di equivoci e senza alcuna distinzione tra accantonamenti nel fondo P.I.A. e accantonamenti nel fondo denominato F., che il meccanismo impositivo di cui alla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 (aliquota del 12,5% sulla differenza tra l'ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) "si applica a coloro che siano iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale F./P. da epoca antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993 , sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, solo limitatamente agli importi maturati entro il 31/12/2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento finanziario del capitale;per tale intendendosi - ha rimarcato - il "rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato"".