Cass. pen., sez. VI, sentenza 30/01/2023, n. 03953
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Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da P P, nato a Bari il 23/05/1972 avverso la sentenza del 26/05/2021 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere E A;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A V, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;
letta la memoria dell'avv. E R, difensore del ricorrente, il quale ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bari confermava la pronuncia di primo grado del 17 giugno 2013 con la quale il Tribunale di Bari aveva condannato P P in relazione al reato di cui all'art. 377, terzo comma, cod. pen., per avere, in Bari il 7 settembre 2012, usato minaccia ai danni di A C - già assunta a sommarie informazioni nel procedimento nel quale il P era stato tratto in arresto per rapina e minaccia, e citata quale testimone nell'instaurato giudizio direttissimo a carico del prevenuto - per indurla a ritrattare e, dunque, a commettere il reato di falsa testimonianza;
in particolare, giunto all'ingresso dell'aula del palazzo di giustizia, notando la C che era stata convocata per l'udienza del giudizio direttissimo, l'imputato le aveva rivolto la frase "quando esco devi morire", il tutto senza riuscire nel proprio intento in quanto il processo si era poi concluso con sentenza di patteggia mento.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il P, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto quattro motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 192 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per contraddittorietà, manifesta illogicità ed apparenza, oltre che per travisamento della prova, per avere la Corte territoriale omesso di indicare gli elementi di prova idonei a dimostrare la materialità della condotta oggetto di addebito, cioè che l'imputato avesse effettivamente pronunciato la frase minacciosa rivolta alla persona offesa così come descritta nel capo d'imputazione.
2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 125 cod. proc. pen., e mancata motivazione, per avere la Corte distrettuale, senza replicare alle censure formulate con l'atto di appello, omesso di illustrare le ragioni per le quali doveva considerarsi sussistente l'elemento psicologico del reato contestato.
2.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 377 cod. pen., per avere la Corte di merito omesso di spiegare per quali ragioni dovesse ritenersi sussistente l'elemento soggettivo del reato addebitato, mancando di indicare gli elementi di conoscenza da cui poter
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere E A;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A V, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;
letta la memoria dell'avv. E R, difensore del ricorrente, il quale ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bari confermava la pronuncia di primo grado del 17 giugno 2013 con la quale il Tribunale di Bari aveva condannato P P in relazione al reato di cui all'art. 377, terzo comma, cod. pen., per avere, in Bari il 7 settembre 2012, usato minaccia ai danni di A C - già assunta a sommarie informazioni nel procedimento nel quale il P era stato tratto in arresto per rapina e minaccia, e citata quale testimone nell'instaurato giudizio direttissimo a carico del prevenuto - per indurla a ritrattare e, dunque, a commettere il reato di falsa testimonianza;
in particolare, giunto all'ingresso dell'aula del palazzo di giustizia, notando la C che era stata convocata per l'udienza del giudizio direttissimo, l'imputato le aveva rivolto la frase "quando esco devi morire", il tutto senza riuscire nel proprio intento in quanto il processo si era poi concluso con sentenza di patteggia mento.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il P, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto quattro motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 192 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per contraddittorietà, manifesta illogicità ed apparenza, oltre che per travisamento della prova, per avere la Corte territoriale omesso di indicare gli elementi di prova idonei a dimostrare la materialità della condotta oggetto di addebito, cioè che l'imputato avesse effettivamente pronunciato la frase minacciosa rivolta alla persona offesa così come descritta nel capo d'imputazione.
2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 125 cod. proc. pen., e mancata motivazione, per avere la Corte distrettuale, senza replicare alle censure formulate con l'atto di appello, omesso di illustrare le ragioni per le quali doveva considerarsi sussistente l'elemento psicologico del reato contestato.
2.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 377 cod. pen., per avere la Corte di merito omesso di spiegare per quali ragioni dovesse ritenersi sussistente l'elemento soggettivo del reato addebitato, mancando di indicare gli elementi di conoscenza da cui poter
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