Cass. civ., sez. V trib., sentenza 17/05/2019, n. 13368
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Testo completo
Che:
1. La società M. ricorre, con quattro motivi, nei confronti del Comune di Trieste per la cassazione della sentenza n. 289/8/2014, depositata il 7.07.2014 e non notificata, con la quale, in controversia concernente l'impugnazione dell'avviso di accertamento contenente la liquidazione dell'ICI, per gli anni di imposta 2004 e 2005, avente ad oggetto gli immobili siti nel porto franco di Trieste, la CTR del Friuli Venezia-Giulia confermava la sentenza del giudice di primo grado, rigettando l'appello proposto dall'ente contribuente, sul presupposto che i cespiti de quibus costituiti da un hangar, un magazzino, molino e silos - erano estranei all'attività portuale, in quanto strumentali all'attività industriale di molitura;
così qualificati essi non potevano godere delle esenzioni doganali e fiscali previste per le operazioni inerenti lo sbarco, imbarco e trasporto di merci nell'ambito del porto franco di Trieste, all'interno del quale sono assentite le attività industriali già esistenti in epoca antecedente alla entrata in vigore del Trattato di Pace di Parigi.
In particolare, i giudici d'appello affermavano che oggetto della controversia non era l'accatastamento dell'immobile, bensì il pagamento dell'imposta.
Resisteva con controricorso l'amministrazione comunale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
Che 2. Con il primo motivo si lamenta la violazione dell'art. 112 c.p.c. ex art. 360 c.p.c., n. 4 per avere i giudici territoriali omesso di pronunciarsi sulla qualifica di operatore portuale della società, alla stregua dei titoli concessori ed autorizzatori emessi dall'ente pubblico, qualifica che autorizza la società Grandi Molini a svolgere l'attività di terminalista connesse a quelle portuali, il che avrebbe dovuto indurre a qualificare il compendio immobiliare di proprietà della ricorrente come una stazione di trasporto marittimo e dunque ad accertare il corretto classamento delle unità immobiliari in categoria "E".
Sostiene la ricorrente che, in quanto titolare dell'autorizzazione a svolgere per conto terzi "le operazioni portuali di sbarco" imbarco, carico ..." e, quindi, della concessione demaniale marittima che le consente di disporre delle aree portuali di Trieste, essa può utilizzare le porzioni del demanio solo per lo svolgimento di dette attività.
A conforto della tesi sostenuta, la società M. evidenzia che dal tenore dei titoli abilitativi emerge che le aree detenute in concessione rappresentano un compendio destinato al traffico marittimo e ad operazioni ad esso strettamente connesse.
3. Con la seconda censura, si lamenta violazione e /o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. B) e del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40 e ss., ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il decidente omesso di considerare che gli immobili oggetto dell'atto impositivo erano classificati in categoria "E" come accertato dalla CTR di Trieste con sentenza n. 311/2014, in quanto stazioni per i servizi di trasporto terrestri e marittimi di cui all'art. 7 cit. che non posseggono autonomia funzionale rispetto agli immobili o ai fabbricati che fanno parte del complesso delle aree del terminal dato in concessione, citando all'uopo le circolari dell'Agenzia del territorio che escludono dall'imposizione Ici i compendi destinati al traffico marittimo.
Al fine, deduce la società che gli immobili per cui è causa non presentano autonomia funzionale rispetto alle altre porzioni immobiliari nè autonomia reddituale, in quanto componenti essenziali del terminal. In particolare, afferma la ricorrente che il mulino sarebbe inutilizzabile per la concessionaria se non facesse parte di un terminal in quanto consente il ricevimento delle merci da lavorare direttamente dalle navi su cui sono trasportate.
4. Con la terza censura, si lamenta la violazione del Trattato di pace di Parigi 10 febbraio 1947, all. VIII, artt. 1-20, nonchè la violazione del decreto del Commissario Generale per il governo per il territorio di Trieste n. 29 del 1955 e, infine, la violazione dell'all. VII, artt. 4, 5 e 9, e del D.Lgs. n. 29 del 1959, art. 7, ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere i giudici territoriali negato l'esenzione dai dazi doganali, tasse e o altri gravami all'interno del Porto di Trieste, benchè la normativa speciale rubricata, rappresentando il recepimento di un obbligo internazionale assunto dall'Italia, prevalga sulle norme nazionali o comunitarie, escludendo l'imposizione di dazi doganali, tasse o altri gravami di effetto equivalente, ad eccezione dei corrispettivi per i servizi resi, nell'ambito delle aree dei porti franchi.
Con la conseguenza che, non essendo l'Ici una imposta correlata ad alcun servizio reso dal