Cass. civ., sez. I, sentenza 23/03/2004, n. 5720
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In tema di diritti e azioni del creditore garantito nei confronti del fideiussore, si applica il termine di prescrizione decennale, previsto dall'art. 2946 cod. civ.
Posto che il diritto del creditore nei confronti del fideiussore non sorge per effetto della mera stipulazione del contratto di garanzia, ma solo alla scadenza dell'obbligazione garantita, il termine di prescrizione del diritto della banca di avvalersi della garanzia fideiussoria prestata per l'apertura di credito in conto corrente deve essere calcolato con decorrenza non dalla data di costituzione della garanzia, ma dalla data in cui il debito garantito è divenuto esigibile per effetto del recesso della banca dall'apertura di credito e, comunque, della chiusura del conto corrente.
Non è invocabile il principio di inopponibilità della transazione, fatta dal creditore con uno dei debitori in solido, all'altro condebitore che non voglia profittarne, sancito dall'art. 1304 cod. civ., allorché la banca creditrice, garantita da fideiussione "omnibus", faccia valere la transazione, intervenuta con la curatela fallimentare a tacitazione delle pretese da essa azionate nel giudizio di revocatoria delle rimesse eseguite dal debitore principale sul conto corrente nel periodo sospetto anteriore al fallimento, non come fonte diretta dei diritti vantati nei confronti del fideiussore, condebitore solidale, bensì soltanto come fatto storico rilevante ai fini del permanere della garanzia, stante la presenza, nella specie, nel contratto di fideiussione "omnibus" stipulato dalle parti, di una clausola prevedente la reviviscenza dell'obbligazione fideiussoria in caso di revoca dei pagamenti effettuati dal debitore principale.
Non è nullo il contratto di fideiussione "omnibus" che contenga una clausola di reviviscenza dell'obbligazione fideiussoria in caso di invalidità o di revoca dei pagamenti effettuati dal debitore garantito. (Principio espresso in fattispecie di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente eseguite in favore della banca dal debitore principale).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S A - Presidente -
Dott. P U R - Consigliere -
Dott. P D - Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. C W - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso proposto da:
DE LORENZO VOZ CESARE, GIULIATO MARGHERITA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA GEROLAMO DA CARPI 6, presso l'avvocato R S, rappresentati e difesi dall'avvocato D G, giusta mandato a margina del ricorso;
- ricorrenti -
contro
CA.RI.PLO. CASSA DI RISPARMIO DELLE PROVINCIE LOMBARDE S.P.A., nella persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA SAN GIACOMO 18, presso l'avvocato L F, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato P M, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 90/00 della Corte d'Appello di VENEZIA, depositata il 24/01/00;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 03/12/2003 dal Consigliere Dott. W C;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C R che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In forza della fideiussione prestata da Cesare Poz De Lorenzo e Marilena Giuriato per la correntista S.r.l. Poz, la Ca.ri.plo, S.p.a. richiese ed ottenne in data 16.09.1993, nei confronti dei suddetti fideiussori, un decreto ingiuntivo di pagamento per lire 80.612.362 costituente la somma che, in forza ed in esecuzione di una transazione stipulata nel corso del giudizio revocatorio, detta banca aveva corrisposto al fallimento della debitrice principale. Proposero opposizione gli ingiunti, che il tribunale di Venezia respinse.
Gli stessi proposero appello.
In contraddittorio della banca, la Corte di Venezia, con sentenza emessa il 24.01.2000, rigettò il gravame, confermando la pronuncia dal tribunale, salvo che per la reiterazione della condanna al pagamento, già contenuta nel decreto ingiuntivo confermato, cui per errore il tribunale aveva fatto luogo.
Ricorrono par Cassazione il De Lorenzo e la Giuliato, illustrando l'impugnazione con memoria.
Resista la Ca.ri.plo. S.p.a. con controricorso e memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorrenti hanno formulato e svolto cinque motivi di ricorso. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dall'art. 1955 c.c. e l'omessa motivazione in ordina alla "eccezione" che, sul
fondamento della norma, deducono di aver proposto "sia in primo che in secondo grado", volendo giovarsi della specifica causa di estinzione della fideiussione prevista per il caso che "per fatto del creditore" - che essi individuano nella perdita per prescrizione del diritto di insinuare il credito (di regresso) nel fallimento della Soc. Poz conseguente alla mancata istanza di ammissione al passivo, che la banca si sarebbe astenuta dal presentare pur dopo l'intervenuta transazione con il fallimento - il fideiussore non possa surrogarsi nei diritti del creditore.
La banca resistente prospetta che il motivo sia inammissibile "per novità" in quanto estraneo all'ambito della devoluzione in grado di appello.
Il secondo motivo denuncia la violazione dagli artt. 1230 e 1965 c.c. nonché l'omessa motivazione sul punto della "eccepita (conclusione sub n. 5 della citazione in appello) estinzione dai rapporti principale e di garanzia" per effetto della "efficacia novativa" della transazione stipulata dalla banca con il Fallimento Poz, incompatibile con le obbligazioni del rapporto transatto sia parché costitutiva di obbligazioni oggettivamente diverse e sostitutiva di quelle preesistenti".
Tali motivi primo e secondo debbono essere ritenuti inammissibili, entrambi sulla base della medesima considerazione: la sentenza non reca motivazione alcuna sui punti ma alla denuncia, comune ad entrambi i motivi, della mancanza della motivazione non si accompagna l'indicazione, che sarebbe stata necessaria in termini di autosufficienza del ricorso, dell'avvenuta formulazione di uno specifico motivo di gravame in tema di "liberazione dal fideiussore par fatto del creditore" (art. 1955 c.c.) nonché in tema "di estinzione dell'obbligazione fideiussoria per estinzione dell'obbligazione principale" secondo lo schema (art. 1230, 1965, 1300 c.c.) cui i ricorrenti si riferiscono. Ai fini dell'indicazione suddetta non è utile il riferimento alle conclusioni (rispettivamente n. 4 per l'oggetto del primo motivo di ricorso e n. 5 per quella del secondo motivo) della citazione in appello atteso che, per il già richiamato principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione (art. 366 c.p.c., v. Cass. n. 2838 del 1999, n. 2802 del 2000, n. 12905 del 2002), precisato dalle pronunce di questa Corte n. 2838/99, n. 2802/00, n. 12905/02), i ricorrenti avrebbero dovuto dare compiuta dimostrazione, trascrivendo nel ricorso, in parte qua, la citazione medesima, di aver ritualmente, ossia con la formulazione di uno specifico motivo di gravame, investito il giudice dell'appello delle suddette questioni. Si richiama qui utilmente il principio di diritto (v. la già ricordata sentenza, n. 12905 del 2002) formulato in via generale nei seguenti termini "il ricorso per Cassazione, in ragione del principio di cosiddetta autosufficienza dello stesso, deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per le quali si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali regioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito", e più specificamente, in relazione ai vizi ora denunciati, (v., tra le tante, la sentenza di questa Corte n. 5634 dal 1997) nel senso che "il ricorrente che denunci l'esistenza di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., ha l'onere di indicare, in modo analitico, ai fini di una corretta proposizione della censura, i singoli punti che assume essere stati trascurati, ovvero insufficientemente o illogicamente valutati, poiché la specificazione di tali punti - che non è adempiuta mercè il semplice richiamo agli atti del giudizio di merito - costituisce condizione imprescindibile perché la Corte di legittimità possa controllare la sussistenza della virtuale decisività del punto controverso e della eventuale mancanza o inadeguatezza della motivazione in rapporto ad esso". Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt., 1183, 1185, 1181, 1206, 1277 e 1341 c.c. 67 comma 2^ l.f. e dei principi generali in tema di azione revocatoria, nonché la mancanza di motivazione.
Le censure svolte investono il punto della eccepita nullità della clausola b) dal contratto di fideiussione, sul presupposto del carattere "vessatorio" della clausola stessa e della necessità dall'approvazione specifica ex art. 1341 comma 2^ c.c., eccezione quella che la Corte di merito ha giudicato priva di fondamento sotto ogni profilo con la motivazione che detta clausola, con la quale il fideiussore si impegnava a rimborsare le somme che la banca avesse incassato (dal debitore) per le obbligazioni garantite quando avesse dovuto restituirle in seguito ad annullamento o revoca dei pagamenti stessi, "non ampliava l'ambito della fideiussione ma soltanto prevedeva la conservazione della garanzia in relazione al suo oggetto, indicato alla clausola a) come tutto quanto dovuto dal debitore principale", sicché "nemmeno analogicamente rientrava tra le clausole vessatorie indicate dal comma 2^ dell'art. 1341 c.c.". Alla Corte di merito è addebitato di aver erroneamente qualificato la clausola in questione, in relazione alla necessità dall'osservanza della prescrizione di cui all'art. 1341 co. 2^ c.c., trascurando di rilavare ce la stessa a) si risolveva in una inammissibile deroga all'efficacia estintiva del pagamento (adempimento dell'obbligazione), e conseguentemente della garanzia, e in un sostanziale travisamento della natura dell'azione revocatoria, notoriamente finalizzata non già a travolgere l'affetto estintivo del pagamento ma soltanto a farne rilevare l'inefficacia nei confronti dei creditori, b) finiva per porre un divieto alla proponibilità dell'eccezione di adempimento.
Anche tale motivo non trova accoglimento.
Non è dedotto, ne' è desumibile dalla sentenza impugnata, il presupposto per l'applicazione dell'art. 1341 comma 2^ c.c. (richiamato dall'art. 1342 in relazione ai contratti conclusi mediante moduli o formulari) che è costituito dalla concreta configurabilità, quanto alla fideiussione di che trattasi, del suddetto specifico tipo contrattuale o comunque dalla unilaterale predisposizione della clausola di cui si controverte da parte di uno dei contraenti a della semplice adesione ad essa dell'altra parte (v. ex multis, Cass. n. 1252 dal 1964, n. 6406 del 1981, n. 5319 del 1983, n. 6644 del 1999, n. 8881 del 2000, n. 15385 del 2001 ) sicché non può valutarsi in questa sede se, in relazione alla clausola b) della fideiussione, che si assume erroneamente interpretata dalla Corte di merito sul punto del suo carattere vessatorio, sia stata dalla Corte di merito erroneamente disattesa l'eccezione e violata la norma dell'art. 1341 coma 2^ c.c..
Il motivo di ricorso accenna anche alla nullità della clausola in questione ma sotto tale profilo asso è infondato.
Questa Corte si è già pronunciata sul punto (v. la sentenza n. 4738 dal 1984 richiamata dalla resistente) nel senso che "non è nullo ... il contratto di fideiussione c.d. omnibus in cui sia sancita, la sopravvivenz dell'obbligazione di garanzia anche in caso di invalidità dall'abbligazione principale e che preveda ... la reviviscenza dell'obbligazione fideiussoria in caso di invalidità o revoca di pagamenti da parte del debitore garantito". Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 1304 c.c. nonché dei principi generali sulle obbligasioni (artt. 1173 e 1321 c.c.) nonché la contraddittorietà e l'insufficienza della motivazione in relazione al motivo di gravame con il quale era stata dedotta, appunto la non opponibilità ad essi fideiussori della transazione stipulata dalla banca con il fallimento della Soc. Poz.
La Corte di merito ha respinto, infatti, tale motivo di gravame giudicando infondata l'eccezione (di inopponibilità della transazione) sulla base dall'argomento che la transazione non era fatta valere dalla banca coma fonte diretta dei diritti vantati nei confronti dei fideiussori bensì soltanto coma fatto storico che provava la ricorrenza di un fatto a sua volta costituente il presupposto per l'applicazione della clausola b) del contratto di fideiussione, ossia l'avvenuta revoca, sia pure in quella parte appunto transattivamante determinata, dei pagamenti (le rimesse sul conto corrente) eseguiti in suo favore dalla debitrice principale. Ora sul punto la sentenza è censurata come espressione di un giudizio di diritto contrario alla norma dell'art. 1304 c.c. e al disposto secondo il quale "la transazione non produce effetti nei confronti dei soggetti che non ne sono parti o che non intendano volontariamente profittarne", ed altresi par insufficienza e contraddittorietà della motivazione "sotto il profilo della mancanza di un criterio idoneo a sorreggere ed a individuarne con chiarezza la ratio decidendi".
Il motivo è infondato.
Il richiamo alla norma dell'art. 1304 c.c. - il cui portato normativo è che è rimesso (diritto potestativo) al debitore o al creditore solidale rimasto estraneo alla transazione di giovarsi della transazione stessa, non producendo questa, di regola, effetti per i non contraenti - è fuori luogo nel caso di specie se è vero (in tal senso ancora il ricorso oltre che i termini nei quali la questione era stata prospettata al giudice dell'appello) che la dedotta inopponibilita della transazione, che i ricorrenti assumono "stipulata volontariamente ed unilateralmente dalla Cariplo S.p.a. del tutto autonomamente e senza alcuna autorizzazione e fermo restando che la banca poteva anche concludere quella lite vittoriosamente" (pag. 9 del ricorso), è basata sul principio generale (art. 1372 comma 2^ c.c.) della limitazione degli effetti di un contratto alle parti stipulanti (per i terzi esso è res inter alios acta). È corretto allora il rilievo della Corte di merito che la transazione intervenuta con il fallimento in ordine alla pretesa revocatoria dei pagamenti effettuati dalla debitrice società Fox era invocato dalla banca non già come fattispecie giuridica immediatamente produttrice di effetti (obbligatori) per i fideiussori bensì semplicemente come presupposto per l'applicazione di quella clausola b) del contratto fideiussorio che appunto prevedeva il permanere dell'operatività della garanzia, e dunque il perdurare dell'obbligazione dei garanti, nel caso in cui i pagamenti della debitrice principale fossero oggetto di annullamento ovvero di revoca.
Resta così dimostrata l'infondatezza della censura anche sotto il profilo dell'adeguatezza e sufficienza della motivazione. Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1831 e 2948 n. 4 c.c., degli artt. 1831 e 1936 ancora in relazione all'art. 2948 n. 4 e dell'art. 2946 c.c.. Il motivo attiene alla dedotta prescrizione del diritto della banca nascente dalla fideiussione.
La Corte di merito ha giudicato infondata l'eccezione di prescrizione con la motivazione che a) i diritti derivanti dal contratto di fideiussione si applicava il termine decennale di cui all'art. 2946 c.c. e non quello previsto dall'art. 2948 n. 4 indicato dagli
appellanti;b) il dies a quo era quello della esigibilità del credito nei confronti del debitore principale, esigibilità che nel caso di specie si era verificata "soltanto quando la banca garantita, eseguendo la transazione conclusa con il fallimento della Soc. Poz sulla revocatoria delle rimesse effettuate sul conto corrente già intrattenuto con detta societa, aveva pagato al fallimento la somma di lira 80.612.362".
I ricorrenti deducono, a censura sul punto, che ai fini della prescrizione si debba considerare il rapporto principale, da ciò facendo discendere che il termine debba essere considerato con riferimento alla norma dagli artt. 1831 e 2948 n. 4 c.c. (prescrizione di "tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi") ed indicano la data dal 27.07.1986, corrispondente alla chiusura del conto, come dies a quo della prescrizione quinquennale.
Il motivo è infondato, se pur la motivazione della sentenza deve essere corretta in alcuni passaggi.
Tre delle proposizioni che costituiscono detta motivazione sono giuridicamente corrette: che il termine di prescrizione, in tema di diritti ed azioni del creditore garantito nei confronti del fideiussore, sia quello decennale, generale, previsto dall'art. 2946 c.c. giacché nessun diverso termine è previsto nella disciplina del
contratto di fideiussione (v. in termini Cass. n. 5228 del 1985);che il diritto (al pagamento del debito dell'obbligato principale) del creditore garantito verso il fideiussore non possa ricondursi all'art. 2948 n. 4, ed infatti, la prescrizione quinquennale ivi prevista riguarda i crediti corrispondenti a ciò che deve pagarsi periodicamente (ad anno o in termini più brevi) e dunque non risulta applicabile a rapporti obbligatori par i quali la periodicità sia, o sia stata dalle stesse parti del rapporto, prevista con riferimento alla presentazione di rendiconti e non anche al pagamento dei debiti accertati e liquidati nei rendiconti medesimi (v. Cass. n. 826 del 1977), indicazione di genus, questa, che ben può essere riferita alla disciplina del contratto di conto corrente ove comunicazione periodica del conto (art. 1831), meccanismi di approvazione del medesimo (art. 1832) non tolgono l'unicità e la continuità del rapporto sino alla chiusura del conto (ancora art. 1831, 1833 e 1857);che, per il credito del fideiussore, la prescrizione, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2935 c.c., decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere dunque, da quando il credito stesso sia esigibile (v. la giurisprudenza di questa Corte richiamata nella sentenza).
L'errore della Corte di merito, giustamente censurato dai ricorrenti, è nell'aver individuato tale momento di esigibilità del credito verso i fideiussori in quello dell'esecuzione della transazione intervenuta con il fallimento della società Poz nell'ambito del giudizio introdotto dalla curatela per la revoca ex art. 67 l.f. delle rimesse effettuate dalla debitrice sul conto corrente. È indubbio che il diritto del creditore nei confronti del fideiussore sorge (non per effetto della stipulazione del contratto di garanzia bensì) alla scadenza dell'obbligazione garantita. La conseguenza è che la prescrizione del diritto del creditore garantito va riguardata con riferimento alle vicende del rapporto principale cui la garanzia accede, sicché la prescrizione del credito della banca garantita di avvalersi della garanzia fideiussoria prestata per il rapporto di conto corrente deve essere computata assumendo come dies a quo (non la costituzione della garanzia bensì) la data in cui il debito garantito è divenuto esigibile per effetto del recesso della banca dal rapporto di conto corrente e comunque della chiusura del conto stesso (v. cass. n. 5481 del 1997, n. 3783 del 1998, n. 5024 del 2001). E tuttavia l'errore della Corte di merito non giova ai ricorrenti, nel senso che non ne discende la cassazione della sentenza impugnata atteso che già dalla sentenza medesima (ma vedi anche il ricorso a pag. 11) si ricava che il conto corrente fu chiuso alla data del 23.07.1986 e che la Ca.ri.plo ebbe ad inoltrare ai fideiussori la prima richiesta di pagamento il 04.03.1992, prima dunque del compimento del termine decennale di prescrizione. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.