Cass. pen., sez. II, sentenza 18/11/2022, n. 43890
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da N E, nato in Albania il 09/11/1985 rappresentato ed assistito dall'avv. N D S, di fiducia avverso l'ordinanza n. 1520/20 in data 11/06/2021 del Tribunalie di Teramo;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;preso atto che il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137/2020;udita la relazione svolta dal consigliere A P;letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto procuratore generale, L G, ha concluso chiedendo di dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 11/06/2021, resa all'esito della discussione finale, il Tribunale di Teramo, investito del procedimento a carico di N E, imputato del reato di cui agli artt. 110, 629, secondo comma in relazione all'art. 628, terzo comma n. 1 e 99 cod. pen. (la posizione del concorrente A C risulta già stralciata e definita), ritenuto che la condotta a carico del N fosse diversa da quella contestata e distinta da quella del C, in quanto "le gravi espressioni minacciose pronunciate dallo N, subito dopo quelle del C" costituivano la diversa fattispecie del tentativo, riconosciuto così un mutamento del fatto come originariamente contestato e la ricorrenza dell'ipotesi disciplinata dall'art. 516 cod. proc. pen., disponeva la restituzione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. al fine di procedere per il nuovo fatto come ritenuto, senza procedere oltre nel dibattimento in corso. 2. Avverso la predetta ordinanza, nell'interesse di N E, è stato proposto ricorso per cassazione per i due motivi di seguito indicati. Primo motivo: inosservanza o erronea applicazione della legge penale. Secondo motivo: inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza. Nella trattazione congiunta dei motivi, il ricorrente evidenzia che, se all'esito dell'attività istruttoria il Collegio avesse ritenuto sussistere il fatto contestato sebbene sussunto nell'alveo di una fattispecie diversa da quella in esame, avrebbe dovuto correggere tale erronea qualificazione in sentenza, precisandolo in parte dispositiva, in quanto l'esatta attribuzione del nomen iuris è connaturale all'esercizio della giurisdizione. Peraltro, il ricorrere allo stratagemma dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen., modificando la fattispecie incriminatrice e restituendo gli atti al pubblico ministero, non ricorrendone i presupposti in punto di diritto, appare come un tentativo per schivare una sacrosanta sentenza assolutoria. Infine, la condotta perpetrata dall'imputato, esclusa l'ipotesi estorsiva in concorso consumata dal solo C, non può in alcun modo sussumersi nell'alveo del tentativo, mancando dell'elemento oggettivo, dell'elemento psicologico e del profitto ingiusto già conseguito da altro soggetto. Al più, quando si fosse accertato che lo N abbia effettivamente profferito una frase di 1:enore minaccioso, quest'ultima avrebbe potuto integrare solo ed esclusivamente il reato di minaccia. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. 2. Secondo consolidata giurisprudenza, è da considerarsi abnorme il provvedimento con cui il giudice, in relazione ad un fatto nuovo accertato in dibattimento, non si limiti ad ordinare la trasmissione degli atti al pubblico ministero relativamente ad esso, ai sensi dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen., ma determini la regressione dell'intero procedimento, senza pronunciarsi in ordine al fatto originariamente contestato (Sez. 4, n. 17213 del 09/03/2017, Lanceni, Rv. 269459). P 2 Invero, nella fattispecie, il Tribunale, senza pronunciare sentenza, dopo aver affermato che la condotta originariamente contestata allo N e al C consistita in un'azione estorsiva fosse riferibile al solo C, riconosceva come a carico del ricorrente fosse configurabile la diversa (ed ulteriore) fattispecie di tentata estorsione aggravata ha disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero;in particolare, il Tribunale ha ritenuto che le gravi espressioni minacciose pronunciate dallo N, sùbito dopo quelle del C, fossero a loro volta immediatamente rappresentative al primo dell'illiceità della causa fondante le pretese di quest'ultimo, teleologicamente orientate in maniera univoca e diretta al conseguimento, nell'immediato e nel futuro, di ulteriori ingiusti profitti patrimoniali, non riuscendo nell'intento solo per circostanze del tutto indipendenti dalla propria volontà, e segnatamente a ragione dell'intervento delle Forze dell'Ordine ivi presenti, che interrompevano l'azione criminosa, traendo in arresto gli agenti.
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