Cass. civ., sez. VI, ordinanza 04/05/2018, n. 10616

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. VI, ordinanza 04/05/2018, n. 10616
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10616
Data del deposito : 4 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente ORDINANZA sul ricorso 1949-2015 proposto da: G L, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE

BRUNO BUOZZI

49, presso lo studio dell'avvocato A R, rappresentata e difesa dall'avvocato G V;

- ricorrente -

contro

CONDOMINIO DI TORINO VIA PRINCIPE TOMMASO

36 - 36/BIS;
- intimato- avverso la sentenza n. 982/2014 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 21/05/2014;
‘tn n IV\ ' udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/05/2017 dal Consigliere Dott. PASQUALE D'ASCOLA. Ric. 2015 n. 01949 sez. M2 - ud. 12-05-2017 Fatti di causa e ragioni della decisione 1) L G, con ricorso depositato il 5.3.2011 e notificato il 6.5.2011, conveniva dinanzi al Tribunale Ordinario di Torino il Condominio di Via Principe Tommaso n. 36 - 36 bis/Via Giacosa n. 16, per ottenere l'annullamento o la dichiarazione di nullità delle deliberazioni condominiali del 23.2.2011, relative all'approvazione del bilancio consuntivo per spese ordinarie e straordinarie del 2010. Il Tribunale rigettava integralmente il ricorso con sentenza depositata il 10.10.2012. 2) La sig.ra G proponeva appello contro la sentenza del Tribunale con ricorso, depositato il 9.4.2013 e notificato il 6.5.2013, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, decreto che già rilevava la non corretta proposizione dell'impugnazione con il ricorso. 2.1) La Corte di appello di Torino rilevava l'inammissibilità del gravame per tardività, in quanto il termine "lungo" di sei mesi era "spirato vanamente il 7.4.2013", posto che il giudizio di secondo grado andava introdotto con citazione anziché con ricorso e che la data di introduzione del giudizio coincideva con quella della notifica del ricorso-decreto, avvenuta il 6.5.2013, cioè un mese dopo il termine ultimo. 3) Per la cassazione della sentenza, L G ha proposto ricorso notificato il 7.1.2015 articolato su due motivi e illustrato da memoria. L'intimato non ha svolto attività difensiva. 4) La causa è stata avviata a trattazione con rito camerale davanti alla Sesta sezione civile, con proposta di rigetto del ricorso. 5) Con il primo motivo L G deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 327 e 434 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. La seconda censura attiene all'erroneità del calcolo relativo alla data di scadenza del termine di proposizione del gravame, in ordine all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Parte ricorrente assume che l'impugnazione della sentenza di primo grado era avvenuta con ricorso, anziché con citazione, depositato il 9.4.2013, entro il termine semestrale di decadenza che, a decorrere dalla data di deposito della sentenza avvenuta il 10.10.2012, spirava il 10.4.2013. Afferma che per "mero lapsus calami" il giudice di appello avrebbe individuato la scadenza del termine per impugnare alla data del 7.4.2013 (in realtà nel primo motivo di ricorso si fa riferimento alla data del 6.10.2013, successivamente corretta nel n. 1949 -15 D'Ascola rei \ f\ 7.4.2013, come indica espressamente il ricorrente nel motivo n. 2 e come si evince dalla sentenza impugnata a pag. 12). Ciò premesso, il ricorrente sostiene che, ai fini della tempestività, il parametro di riferimento vada individuato nella data di deposito del ricorso e non in quella della notificazione alla controparte. Seguendo tale impostazione, il termine di impugnazione sarebbe stato rispettato, poiché l'appello era stato presentato con ricorso depositato entro i sei mesi contemplati dall'art. 327 c.p.c. Critica l'orientamento seguito dalla Corte di appello di Torino, secondo cui quando l'impugnazione deve essere proposta con citazione, l'eventuale erronea introduzione del giudizio con ricorso, pur depositato entro i sei mesi, può essere sanata solo a condizione che il ricorso ed il decreto di fissazione siano notificati alla controparte entro il termine di decadenza. Parte ricorrente invoca, a tal fine anche il principio di ultrattività del rito, il quale postulerebbe che il giudizio debba proseguire in appello nelle stesse forme, ancorché erronee, del giudizio di primo grado. Ne conseguirebbe che, dal momento che il giudizio di primo grado era stato introdotto con ricorso, l'appello doveva essere proposto con il medesimo mezzo, dovendosi, pertanto, fare riferimento alla data di deposito. 6) La doglianza è infondata. È erronea l'indicazione in sentenza del termine di decadenza dei sei mesi alla data del 7.4.2013, in luogo del 10.4.2013. Il termine di sei mesi previsto dall'art. 327 c.p.c., infatti, va computato ai sensi dell'art. 155, comma 2, c.p.c. non ex numero bensì ex nomínatione dierum (cfr. Cass., Sez. 3, n. 17313/2015;
Cass., Sez. 5, n. 22699/2013). Ciò comporta che nel caso in esame, il termine cadeva il 10.4.2013, cioè sei mesi dopo la data di deposito della sentenza, avvenuta il 10.10.2012, come indicato dal ricorrente. Tuttavia, come quest'ultimo riconosce, si tratta di una semplice svista che non è decisiva, poiché non incide né sulla statuizione né sui principi affermati dalla Corte. La ratio decídendi è costituita dal fatto che la notifica del ricorso e del decreto è avvenuta in data 6.5.2013, oltre il termine di decadenza del 10.4.2013, sicché occorre stabilire se, ai fini della tempestività, si debba fare riferimento al momento del deposito o a quello della notifica del ricorso e, in secondo luogo, occorre coordinare le conclusioni a cui si giunge con il principio di ultrattività del rito.n. 1949 -15 D'Ascola rei \ Ora, secondo la giurisprudenza di legittimità oramai consolidata, l'impugnazione della delibera dell'assemblea condominiale va proposta con citazione (Cass. Sez. 2, n. 8440/2006 ;
Cass. Sez. Un, n. 8491/2011), poiché, nel silenzio dell'art. 1137 c.c. circa la forma dell'introduzione del rito, trova applicazione la regola generale dettata dall'art. 163 c.p.c. Tanto premesso, per quanto riguarda in modo specifico l'appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull'impugnazione della delibera, anche in questo caso, in assenza di previsioni di legge "ad hoc", l'impugnazione deve essere proposta in conformità con la regola generale contenuta nell'art. 342 c.p.c., vale a dire mediante citazione. Ne consegue che la tempestività dell'appello va verificata in base alla data di notifica dell'atto di citazione e non alla data di deposito dell'atto di gravame nella cancelleria del giudice ad quem. Il principio è stato affermato dalla recente giurisprudenza di legittimità, superando il precedente orientamento costituito da Cass. 18117/2013 citata dal ricorrente. A seguito della pronuncia Cass., Sez. Un., 1.2.2014, n. 2907, è stato chiarito il principio secondo cui un appello erroneamente introdotto con ricorso, anziché con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione, appunto, che nel termine previsto dalla legge l'atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte, mentre la deroga, nel senso di un'assoluta equivalenza ed equipollenza delle forme, delineata da Cass., Sez. Un., 14.4.2011, n. 8491, trovava giustificazione soltanto per l'atto introduttivo del giudizio di primo grado di impugnazione delle delibere dell'assemblea condominiale, stante la riforma dell'art. 1137 c.c., ante riforma del 2012. Tale orientamento è stato ribadito sia in tema di impugnazione delle deliberazioni condominiali (Cass., Sez. 6, n. 8839/2017;
Cass., Sez. 2, n. 23692/2014), che in tema di opposizione agli atti esecutivi (Cass. Sez. 3, n. 10643/2014) e in materia di opposizione all'ordinanza-ingiunzione (Cass., Sez. Un., n. 2907/2014;
Cass. Sez. 2, n. 8536/2009). Ragioni di coerenza giuridica e di uguaglianza inducocono ad una generalizzazione del principio. Tale conclusione, del resto, discende dalla natura di rito generale del giudizio ordinario anche in relazione alla disciplina dell'appello di cui all'art. 339 c.p.c. e segg.;
nonché, dal primato del rito ordinario sui riti speciali, anche in secondo grado, enucleabile dal combinato disposto dell'art. 40 c.p.c., comma 3 e art. 359 c.p.c.;
infine, dalla circostanza che allorquando il legislatore ha voluto n. 1949 -15 D'Ascola rei i) disegnare una disciplina speciale anche per il giudizio di secondo grado, lo ha fatto espressamente. Il ricorso va quindi rigettato. Non vi è necessità di provvedere sulle spese non avendo l'intimato svolto difese. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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