Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 13/06/2003, n. 9493

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Qualora il datore di lavoro sia soggetto munito di personalità giuridica di diritto privato, la volontà di recedere dal rapporto di lavoro, mediante il licenziamento (atto unilaterale recettizio), deve essere manifestata dalla persona o dall'organo abilitato a compiere atti dispositivi del relativo diritto, senza però che il procedimento interno di formazione di tale volontà possa essere sindacato da terzi estranei, come il lavoratore dipendente, alla struttura deliberativa dell'ente; pertanto, il licenziamento intimato da soggetto privo del potere di rappresentanza dell'ente o che abbia agito con eccesso di potere non è inficiato da nullità assoluta, ma è annullabile unicamente a istanza della società datrice di lavoro, che può ratificarlo a norma dell'art. 1399 cod. civ..

In caso di licenziamento per giusta causa comminato in conseguenza di infrazioni commesse dal lavoratore, il giudizio circa la sussistenza e la gravità di queste ultime e la loro idoneità a costituire giusta causa di recesso implica un accertamento e una valutazione di fatto demandati al giudice di merito e incensurabili in sede di legittimità se privi di errori logici o giuridici. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un cassiere di un istituto di credito che si era appropriato di denaro dei correntisti).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 13/06/2003, n. 9493
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 9493
Data del deposito : 13 giugno 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M V - Presidente -
Dott. D'ANGELO Bruno - Consigliere -
Dott. C N - Consigliere -
Dott. P P - Consigliere -
Dott. C F - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R F, elettivamente domiciliato in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato P L S, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro
BANCA POPOLARE DI LODI SCRL (già BANCA MERCANTILE ITALIANA), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CAIO;
MARIO 14, presso lo studio dell'avvocato M. A G A, rappresentato e difeso dall'avvocato P P, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 171/01 della Corte d'Appello di CATANIA, depositata il 12/03/01 - R.G.N. 1484/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/02 dal Consigliere Dott. F C;

udito l'Avvocato S;

udito l'Avvocato A per delega P;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. M F che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Francesco R, cassiere della Banca popolare di Belpasso, licenziato per giusta causa, essendosi appropriato di denaro dei correntisti per circa sedici milioni di lire, impugnò il recesso deducendone la nullità, in quanto intimato dal Presidente della società senza previa delibera del consiglio di amministrazione, la carenza di giusta causa o giustificato motivo, la sproporzione rispetto al fatto addebitato.
L'impugnativa fu rigettata dal Pretore di Catania e la sentenza, su appello del R contrastato dal datore di lavoro, trasformatosi in Banca Popolare di Lodi s.c.r.l., è stata confermata dalla Corte d'Appello di Catania.
La Corte territoriale, per ciò che ancora interessa, ha innanzitutto ritenuto che se anche il Presidente della Banca fosse stato privo del potere di recesso, tale mancanza di potere rappresentativo era stata in concreto sanata in conseguenza di ratifica, ne' aveva rilievo che questa fosse intervenuta dopo l'impugnativa del licenziamento.
I giudici d'appello hanno quindi osservato che, il Pretore pure avendo fatto riferimento nella sua decisione alle motivazioni già espresse in una precedente decisione di rigetto della istanza di provvedimento d'urgenza proposta dal R, aveva poi ampiamente esaminato il merito della controversia, onde, nella sentenza di primo grado quel riferimento aveva solo un ruolo di argomentazione ad abundantiam.
Circa i fatti posti a base del licenziamento, premesso che essi erano sostanzialmente pacifici e consistevano in ammanchi reiterati e frazionati a carico della clientela per circa sedici milioni di lire, il cui provento era stato utilizzato dal R in operazioni di borsa, il giudice del gravame, dopo aver posto in evidenza che la linea difensiva del lavoratore si concentrava in definitiva sull'incolpevolezza dell'accaduto, ha osservato che i richiami del R alla fase di depressione attraversata nel periodo dei fatti non erano idonei a influire sull'elemento soggettivo. Vi era anzi dimostrazione della particolare intensità del dolo dimostrato dal lavoratore nel commettere le appropriazioni accortamente mascherate, e non poteva fungere da scriminante la circostanza che tali

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