Cass. civ., SS.UU., sentenza 22/12/2004, n. 23738

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Massime1

In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, il ritardo nel deposito dei provvedimenti, soprattutto se reiterato, sistematico e prolungato, ed oltre ogni limite di ragionevolezza, comporta di per sè lesione del prestigio sia del magistrato, cui quel ritardo risulti individualmente ascrivibile, sia, di riflesso, dell'ordine giudiziario, e non abbisogna di specifica dimostrazione essendo sentito dalla coscienza sociale come sintomo di inefficienza intollerabile. Al riguardo, i notevoli carichi di lavoro possono costituire causa di giustificazione del ritardo, ma l'efficacia scriminante di detti carichi cessa quando quel ritardo finisca per assumere la valenza di un diniego di giustizia lungamente protratto.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 22/12/2004, n. 23738
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23738
Data del deposito : 22 dicembre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente aggiunto -
Dott. O G - Presidente di sezione -
Dott. C O F - Pres. di sezione -
Dott. P E - Consigliere -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. F M - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME1, elettivamente domiciliato in LOCALITA1, Lgt.M.n., 24, presso lo Studio dell'avvocato NOME2,
che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale del Notaio Dott. NOME3, depositata in data 2 luglio 2004, in atti;



- ricorrente -


contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;



- intimati -


avverso la sentenza n. 21/04 del Consiglio superiore magistratura, depositata il 22/04/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/04 dal Consigliere Dott. NOME4;

udito l'Avvocato NOME2;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. NOME5 che ha concluso per il rigetto del secondo motivo e di parte del terzo motivo, con assorbimento del primo motivo e di parte del terzo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il procedimento disciplinare n. 46/03 NOME1,
giudice presso il tribunale di LOCALITA1, è stato incolpato della violazione dell'art. 18, r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, per essere risultato il deposito con notevole ritardo, nel periodo dal 19 settembre 1995 al 4 dicembre 2001, di 7 sentenze civili (di cui una depositata dopo oltre 2 anni), e di 40 ordinanze riservate (di cui una dopo oltre 5 anni dalla riserva, 3 dopo oltre 4 anni, 7 dopo oltre 3 anni, 8 dopo oltre 2 anni, 6 dopo oltre un anno), nonché il mancato deposito di 36 ordinanze riservate con termini ampiamente scaduti (per una da oltre 5 anni, per 5 da oltre 3 anni, per 7 da oltre 2 anni, per 15 da oltre 1 anno), così reiteratamente violando il dovere di diligenza e tenuto presente, altresì, che con la precisata condotta l'incolpato si era reso immeritevole della fiducia e della considerazioni di cui deve godere un magistrato,con compromissione, altresì, del prestigio dell'ordine giudiziario. Con altro procedimento (al n. 4/04) lo stesso NOME1è stato incolpato - ancora - della violazione dell'art. 18 r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, per avere gravemente mancato ai propri doveri di
diligenza e operosità, rendendosi Immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato, perché, in particolare, nella sua qualità di magistrato addetto alla sezione fallimentare del tribunale di LOCALITA1, malgrado i reiterati inviti formulati dal presidente del tribunale e dal presidente della Corte di appello, alla data del 26 maggio 2003 risultava non avere ancora depositato 65 sentenze, malgrado fossero decorsi più di 120 giorni dall'assunzione in decisione (di cui una risalente al 1998, 15 al 1999, 22 al 2000, 14 al 2001, 13 al 2002) e per avere omesso di sciogliere 58 ordinanze riservate, di cui una risalente al 1996, una al 1997, 6 al 1998, 10 al 1999, 14 al 2000, 10 al 2001, 14 al 2002, 2 al 2003) e per avere depositato con ritardi di oltre 120 giorni dall'assunzione in decisione 13 sentenze (di cui 6 con ritardo di quattro anni).
Riuniti i descritti procedimenti la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura con sentenza - 12 - marzo - 22 - aprile - 2004 - ha dichiarato l'NOME1responsabile delle incolpazioni ascrittegli nei limiti di cui in motivazione e gli ha inflitto la sanzione disciplinare dell'ammonimento. Per la cassazione di tale pronunzia l'NOME1ha proposto ricorso, affidato a tre motivi e illustrato da memoria. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Con il secondo motivo di ricorso, per motivi di ordine logico da esaminarsi con precedenza, rispetto ai restanti, il ricorrente denunzia "violazione e falsa applicazione di legge art. 348 e ss., 448 e ss. c.p.c. 1930, 24 Cost. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.;
omessa e/o insufficiente motivazione su punti decisivi della
controversia: art. 360 n. 5 c.p.c." per non avere i giudici disciplinari dato ingresso alle prove orali da lui dedotte. Si assume, infatti, che la sezione disciplinare, nel non dare ingresso alla prova orale sollecitata con la "laconica e inadeguata motivazione 'in quanto vertente in parte su circostanze gia' documentate e per il resto non influentì" ha violato le norme di diritto sopra indicate nonché leso il diritto inviolabile alla difesa sancito dall'art. 24 Cost. Le prove, in particolare, vertevano nell'ordine:
sulla descrizione del carico e delle condizioni di lavoro dell'ufficio fallimenti del tribunale di LOCALITA1, allorché in aggiunta all'incolpato è stato assegnato altro magistrato (primo capitolo, prima parte) - sulla attività svolta dal ricorrente sia per la organizzazione e il funzionamento dell'ufficio fallimentare, nonché quale giudice delegato ai fallimenti con riferimento ai procedimenti penali, per reati fallimentari, societari e tributari da lui trattati primo capitolo, seconda parte;
secondo capitolo, seconda parte;
terzo capitolo;
quarto capitolo;

- sull'attività svolta dal ricorrente quale presidente di un collegio giudicante penale nel periodo 30 settembre 1999 - 13 febbraio 2001 secondo capitolo, prima parte.


2. La deduzione è, per alcuni profili, inammissibile, per altri manifestamente infondata.


2.1. In merito, in primis, alla denunziata "violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e ss. e 448 c.p.p. 1930 nonché dell'art. 24 Cost.", sotto il profilo di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c. preme evidenziare, in limine, la manifesta inammissibilità della deduzione.
In conformità, in particolare, a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi - infatti - il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata.
Il richiamato principio comporta - in particolare - tra l'altro, che è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un'affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15 febbraio 2003, n. 2312). In altri termini, quando nel ricorso per Cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate - o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina - il motivo è inammissibile, poiché non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 28 ottobre 2002, n. 15177;
Cass. 16 luglio 2002, n. 10276). Certo quanto precede è di palmare evidenza l'inammissibilità della deduzione in parola.
Con la stessa, infatti, il ricorrente, lungi dal sollevare una motivata critica alla interpretazione data dai giudici a quibus delle disposizioni indicate nella intestazione del motivo, in contrasto con quella che è la lettura datane dalla giurisprudenza nonché della dottrina, si limita a dolersi dell'esito della lite, che è stato diverso da quello da lui atteso ed è palese che la deduzione non integra una valida prospettazione di un vizio rilevante sotto il profilo di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c.. 2.2. Anche a prescindere da quanto precede, comunque, si osserva che sia gli artt. 348 e ss. c.p.p. 1930 in tema di ammissione (e assunzione) della prova testimoniale nel processo penale, sia l'art. 24 cost. sul diritto di difesa devono interpretarsi nel senso che in
tanto sussiste, per il giudice, l'obbligo di dare ingresso a una prova in quanto questa posta condurre a un risultato utile per l'imputato o l'inquisito.
Non può, di conseguenza, palesemente, prospettarsi una violazione dei richiamati principi a fronte di deduzioni istruttorie dirette a dimostrare circostanze, di fatto, che il giudice ritenga, alternativamente, o già provate o non influenti al fine del decidere.


2.3. Deve escludersi, contemporaneamente, che la motivazione addotta dalla Sezione Disciplinare allorché ha ritenuto di non dare ingresso alle prove sopra indicate sia incorsa nella violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c.. Si osserva, infatti, che a p. 7 della decisione ora oggetto di ricorso, non solo si da atto di tutte le circostanze, di fatto, sulle quali avrebbero dovuto riferire i testi indicati (sia sull'attività svolta dal ricorrente nell'ambito della sezione fallimentare, sia quale presidente del collegio penale in un complesso processo di criminalità organizzata) ma si precisa, testualmente che "non vi è dubbio che nessun addebito possa essere mosso .. sotto il profilo della laboriosità, almeno per ciò che concerne la prima delle contestazioni, relativa al periodo oggetto di ispezione ministeriale".
"Le sue dell'incolpato deduzioni - si precisa nella decisione - sono in genere ben documentate e convincenti. Esse sono confortate dai pareri, relativi a detto periodo ... basati sul rilievo dell'impegno e della presenza in ufficio".
Sempre con riguardo alle circostanze sulle quali era stata sollecitata l'attività istruttoria, e, in particolare per quanto riguardo il modo con cui l'attuale ricorrente ha trattato la materia fallimentare la pronunzia gravata precisa, altresì che "del pari ampiamente documentata è la diligenza con la quale il .. ha trattato la materia fallimentare e societaria, in particolare sotto il profilo anche dei rapporti con i diversi interlocutori".
Certo quanto sopra è palese che correttamente i giudici a quibus hanno ritenuto "non necessario alcun approfondimento istruttorio" al fine di dimostrare circostanze già comunque acquisite e che la deduzione in esame è, sotto il profilo di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. manifestamente infondata, come anticipato (specie tenuto
presente che i giudicanti hanno esaurientemente motivato il diniego di ammissione di ulteriori prove).

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