Cass. pen., sez. I, sentenza 01/03/2022, n. 07138
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Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DI ZO CE nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 16/09/2020 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FILIPPO CASA;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ASSUNTA COCOMELLO che ha concluso chiedendo, ai sensi dell'art.23, comma 8, d.l. n. 137/2020, la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Tratto a giudizio con decreto in data 29 marzo 2019 per rispondere del delitto di incendio doloso aggravato (artt. 423, 425, primo comma, n. 4, cod. pen.), NC DI ZO veniva dichiarato responsabile, con sentenza resa dal Tribunale di Taranto il 27 gennaio 2020, del delitto di cui all'art. 424, secondo comma, cod. pen., così derubricata l'originaria imputazione, e veniva condannato alla pena di cinque anni di reclusione, alle pene accessorie di legge e, quanto alle statuizioni civili, al risarcimento del danno arrecato alla parte civile LO LA SE, da liquidarsi in separata sede, alle spese processuali sostenute dalla predetta nel giudizio di primo grado e al pagamento di una provvisionale, immediatamente esecutiva, nella misura di 20.000,00 euro.
2. Con sentenza del 16 settembre 2020, la Corte di appello di Lecce, riqualificato il fatto ai sensi degli artt. 423, 425, primo comma, n. 4), e 99, quarto comma, cod. pen., confermava la pronuncia di primo grado.
2.1. DI ZO era accusato di aver appiccato il fuoco, impiegando liquido combustibile, all'esercizio commerciale denominato 'La boutique della vitella e del suino' di proprietà di LO LA SE, contenente merci altamente infiammabili, ubicato all'interno del mercato coperto "box n. 5" in via Jacopo Micheli, nel centro abitato di Massafra, così cagionando un incendio e ponendo in pericolo la pubblica incolumità (fatto commesso il 26 aprile 2018).
2.2. La Corte di Lecce riteneva di dover disattendere i motivi di gravame, finalizzati a prospettare letture alternative degli indizi che erano stati valorizzati dal primo giudice a sostegno dell'affermazione di responsabilità dell'imputato. In primo luogo, doveva considerarsi quale dato probatorio pacificamente acquisito, grazie al rilevamento satellitare collocato sulla vettura del DI ZO e ai filmati registrati dalle telecamere di sorveglianza poste in zona, che detta auto si fosse trovata sul luogo dell'incendio pochi minuti prima e pochi minuti dopo il divampare delle fiamme, circostanza neppure contestata dalla difesa. Nessuna giustificazione plausibile l'imputato aveva fornito: a) sull'intero percorso seguito dalla sua vettura poco prima e subito dopo l'incendio (dalle 22.16.18 alle 22.34.34);
b) sulla sosta del veicolo protrattasi per 3 minuti e 31 secondi nei pressi del mercato teatro dell'incendio (dalle 22.31.03 alle 22.34.34), in coincidenza con il divampare delle fiamme;
c) sull'anomalo rifornimento notturno di benzina (ore 22.23) effettuato qualche minuto prima che venisse lanciato l'allarme per l'episodio delittuoso, nella misura di circa sei litri, quantitativo perfettamente compatibile con la capienza di una tanica (l'imputato non aveva spiegato, ad esempio, se il rifornimento fosse funzionale a un certo percorso da intraprendere l'indomani e se, soprattutto, non fosse possibile provvedervi il giorno successivo, piuttosto che uscire appositamente di casa per recarsi al distributore di carburante proprio in coincidenza con lo scoppio dell'incendio). La Corte di appello confermava, poi, la valenza indiziaria di altri elementi apprezzati in primo grado: - l'imputato aveva le chiavi del lucchetto che presidiava il punto principale di accesso al mercato e aveva l'interesse a simulare, proprio per tale ragione, la relativa forzatura col chiodo (simulazione desumibile dal fallimento della prova di scasso effettuata, con analogo chiodo e su almeno due lucchetti simili, dalla persona offesa con l'ausilio di un fabbro e della Polizia giudiziaria);
- l'imputato non disponeva delle chiavi dell'ingresso posteriore, ben più riservato e sicuro, rispetto a quello principale, per chi, privo di chiavi, avesse realmente dovuto forzare uno degli ingressi per entrare nel mercato;
- l'imputato ben sapeva come spegnere le luci del mercato (lavorando al suo interno ed essendo l'interruttore posto in un luogo non visibile al pubblico), luci effettivamente trovate spente da chi accorse in loco. Ad avviso della Corte di merito, non pareva, inoltre, così irrilevante, come sostenuto dall'appellante, l'intercettazione valorizzata dal primo giudice. Più che l'allusione dell'interlocutore del DI ZO (quando questi gli aveva detto che si era trattato non di un incendio, ma, sarcasticamente, di "bruschette", e l'interlocutore aveva risposto: "ho capito"), rilevava che, a fronte di un incendio che, per chi fosse ad esso estraneo, ben avrebbe potuto anche rivelarsi del tutto accidentale, il DI ZO nulla aveva replicato all'affermazione "ho capito" dell'altro uomo. Tale allusione - secondo i giudici dell'appello - non si poteva spiegare se non come "l'aver capito" che fosse stato proprio il DI ZO il responsabile: e questi, non ribattendo alcunché (come ci si sarebbe aspettati da parte di chi, implicitamente, venisse ingiustamente indicato come l'autore del misfatto), aveva tacitamente confermato l'accusa a lui in tal modo rivolta (poiché, se non avesse avuto nulla a che fare con l'attentato incendiario, avrebbe logicamente dovuto replicare all'affermazione accusatoria). Infine, andava apprezzato, come logico collante degli elementi indiziari convergenti passati in rassegna, il movente di carattere economico sotteso al delitto, in quanto il negoziante 'AL (occupante il box adiacente a quello dell'imputato) aveva deciso di lanciare un'offerta di detersivi - unica merce venduta dal DI ZO - proprio all'indomani della notte in cui fu appiccato l'incendio.
3. Ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, a mezzo del difensore, sviluppando i seguenti tre motivi.
3.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 191, 192 e 530 cod. proc. pen. e vizio di motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità. La sentenza di condanna era stata emessa sulla base di indizi privi dei requisiti della gravità, precisione e concordanza. Le deposizioni rese dalla persona offesa SE e dal di lei marito SI LM non potevano reputarsi attendibili e si erano rivelate contraddittorie e prive di riscontri nel far convergere i propri sospetti su persone diverse dall'imputato, con il quale avevano escluso ogni motivo di contrasto. E, in effetti, le evidenze processuali avevano dimostrato la sussistenza di indizi seri nei confronti di una ex dipendente della SE, per