Cass. civ., sez. I, sentenza 27/04/2004, n. 8010

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Massime1

La disciplina della domanda congiunta di divorzio recata dall'art. 4, tredicesimo comma, della legge 1.ò dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, rimette al giudice l'accertamento dei presupposti di legge per lo scioglimento del rapporto - attinenti al merito della domanda -, verifica da condurre alla stregua della legge nazionale applicabile, laddove la decisione sulla questione, preliminare, circa l'ammissibilità della revoca del consenso alla domanda congiunta proposta, da verificare alla luce della legge processuale italiana, non comporta di per sè sola l'individuazione della legge nazionale applicabile, che rimane pertanto questione impregiudicata.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 27/04/2004, n. 8010
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 8010
Data del deposito : 27 aprile 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

I D E ) A 4 A S 7 O . T S n R S M A 7 T O T 8 S 9 P I 1 M A G I o ' z R E r L a T R L REPUBBLICA ITALIANA L m A I A 6 D D I A CORTE SU080 10 e 21/ 0 4 , E g N IN NON T g O G e N L L O E L 9 ADI

CASSAZIONE S

1 O . A t E etto r B D A DIVORZO ( SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: - Presidente R.G.N. 5838/02 Dott. M GNI Dott. F M FTI Consigliere Cron. 15424 Dott. F F Consigliere Rep. Consigliere Ud.11/07/03 Dott. F F Dott. Stefano

PETITTI

Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente SENT ENZA sul ricorso proposto da: D A, elettivamente domiciliato in ROMA VIA S.

VALENTINO

21, presso l'avvocato R A, rappresentato e difeso dall'avvocato MICHELE COSTANTINO, giusta procura in calce al ricorso; ricorrente contro S R, elettivamente domiciliata in ROMA V.LE

MAZZINI

114/B, presso l'avvocato R M, rappresentata e difesa dall'avvocato F C, giusta mandato a margine del controricorso; 2003 controricorrente - avverso la sentenza n. 1092/01 della Corte d'Appello 2067 -1- di BARI, depositata il 18/12/01; - udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/07/2003 dal Consigliere Dott. Stefano PETITTI; udito per il ricorrente l'Avvocato C che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito per il resistente l'Avvocato C che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; -2- Svolgimento del processo Con ricorso congiunto del 23 febbraio 1994 i coniugi Antonio D ed Anna S, deducendo la comune cittadinanza svizzera, la loro separazione di fatto da due anni, l'irreversibile deterioramento del rapporto matrimoniale, chiedevano al Tribunale di Bari la pronuncia di scioglimento del loro matrimonio, celebrato in Giovinazzo il 30 luglio 1975, ai sensi dell'art. 142 c.c. svizzero, indicando anche i patti per lo scioglimento della comunione legale dei beni. Successivamente, in sede di comparizione dinanzi al collegio, la S dichiarava di revocare il consenso al divorzio, facendo presente di essere anche cittadina italiana e che, nella specie, difettava il presupposto, richiesto dalla legge nazionale italiana, della separazione legale da almeno un triennio. Con sentenza 20 dicembre 1994, il Tribunale di Bari dichiarava lo scioglimento del matrimonio, disciplinando di conseguenza i rapporti patrimoniali tra le parti. Osservava il tribunale: a) che nella specie, ai sensi dell'art. 18 preleggi, era applicabile la legge svizzera, quale ultima legge nazionale comune ai coniugi;
b) che, . secondo le previsioni di tale legge, sussistevano le condizioni per la pronuncia di divorzio;
c) che la revoca unilaterale del consenso era inammissibile, in quanto non prevista dalla legge. La decisione, impugnata dalla S, era riformata dalla Corte d'appello di Bari che, con sentenza 17 settembre-10 ottobre 1996, dichiarava improseguibile l'istanza congiunta di divorzio presentata dai coniugi. La Corte territoriale, rilevato che la questione dell'ammissibilità della revoca del consenso era preliminare ad ogni altra, anche rispetto all'individuazione della legge nazionale applicabile, riteneva tale ہے revoca ammissibile, sotto il profilo sia processuale - quale rinuncia ad una domanda giudiziale che sostanziale, quale ritiro dell'adesione all'istanza concorde, - costituente presupposto indispensabile per l'esperimento della procedura prevista dall'art. 4, 13° comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898. In ordine alle pronunce accessorie, la Corte d'appello osservava che la caducazione delle convenzioni patrimoniali stabilite nell'iniziale ricorso era “ovvia e non contestata, a prescindere da specifiche statuizioni ultronee", mentre la domanda del D, di 3 restituzione delle somme da lui corrisposte nelle more alla S a titolo di mantenimento, era "generica, indimostrata e contestata”. Su ricorso del sig. D, la Corte di cassazione annullava la sentenza emessa dalla Corte di appello. Premesso che esattamente il giudice di merito aveva ritenuto la questione della revocabilità o meno del consenso pregiudiziale ad ogni altra, ivi compresa l'individuazione della legge nazionale applicabile per l'accertamento dei requisiti sostanziali per lo scioglimento del matrimonio, la Corte, con la sentenza n. 6664 del 1998, riteneva che l'istituto disciplinato dall'art. 4, comma 13, della legge n. 898 del 1970 non configurasse un'ipotesi di “divorzio consensuale", analogo alla separazione consensuale, sicché, escluso che la "revoca" di consenso da parte della S avesse determinato l'improcedibilità della domanda, annullava la sentenza impugnata, rimettendo al giudice di rinvio di esaminare la domanda congiunta presentata dai coniugi, con l'individuazione della legge nazionale applicabile, per la verifica dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del rapporto matrimoniale, e con il recepimento, in caso di esito positivo della verifica, degli accordi patrimoniali indicati nella domanda congiunta. La Corte dichiarava altresì assorbito il terzo motivo di ricorso, con il quale la sentenza della Corte di appello era stata censurata per il rigetto della domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione degli accordi contenuti nell'istanza congiunta. A seguito di riassunzione da parte del Sig. D, il quale insisteva per la pronunzia di cessazione degli effetti civili del matrimonio secondo la legge svizzera e per la validità ed efficacia degli accordi patrimoniali indicati nella domanda congiunta, la Corte di appello di Bari dichiarava improponibile la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario avanzata dai coniugi D e S, dichiarava caducati i patti patrimoniali convenuti nella domanda di divorzio e assorbita e superata ogni altra istanza e richiesta, con integrale compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio. La Corte territoriale rilevava che la Corte di Cassazione aveva demandato al giudice di rinvio il compito di esaminare la domanda congiunta di divorzio dei due coniugi D e S, in quanto non revocabile unilateralmente sotto il profilo processuale e, quindi, ammissibile, al fine di individuare la legge nazionale applicabile, per la verifica dei presupposti per la pronunzia di scioglimento del loro 4 rapporto matrimoniale, nonché di recepire, nell'ipotesi di esito positivo, gli eventuali accordi patrimoniali specificati nella domanda congiunta. Riteneva quindi che la legge applicabile dovesse individuarsi in quella italiana, poiché i coniugi erano entrambi cittadini svizzeri, ma, mentre il D aveva soltanto la cittadinanza svizzera, la S risultava avere la doppia cittadinanza, in quanto cittadina italiana iure sanguinis e cittadina svizzera iure matrimonii (art. 161, comma 1, c.c. svizzero), e ciò ai sensi della norma strumentale dell'art. 17 delle preleggi, in vigore all'epoca, e cioè prima della entrata in vigore della legge n. 218 del 1995. La Corte di appello riteneva quindi che, ai fini della applicazione della norma di diritto internazionale privato, l'istituto del divorzio dovesse essere qualificato come attinente non ai rapporti personali tra i coniugi, regolati dall'art. 18 delle preleggi, ma allo stato delle persone, regolato dall'art. 17, poiché, con la sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale, cessa tra le parti la reciproca qualità di coniuge e si instaura un nuovo status personale di ex coniuge. E, poiché in materia di stato e di capacità di persone l'art. 17 delle preleggi riconosce pieno vigore alla legge dello Stato cui esse appartengono, non avendo i coniugi la stessa cittadinanza ed F avendo la moglie anche la cittadinanza italiana, non poteva minimamente dubitarsi della necessaria applicazione della legge nazionale italiana, con l'ulteriore conseguenza che la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, proposta dai coniugi D e S, non poteva essere accolta, mancando i presupposti per la proponibilità della domanda di cui all'art. 3, n. 2, lettera b), della legge n. 898 del 1970 e successive modificazioni, e cioè la pronunzia di separazione giudiziale passata in cosa giudicata o il provvedimento di omologazione della separazione consensuale da almeno tre anni. La Corte di appello riteneva poi superate ed assorbite tutte le altre istanze e richieste formulate dalle parti e preclusa la richiesta subordinata di restituzione delle somme versate in esecuzione degli accordi contenuti nell'istanza congiunta, oggetto dell'appello incidentale, perché non riproposta né richiamata in sede di rinvio. Avverso tale decisione D Antonio ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria;
resiste con controricorso, del pari illustrato da memoria, S Rosanna. + 5 Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione del giudicato formatosi sul punto della legge applicabile. Dopo aver ripercorso le singole fasi del giudizio, il ricorrente sostiene che la sentenza della Corte di appello di Bari, con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, era stata dichiarata improseguibile la domanda congiunta di divorzio a seguito della revoca del consenso da parte di uno dei coniugi, presupponeva necessariamente l'accertamento che al rapporto dedotto in giudizio fosse applicabile la legge svizzera. Infatti, osserva il ricorrente, con la citata decisione, la Corte di appello di Bari avrebbe ritenuto non pronunziabile il divorzio non perché la legge italiana non lo prevedesse in base a ricorso congiunto, ma, ritenendolo pronunziabile in base alla legge svizzera e dunque ritenendo applicabile quest'ultima, per l'efficacia della intervenuta revoca unilaterale al consenso prestato al ricorso congiunto da parte della S. E poiché tale presupposto logico della decisione della Corte di appello non aveva formato oggetto di impugnazione da parte della S, il giudice del rinvio, a seguito della intervenuta cassazione della citata sentenza, non avrebbe più potuto porre in discussione la questione della legge applicabile, giungendo ad affermare l'applicabilità della legge italiana, se non in violazione dei principi che regolano la formazione del giudicato implicito. Del resto, osserva il ricorrente, la stessa Corte di cassazione, nell'accogliere il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, si era pronunciata sulla questione della efficacia della revoca unilaterale al ricorso congiunto sia sotto il profilo processuale, sia sotto il profilo dei riflessi patrimoniali in esso contenuti e solo su questo la Corte poteva pronunciarsi, non essendo la sentenza di merito stata impugnata che per quel motivo. La Corte ha dunque statuito che la revoca unilaterale è inefficace e non rende improseguibile il ricorso congiunto, in tal modo implicitamente ritenendo applicabile nel caso la legge svizzera, giacché secondo la legge italiana non può essere chiesto né ottenuto il divorzio né unilateralmente, né tantomeno congiuntamente, se non dopo la sentenza di separazione ovvero dopo l'omologazione della separazione consensuale e comunque tre anni dopo che i coniugi sono stati autorizzati dal Presidente del Tribunale a vivere separatamente. L'applicabilità della legge svizzera, per la Corte di cassazione, ha costituito la premessa maggiore del ragionamento deduttivo del quale l'efficacia della revoca unilaterale del consenso era stata la premessa minore. Né sarebbe stato possibile porre dinanzi alla Corte di appello e poi dinanzi alla Corte di cassazione la questione dell'efficacia della revoca al fine di stabilire la proseguibilità o l'improseguibilità del ricorso congiunto, se fosse stata riconosciuta l'applicabilità della legge italiana e non di quella svizzera. Senza dire che in sede di rinvio non era stata discussa la questione della legge applicabile, non essendo stata tale questione, neanche in quella sede, riproposta dalla S;
e tuttavia, la Corte di appello, forse tratta in inganno da un obiter dictum contenuto nella sentenza n. 6664 del 1998 di questa Corte, ha ritenuto di poter esaminare la questione ancorché preclusa dalla formazione del giudicato. Il motivo è infondato. L'assunto del ricorrente è che sul punto della legge nazionale applicabile al rapporto dedotto in giudizio si sia formato il giudicato implicito, nel senso che la Corte di appello di Bari, con la sentenza del 1996, in tanto avrebbe potuto affrontare la questione della revocabilità o meno del consenso in ipotesi di domanda congiunta di divorzio, in quanto aveva di fatto ritenuto applicabile a quel rapporto la legge nazionale svizzera. Un simile assunto tuttavia, risulta smentito dalla lettura, consentita al Collegio in considerazione della natura della censura proposta (Cass., S.U., 6 dicembre 1971, n. 311;
Cass., 2 giugno 1998, n. 5406), sia della sentenza della Corte di appello, sia di quella della Corte di cassazione, che la prima ha cassato. Dalla ricostruzione della vicenda processuale, come riportata nel ricorso e quale risulta dalle sentenze emesse nel corso del giudizio, emerge infatti che la Corte ui di appello di Bari, nel riformare la sentenza del locale Tribunale, che aveva J dichiarato lo scioglimento del matrimonio e disposto in ordine ai rapporti patrimoniali, ha "rilevato che la questione della ammissibilità della revoca unilaterale del consenso e delle conseguenze di tale condotta fosse preliminare ad ogni altra, anche rispetto alla individuazione della legge nazionale applicabile”. Sulla base di tale premessa ha poi ritenuto “tale revoca ammissibile sia sotto il profilo processuale, quale rinunzia ad una domanda giudiziale, sia sotto il profilo sostanziale, quale ritiro della domanda congiunta di accertamento giudiziale della esistenza di una causa di 7 divorzio, domanda costituente il presupposto indispensabile per dare accesso alla speciale procedura ex art. 4 comma 13° della legge n.898 del 1970, trattandosi di domanda non avente natura negoziale". Questa Corte, a sua volta, nella sentenza n. 6664 del 1998, emessa su ricorso proposto dall'attuale ricorrente, nell'esaminare congiuntamente i primi due motivi, ha "preliminarmente" rilevato che "esattamente la Corte d'appello ha ritenuto la questione della revocabilità o meno del consenso pregiudiziale ad ogni altra, ivi compresa l'individuazione della legge nazionale applicabile per l'accertamento dei requisiti sostanziali per lo scioglimento del matrimonio", ed ha precisato che "la revocabilità o meno del consenso attiene ai presupposti processuali della domanda, cioè alla legge regolatrice del processo, legge che in ogni caso deve essere quella italiana, ai sensi sia dell'art. 27 preleggi (vigente all'epoca di presentazione della domanda), che dell'art. 12 1. 31 maggio 1995, n. 218, indipendentemente dalla legge applicabile per la disciplina del rapporto sostanziale”. Peraltro, ha soggiunto la Corte, "poiché i coniugi hanno scelto di proporre la domanda di divorzio in Italia, con conseguente applicabilità della legge processuale italiana, e poiché le questioni relative all'ammissibilità e alla procedibilità della domanda, in quanto questioni processuali, precedono le questioni di carattere sostanziale, l'individuazione della legge, se italiana o svizzera, in base alla quale vanno verificati i requisiti per il divorzio, deve necessariamente seguire la soluzione del problema della procedibilità della domanda, conseguente alla revoca del consenso operata da uno dei coniugi”. Quindi, dopo aver esaminato e qualificato la domanda congiunta prevista dall'art. 4, 13° comma, della legge n. 898 del 1970, escludendo che tale istituto configuri una ipotesi di divorzio consensuale, analogo alla separazione consensuale, poiché il giudice non è condizionato al consenso dei coniugi, ma deve verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del matrimonio, e dopo aver ritenuto inammissibile la revoca del consenso, in ragione della natura di accordo negoziale e processuale da attribuirsi alla domanda congiunta, la Corte ha accolto il primo e il secondo motivo di ricorso, rilevando che, "contrariamente a quanto affermato dalla corte d'appello, la revoca di consenso da parte della S non ha determinato l'improcedibilità della domanda congiunta presentata dai coniugi" e ha conseguentemente cassato la sentenza impugnata statuendo che "la domanda va i quindi esaminata, con l'individuazione della legge nazionale applicabile, per la verifica dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del rapporto matrimoniale, e con il recepimento, in caso di esito positivo della verifica, degli accordi patrimoniali indicati nella domanda congiunta". Questo era dunque il compito demandato da questa Corte alla Corte di appello di Bari, quale giudice di rinvio. In simile contesto, appare evidente che nessun giudicato implicito può ritenersi formato sulla questione della legge nazionale applicabile al rapporto matrimoniale. Tanto la Corte di appello, quanto questa Corte, nella citata sentenza, infatti, hanno esaminato la vicenda ritenendo che il problema della revocabilità della domanda congiunta fosse preliminare all'accertamento della legge nazionale applicabile e questa Corte, in particolare, nel cassare la sentenza impugnata, ha demandato esplicitamente al giudice di rinvio di esaminare la domanda individuando la legge nazionale applicabile per verificare la sussistenza dei presupposti per lo scioglimento del rapporto matrimoniale. Né al riferimento alla “individuazione della legge nazionale applicabile” può riconoscersi, come preteso dal ricorrente, la natura di mero obiter dictum, giacché alcuna valutazione in ordine alla legge nazionale applicabile può ritenersi sia stata effettuata dalla Corte di appello, prima, e da questa Corte, poi. Del resto, la individuazione della legge nazionale applicabile attiene alla valutazione del merito della domanda congiunta, attiene, cioè alla verifica dei presupposti per lo scioglimento del rapporto matrimoniale. Altra cosa è invece quella della valutazione, da condurre alla stregua della legge processuale italiana, della revocabilità o meno del consenso di uno dei due coniugi alla domanda congiunta presentata ai sensi dell'art. 4, comma 13, legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74. Dalla valutazione in ordine a tale profilo, non può dunque farsi discendere alcuna conseguenza in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti per lo scioglimento del rapporto matrimoniale. Il ricorrente, sostenendo che soltanto nel caso in cui la Corte di appello di Bari avesse ritenuto applicabile la legge svizzera, si sarebbe potuto discutere della rilevanza della revoca unilaterale del consenso, sembra supporre che la domanda congiunta ex art. 4, comma 13, sia proponibile soltanto nel concorso dei requisiti sostanziali per la pronuncia di scioglimento del matrimonio. Al contrario, la 9 "a formulazione dell'art. 4, comma 13 ("La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, è proposta con ricorso al tribunale in camera di consiglio. Il tribunale, sentiti i coniugi, verificata l'esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all'interesse dei figli, decide con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli siano in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8 del presente articolo”), è esplicita nel senso di rimettere al giudice l'accertamento dei presupposti di legge per lo scioglimento del rapporto (in proposito, v. Cass., 14 ottobre 1995, n. 10763), presupposti che, ovviamente, vanno verificati alla stregua della legge nazionale applicabile. Risulta dunque evidente che la decisione circa la possibilità o meno di revocare il consenso alla domanda congiunta ex art. 4, comma 13, non comporta di per sé la individuazione della legge nazionale applicabile;
verifica, questa, che poteva essere compiuta solo dopo avere escluso la rilevanza o l'ammissibilità della revoca di consenso alla domanda congiunta. In sostanza, la valutazione sulla revocabilità o meno del consenso non presuppone che sia stata individuata la legge nazionale applicabile e la Corte di appello di Bari, nell'esaminare preliminarmente la questione della ammissibilità della revoca, non ha, neanche implicitamente, assunto quale antecedente logico giuridico indispensabile l'applicabilità al rapporto della legge nazionale svizzera. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza della Corte di appello di Bari per avere ritenuto applicabile l'art. 17 delle preleggi e non l'art. 18, in base al quale si sarebbe dovuta applicare la legge nazionale comune ai coniugi, nella specie نسل quella svizzera. Il giudice del rinvio avrebbe confuso la causa con l'effetto, in quanto oggetto del giudizio di rinvio era la proseguibilità del ricorso congiunto del 1994, mentre lo status conseguente alla pronuncia sarebbe soltanto l'effetto della pronuncia sulla proseguibilità del ricorso congiunto. Anche questo motivo è infondato. Il ricorrente, infatti, non contesta che in tema di divorzio la disciplina debba essere individuata alla stregua dell'art. 17 delle preleggi (applicabile ratione temporis);
si duole in realtà del fatto che il giudice di merito non abbia considerato che oggetto del proprio accertamento era la 10 proseguibilità o meno della domanda congiunta, rappresentando una mera conseguenza della eventuale ritenuta proseguibilità di detta domanda lo scioglimento del matrimonio. Una simile argomentazione non può tuttavia essere condivisa, poiché il giudice del rinvio, come statuito da questa Corte, era tenuto ad esaminare nel merito la domanda congiunta proposta dai coniugi e ad individuare la legge nazionale applicabile. La Corte di appello di Bari si è dunque attenuta a tale principio e non ha, come sostenuto dal ricorrente, "confuso la causa con l'effetto", avendo proceduto alla individuazione della legge nazionale applicabile alla stregua dell'art. 17 preleggi, nel testo vigente al momento della presentazione della domanda. Così argomentando, il ricorrente sembra supporre che oggetto del giudizio non fosse la dichiarazione di scioglimento del matrimonio, ma la mera proseguibilità della domanda congiunta, in quanto tale e senza alcuna considerazione dell'oggetto di quella domanda, come se l'interesse delle parti potesse essere limitato a sentire affermare dal giudice del rinvio che la domanda era proseguibile e non anche a sentire dichiarare lo scioglimento del rapporto matrimoniale. Correttamente dunque, il giudice di rinvio ha proceduto, come richiesto dalla sentenza n. 6664 del 1998 di questa Corte, ad esaminare la domanda in vista degli effetti che questa era destinata a produrre e ad individuare la legge applicabile alla stregua dell'art. 17 delle preleggi. E che alla domanda congiunta di divorzio presentata da due coniugi, uno dei quali avente anche la cittadinanza italiana, dovesse essere applicata la legge italiana, non può revocarsi in dubbio, giacché ai fini dell'applicazione delle norme di diritto internazionale privato, l'istituto del divorzio va qualificato come attinente non ai rapporti personali tra coniugi (per i quali trova applicazione l'art. 18 preleggi, vigente al momento di presentazione della domanda), Jui ma allo stato delle persone, in quanto con la sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale cessa tra le parti la reciproca qualità di coniugi (nel senso che il giudizio di delibazione delle sentenza straniere di divorzio debba essere condotto alla stregua dell'art. 17 preleggi, v. Cass., S.U., 19 settembre 1978, n. 4189;
Cass., 28 luglio 1977, n. 3361;
Cass., Cass., 7 maggio 1976, n. 1593). Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione sull'inefficacia degli accordi patrimoniali contenuti nel ricorso congiunto del 1994. Nella sentenza n. 6664 del 1998, osserva il ricorrente, la Corte 11 aveva accolto il motivo di ricorso concernente la mancanza di adeguata motivazione della decisione della Corte di appello nella parte in cui aveva dichiarato caducati gli accordi patrimoniali in forza della mera revoca del consenso da parte della sola moglie, ed aveva demandato al giudice di rinvio di motivare sul punto e di non ritenere tali accordi caducati a causa della improseguibilità del ricorso per effetto di revoca unilaterale. Il vizio della sentenza impugnata consisterebbe quindi in ciò che il giudice di rinvio non avrebbe distinto la rilevanza processuale del ricorso congiunto del 1994 dalla rilevanza ed efficacia negoziale delle intese ivi contenute. Anche questo motivo è infondato. Correttamente il giudice di rinvio, dopo aver rilevato che, dovendosi applicare la legge italiana, la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio proposta congiuntamente dai coniugi D e S non poteva essere accolta, mancando i presupposti per la proponibilità della domanda di cui all'art. 3, n. 2, lettera b), della legge n. 898 del 1970 e successive modificazioni, e cioè la pronunzia di separazione giudiziale passata in cosa giudicata o il provvedimento di omologazione della separazione consensuale da almeno tre anni, ha ritenuto venute meno le convenzioni patrimoniali intervenute. Deve infatti escludersi che gli accordi patrimoniali raggiunti dai coniugi e consacrati nella domanda congiunta di divorzio abbiano una loro autonomia, essendo essi pur sempre subordinati alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio. E del resto, poiché questa Corte, nel cassare la sentenza della Corte di appello del 1996, aveva demandato al giudice di rinvio il compito di "individuare la legge nazionale applicabile, per la verifica dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del rapporto matrimoniale, e con il recepimento, in caso di esito positivo della verifica, degli accordi patrimoniali indicati nella domanda congiunta", risulta evidente che il recepimento di quegli accordi era subordinato all'accertamento positivo della sussistenza dei presupposti per lo scioglimento del matrimonio. Avendo il giudice di rinvio concluso la verifica demandatagli nel senso della improponibilità della domanda congiunta, non vi era quindi alcun obbligo ulteriore di motivazione in ordine alla caducazione dei suddetti accordi. In conclusione, il ricorso deve essere respinto;
si ritiene tuttavia equo compensare integralmente tra le parti anche le spese del presente giudizio. 12

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi