Cass. pen., sez. III, sentenza 09/09/2021, n. 33419
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Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1) LI IN, nato a [...] al Vomano il 01/09/1950 2) VI ER, nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 17/06/2019 della Corte di appello di L'Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ferdinando Lignola, che ha concluso chiedendo: l'annullamento senza rinvio agli effetti penali per prescrizione dei reati;
il rigetto dei ricorsi agli effetti civili;
l'annullamento con rinvio in ordine alla confisca;
uditi i difensori delle parti civili i quali hanno concluso riportandosi alle conclusioni scritte depositate: avv. Loredana Tulino in sostituzione dell'avv. Gianni Falconi per la Città di Giulianova;
avv. Paolo Giulio Mastrangelo per IO FE;
avv. Libera D'ameno per Giulianova Patrimonio Srl;
avv. Gennaro Lettieri per Condominio Tritone e LD RI;
uditi per i ricorrenti l'avv. Gabriele Rapali per ER VI e gli avv. Franco Coppi e ER Borgogno per IN LI, i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento delle conclusioni dei ricorsi e, quanto al ricorrente LI, in subordine, la declaratoria di prescrizione dei reati.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17 giugno 2019, la Corte d'appello di L'Aquila ha confermato la decisione con cui ER VI e IN LI - nei cui confronti era stato dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine alle contravvenzioni urbanistica e paesaggistica contestate al capo A) e ai delitti di falso in atto pubblico ed abuso d'ufficio contestati al capo B) - erano stati condannati alle pene di legge per il reato di abuso d'ufficio loro ascritto al capo C) e, quanto ad VI, anche per il reato di falso ideologico di cui al medesimo capo. In particolare, gli addebiti si riferivano, quanto ad VI, nella qualità di responsabile del procedimento amministrativo, per aver falsamente attestato la regolarità tecnica dei lavori di un progetto presentato in variante a precedente permesso di costruire (già illegittimamente rilasciato) e, quanto ad entrambi, nell'aver intenzionalmente procurato un ingiusto vantaggio alla società LI Arti e Restauri Srl alla quale era stato conseguentemente rilasciato, in violazione del d.m. 1444/1968 e della norme tecniche di attuazione al P.R.G. del comune di Giulianova, il richiesto permesso di costruire in variante, a firma del dirigente comunale Flaviano OR, coimputato nel delitto di cui all'art. 323 cod. pen. ed assolto in primo grado perché il fatto non costituisce reato.
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo dei difensori di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati, deducendo i motivi di seguito enunciati.
3. Con il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di ER VI, si deducono l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 9 d.m. 1444/1968, degli artt.
1.6.4 e 1.6.5 n.t.a. P.R.G. di Giulianova, dell'art. 5, comma 1, lett. b- bis) I. 14 giugno 2019, delle norme civilistiche relative alla determinazione della distanza tra edifici, la violazione del divieto di analogia in malam partem in tema di interpretazione di norme extrapenali integrative della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 44 d.P.R. 380/2001, nonché l'esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ed il vizio di motivazione. Si lamenta, in particolare, che l'affermazione di penale responsabilità poggi sull'erroneo rilievo, assunto in violazione della richiamata normativa, secondo cui la distanza tra l'edificando fabbricato e quelli antistanti fosse inferiore a quella prescritta di dieci metri perché la stessa doveva essere calcolata non già dalla parete del primo - che l'arch. VI, nel parere di regolarità, aveva correttamente definito "cieca", vale a dire, "non finestrata" - bensì dallo spigolo dei ballatoi aperti che sulla parete aggettano. La sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto che, poiché sui predetti ballatoi si aprivano le porte di accesso agli appartamenti, le pareti dovevano considerarsi "finestrate" (donde la falsa attestazione che il tecnico comunale avrebbe compiuto) e che, posto che da quei ballatoi ci si sarebbe potuti affacciare sul fondo finitimo, la distanza dall'edificando fabbricato si sarebbe dovuta computare dal limite esterno degli stessi (donde l'ulteriore falsa attestazione sulla regolarità edilizia del progetto in variante e la conseguente violazione di legge del relativo permesso di costruire). Così facendo, tuttavia, si erano violati sia l'art. 9 d.m. 1444/1968 (che prevede il calcolo delle distanze dalle pareti), sia la conforme disciplina urbanistica comunale di attuazione al P.R.G. (che precisa come soltanto nel caso in cui i ballatoi siano chiusi, e determinino volume, la distanza va calcolata dal loro limite esterno). Facendosi improprio riferimento alle norme civilistiche sulle vedute (artt. 900, 905 e 906 cod. civ.) - che non rilevano laddove, come nella specie, si tratti della disciplina sulle distanze tra i fabbricati ai fini igienico-sanitari - si era inoltre fatta interpretazione analogica in malam partem di norme extrapenali ritenute integratrici della contravvenzione prevista dall'art. 44 d.P.R. 380/2001, di cui era stata quindi erroneamente ritenuta la sussistenza per asserita macroscopica illegittimità del permesso di costruire, ciò che aveva costituito il fondamento dell'affermazione di penale responsabilità anche per i reati di cui al capo C) per i quali la pronuncia di condanna era stata confermata. L'art. 5, comma 1, lett. b-bis, della citata legge c.d. "sbocca cantieri", aveva poi dettato una norma d'interpretazione autentica - quindi efficace ex tunc - in forza della quale la distanza minima assoluta di 10 metri lineari tra fabbricati di cui all'art. 9 d.m. 1444/1968 era applicabile soltanto alle costruzioni ricadenti in zona C del piano regolatore (zone di espansione) e non anche a quelle che, come nella specie, ricadono in zona B2. Non era pertanto applicabile neppure la norma sulle distanze tra costruzioni parannetrata sull'altezza del fabbricato più alto, che già le n.t.a. al P.R.G. come modificate nel 2013 avevano peraltro limitato alle sole zone C e che, comunque, nella specie erano, state rispettate, posto che i vicini fabbricati erano stati edificati Prima dell'adozione del piano regolatore, ad una distanza inferiore alla metà della loro altezza, e che il nuovo fabbricato distava dai medesimi almeno sei metri. Del pari erronea era la ritenuta violazione delle norme tecniche di attuazione con riguardo alla distanza del fabbricato dal fronte strada, posto che - errando nella valutazione degli elementi di prova acquisiti e di atti pubblici fidefacienti - la sentenza aveva ritenuto che la strada su cui l'edificio si affaccia abbia larghezza superiore a 15 metri, piuttosto che inferiore, ciò che imponeva di individuare la fascia di rispetto in soli 7,5 metri, nella specie esistenti.
3.1. Con il secondo motivo di ricorso, si deducono violazione delle norme giuridiche di cui sopra, dell'art. 323 cod. pen. e dell'art. 107 T.U.E.L., nonché vizio di motivazione, anche per travisamento della prova. Si lamenta, in particolare, che la sentenza impugnata, che non contiene una compiuta ed adeguata motivazione sulla presunta illegittimità dell'originario permesso di costruire e del relativo nulla- osta paesaggistico, a suo tempo rilasciati dal ricorrente, ne abbia affermato la responsabilità penale per il permesso di costruire in variante rilasciato dal dirigente ing. OR, assolto già in primo grado. Al più - si rileva - il ricorrente potrebbe essere chiamato a rispondere del solo reato di falso ascrittogli, da considerarsi assorbente rispetto all'abuso di ufficio. Oltre a richiamare la legittimità del permesso di costruire in variante per i rilievi operati nel primo motivo, il ricorrente lamenta • l'insussistenza del dolo intenzionale richiesto dal delitto di cui all'art. 323 cod. pen. e l'illogicità della motivazione con riguardo ai presunti elementi indicatori dello stesso quali argomentati nella sentenza impugnata. Si sottolinea, in particolare, che: al Comune di Giulianova era prassi escludere i ballatoi aggettanti dal calcolo delle distanze;
correttamente l'imputato aveva assunto il ruolo di responsabile del procedimento stante l'assenza, per aspettativa, del tecnico addetto a tale compito e aveva incaricato l'ing. OR di curare il rilascio del permesso in variante;
al momento del rilascio dello stesso - che non era stato il ricorrente a consegnare brevi manu a IN LI - non era nota in Comune l'ordinanza del Tribunale civile di Teramo che aveva ordinato la sospensione dei lavori nel cantiere;
egli ed il suo ufficio avevano sempre agito con trasparenza nel verificare gli esposti presentati in Comune dai proprietari confinanti;
il coimputato LI non era mai stato da lui favorito.
3.2. Con il terzo motivo di ricorso si deducono violazione della legge penale con riguardo al ritenuto delitto di cui all'art. 479 cod. pen., sia per la già argomentata inesistenza di false attestazioni, sia perché il parere istruttorio, in quanto finalizzato al rilascio di un provvedimento che costituisce mera autorizzazione amministrativa e comunque non vincolante, non poteva costituire atto pubblico ed essere dunque ricondotto alla contestata fattispecie incriminatrice.
3.3. Con l'ultimo motivo di ricorso ci si duole della conferma delle statuizioni in favore delle parti civili costituite pur in assenza di lesione di diritti soggettivi.
4. Con il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di IN LI, si lamentano violazione dell'art. 178, lett. c), cod. proc. pen. e dei principi del giusto processo sanciti dall'art. 111, terzo comma, Cost., e 6, comma 3, lett. d), CEDU, in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva, vale a dire l'audizione del consulente tecnico della difesa arch. ER Evangelisti. Illegittimamente il tribunale, dopo aver ammesso la prova con