Cass. civ., sez. V trib., sentenza 13/10/2022, n. 29988

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 13/10/2022, n. 29988
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 29988
Data del deposito : 13 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente

SENTENZA

Sul ricorso n. 7351-2017, proposto da: M S, cf. MNNSVT56B24L2590, elettivamente domiciliato in Roma, al V.le Eritrea n. 20, presso lo studio dell'avv. G G, dal quale è rappresentato e difeso - Ricorrente

CONTRO

AGENZIA DELLE ENTRATE, cf 06363391001, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende - Controricorrente Avverso la sentenza n. 8041/17/2016 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 16.09.2016;
udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 9 giugno 2022 dal Consigliere dott. F F, lette le conclusioni scritte della Procura Generale, in persona del Sost. Proc. Generale dott.ssa P F, che ha chiesto il rigetto del ricorso, nonché delle parti;
RGN 7351/2017 Coni ere est. Federici /9-c l' FATTI DI CAUSA L'Agenzia delle entrate notificò a M S, esercente attività di gioielliere e orafo, l'avviso d'accertamento relativo all'anno d'imposta 2006, recuperando ad imponibile redditi non dichiarati e rideterminando l'Irpef, l'Irap e l'Iva. L'atto impositivo, che trovava fondamento nella verifica fiscale condotta da militari della GdF sulle movimentazioni del conto corrente bancario del contribuente, fu impugnato dal M dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli. Il contribuente denunciò il difetto di motivazione dell'atto, la carenza di autorizzazione all'espletamento delle indagini bancarie, la decadenza dal potere d'accertamento. Con sentenza n. 17632/06/2014 il giudice di primo grado, superati i primi due motivi, accolse il ricorso sull'assunto che l'Amministrazione finanziaria fosse decaduta dal potere di accertamento. Ritenne che mancavano i presupposti per il raddoppio dei termini, previsti dall'art. 43, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ratione temporis vigente. L'appello proposto dall'Ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania fu irvece accolto con la sentenza n. 8041/17/2016. Il giudice regionale ha ritenuto che ai fini del raddoppio dei termini per procedere all'accertamento fosse sufficiente che le contestazioni dell'Ufficio costituissero un fatto comportante l'obbligo di denuncia, ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., senza necessità di una formale imputazione o di una pronuncia, e che ricorressero dunque i presupposti previsti dalla legge. Il ricorrente ha censurato la pronuncia con due motivi, chiedendo la cassazione della decisione, cui ha resistito l'Agenzia delle entrate con controricorso. le 't, tu 7314-tcL ‘9,-i4k--t-b e 14431--(-L Con ordinanza interlocutoria del 5 giugno 2018, n. 14419, la sezione sesta civile - Tributaria ha disposto la rimessione del giudizio alla Quinta Sezione civile con particolare riguardo alla riferibilità della rilevanza penale della fattispecie al tempus commissi delicti o al tempo dell'accertamento. All'esito della udienza pubblica del 9 giugno 2022, celebrata ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni in I. 18 dicembre 2020, n. 176, la causa è stata riservata e decisa. RAGIONI DELLA DECISIONECon il primo motivo il ricorrente invoca la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 132 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., quanto all'omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia, relativo alla irrilevanza penale della fattispecie nell'anno d'imposta oggetto di verifica e dunque alla insussistenza dei presupposti per il raddoppio dei termini d'accertamento;
con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 43 del d.P.R. [29 settembre 1973, n. 600] e dell'art. 4 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, quanto alla inesisten2:a dell'obbligo di denuncia dell'omessa dichiarazione per contestazioni inferiori alla soglia di rilevanza penale della condotta, secondo la norma ratione temporis vigente. I due motivi possono essere trattati congiuntamente perché connessi. Con essi il ricorrente, sotto i profili dell'omessa pronuncia e della violazione di legge, ha denunciato l'erroneità della decisione per non aver tenuto conto che all'epoca dei fatti, anno 2006, la soglia di punibilità per la dichiarazione infedele era superiore (C 100.000,00) a quella contestata al contribuente (C 76.000,00). Deve rammentarsi che l'art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni in I. 4 agosto 2006, n. 248, integrando il terzo comma dell'art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, aveva previsto, per le ipotesi in cui la violazione fiscale comportasse l'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, che gli ordinari termini di decadenza per l'accertamento raddoppiano relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. L'art. 37, co. 25 del d.l. n. 223 cit. ha introdotto analoga disposizione in materia di Iva, con modifica dell'art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Sono queste le disposizioni applicabili al caso di specie, benché esso sia relativo al 2006, cioè al periodo di imposta durante il quale la normativa è stata introdotta. Ciò in quanto, ai sensi dell'art. 37, comma 26, del d.l. citato, il raddoppio dei termini si applicava dal periodo d'imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge, fossero ancora pendenti i termini ordinari per l'accertamento. Deve invece escludersi l'applicabilità delle modifiche introdotte dall'art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che ha circoscritto il RGN 7351/2017 Cons re st. Federici raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia fosse stata effettivamente presentata e trasmessa all'autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento;
nonché quelle introdotte dall'art. 1, commi 130, 131 e 132, della I. 28 dicembre 2015, n. 208, con cui infine è stata soppressa la disciplina relativa al raddoppio dei termini ordinari. Quanto alla prima modifica, in virtù dell'apposita norma di salvaguardia prevista dall'art. 2 del d.lgs. n. 128 cit., la stessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quale quella per cui è causa (notifica del 5.06.2012). Quanto alla seconda, il regime transitorio previsto dalla I. n. 208 cit. per i periodi d'imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 - secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall'Amministrazione Finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 - riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irroga2:ione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell'art. 3 comma 2, del d.lgs. n. 128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l'Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass., 14 maggio 2018, n. 11620;
16 dicembre 2016, n. 26037;
9 agosto 2016, n. 16728). Individuata la disciplina applicabile al caso di specie, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., indipendentemente dall'effettiva presentazione della denuncia, dall'inizio dell'azione penale e dall'accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l'azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (cfr. Cass., 13 settembre 2018, n. 22337;
30 maggio 2016, n. 11171;
2 luglio 2020, n. 13481). RGN 7351/2017 Con ere est. Federici Il principio trova riscontro nella sentenza 20 luglio 2011, n. 247, della Corte Costituzionale, secondo cui l'unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell'obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l'amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento» (cfr. anche Cass.,, 30 ottobre 2018, n. 27629). Il raddoppio infatti attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch'essi fissati direttamente dalla legge, come tali operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all'Ufficio sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. Non vi è obbligo per -tanto neppure di esternare le ragioni in base alle quali l'Agenzia ritenga operante il raddoppio del termine, esulando l'applicazione da scelte discrezionali. Perimetrata la disciplina, così come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie il ricorrente lamenta che la sentenza è viziata per non essersi pronunciata sulla questione, sollevata tempestivamente già dinanzi al giudice di primo grado e poi reiterata in sede d'appello, e comunque per aver erroneamente interpretato la disciplina, relativamente alla sussistenza nel caso concreto dei suoi presupposti applicativi. Nel concreto il M rappresenta che le contestazioni a lui addebitate consistevano nella infedele dichiarazione di ricavi inferiori a quelli accertati e per l'effetto di imposte inferiori a quelle dovute. Sennonché tali contestazioni non erano utili al superamento della soglia prescritta dall'art. 4 del d.l. 74 del 2000 vigente nell'anno 2006 (C 100.000,00), perché per ciascuna delle contestazioni elevate con l'avviso d'accertamento, e prima ancora con il processo verbale di constatazione, quella soglia non era stata superata. A fronte di tali contestazioni la decisione del giudice regionale ha sviluppato una argomentazione tutta rivolta a dimostrare la sufficienza che RGN 7351/2017 Consi ilre e t. Federici i;tct, la condotta importi un obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., in quanto penalmente rilevante, senza rilevare se tale denuncia fosse stata trasmessa anche dopo il decorso dei termini ordinari d'accertamento, men che meno che dalla denuncia fosse scaturita una imputazione o una pronuncia. Con tali argomenti il giudice regionale ha del tutto ignorato le ragioni giuridiche ed il dato fattuale su cui il contribuente insisteva, ossia che il maggior reddito accertato comunque non perfezionava una ipotesi di reato, ai sensi dell'art. 4 cit. Il motivo trova accoglimento. Va innanzitutto chiarito che al contribuente si ritenne astrattamente contestabile il reato di infedele dichiarazione, previsto dall'art. 4 del d.l. n. 74, che, nella formulazione vigente ratione temporis, recitava «Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire duecento milioni (C 103.286,57);
b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a lire quattro miliardi». Solo con successiva modifica della norma, introdotta con d.l. 13 agosto 2011, n. 138, la soglia di punibilità scese ad C 50.000,00. Ebbene, l'applicabilità al caso di specie della disciplina vigente all'epoca della condotta evasiva posta in essere dal M discende dagli stessi principi penalistici, atteso che ai fini del raddoppio dei termini d'accertamento era certamente sufficiente l'obbligo di denuncia penale, a prescindere dalla effettiva comunicazione del reato, ma perché questo obbligo potesse manifestarsi era altrettanto ovvio che per l'addebito di una condotta penalmente rilevante fosse necessaria quanto meno la sua astratta configurabilità e addebitabilità. E l'assenza dei presupposti per attribuire rilevanza penale alla condotta tenuta dal contribuente, attesa la contestazione della mancata dichiarazione di redditi -e dunque per l'infedele RGN 7351/2017 Con re st. Fede rici dichiarazione- per un importo al di sotto della soglia prevista dall'art. 4 cit., escludeva anche astrattamente il reato medesimo. Né può reputarsi pertinente che nelle more del termine ordinario di decadenza del potere accertativo una determinata condotta, violativa dei soli obblighi fiscali, abbia successivamente assunto anche rilevanza penale. Ciò è quanto accaduto nel caso ora al vaglio di questa Corte, in cui, abbassandosi la soglia dell'entità di imposta non dichiarata ai fini della perseguibilità penale dell'infedele dichiarazione, a seguito della modifica introdotta ad opera del d.l. n. 138 del 2011 sull'art. 4 cit. (da 100 a 50 mila C), la condotta, prima irrilevante ai fini penali, solo da quella data (agosto 2011) ha assunto rilievo. Una soluzione interpretativa opposta contrasterebbe con i principi generali del sistema penale, ed in particolare con l'art. 2 cod. pen. sulla non punibilità dei fatti non costituenti reato all'epoca della loro commissione. Tale principio è infatti strettamente connesso alla sussistenza, ai fini dell'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell'obbligo di denuncia, che non può insorgere successivamente alla tenuta della condotta medesima neppure ai soli fini fiscali. Né una diversa interpretazione trova appiglio nella previsione contenuta nell'art. 37, comma 26, del d.l. 223 del 2006, secondo cui il raddoppio dei termini trovava applicazione anche ai periodi d'imposta per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto legge, fossero ancora pendenti i termini ordinari per l'accertamento. È pur vero infatti che la previsione consentiva una applicazione del raddoppio dei termini di accertamento anche ad annualità pregresse rispetto alla sua introduzione, ma ciò atteneva pur sempre ad ipotesi nelle quali la condotta tenuta dal contribuente fosse già penalmente rilevante nell'anno in cui la disciplina risultava retrodatata, laddove nel caso di specie mancava proprio il presupposto del raddoppio dei termini, ossia la rilevanza penale di quella condotta (cfr. Cass., 28 aprile 2021, n. 11156, che indirettamente conferma la soluzione interpretativa ora esposta). D'altronde il riferimento della rilevanza penale al tempo dell'accertamento condurrebbe a soluzioni aberranti in ipotesi, come quella per cui è causa, in cui la condotta ha assunto rilevanza penale a distanza di oltre quattro anni dalla sua tenuta ed a soli cinque mesi dalla decadenza dal potere accertativo. RGN 7351/2017 ConsigMi -e est. Fede rici A questi principi la commissione regionale non sì è adeguata, concentrandosi esclusivamente sui presupposti di applicabilità del terzo comma dell'art. 43 cit., all'epoca vigente„ senza tuttavia avvedersi che, come correttamente indicato dal contribuente, occorreva prioritariamente verificare se la condotta illecita, a questi addebitata sotto il profilo fiscale, perfezionasse ad un tempo una condotta penalmente rilevante. Il ragionamento omette dunque del tutto la verifica del presupposto stesso del raddoppio dei termini, con ciò incorrendo in una omessa pronuncia sulla specifica censura proposta dal contribuente sin dal primo grado di giudizio avverso la validità dell'avviso d'accertamento, in ragione della decadenza dell'Ufficio dal potere accertativo. Né con le sue difese la controricorrente si è premurata di chiarire se, unitamente alla ipotesi di infedele dichiarazione, al contribuente fossero state contestate ulteriori condotte fiscali perfezionanti anche illeciti penali. In conclusione il ricorso è fondato e la sentenza va cassata. Non evidenziandosi la necessità di accertamenti di fati:o da demandare al giudice del rinvio, la causa può essere decisa anche nel merito ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. A tal fine, essendo incontestato che l'anno d'imposta accertato era il 2006 e che l'assenza di rilevanza penale della condotta evasiva contestata al M escludeva il raddoppio dei termini d'accertamento, ai sensi dell'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 ratione temporis vigente, l'accertamento doveva essere eseguito entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, che nel caso di specie va identificato nell'anno 2007. L'Ufficio doveva dunque notificare l'atto entro il 31 dicembre 2011. Esso ha invece provveduto a notificare l'atto impositivo nel 2012, quando ormai decaduto dal potere accertativo. Ne discende l'invalidità dell'avviso d'accertamento e la sua conseguente nullità. Deve in conclusione accogliersi il ricorso introduttivo del M. Le spese processuali vengono regolate per i gradi di merito e per il giudizio di legittimità come da dispositivo.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi